La traversata scialpinistica delle Orobie
Sono le quattro e mezzo del mattino, suona la sveglia. È sempre duro abbandonare il caldo abbraccio del sacco piuma. Lo spazio è minuscolo e tutto è a portata di mano. Fa freddo, Marco si rigira nel suo sacco piuma e mugugna qualcosa. Gli zaini sono pronti per essere riempiti e tutto il materiale è sparso sul tavolo e le panche, le pelli di foca sono appese ad una trave del soffitto, gli sci addossati alla parete dietro la porta d’ingresso. Fuori è buio e silenzio.
È l’alba del terzo giorno della nostra traversata sciistica delle Orobie. Siamo partiti dalle sponde del lago di Como, in quel di Varenna, e se le condizioni della montagna e del tempo ce lo permetteranno, con altri cinque giorni di marcia vorremmo arrivare in Val Camonica. Il progetto è ambizioso e ha preso forma dal desiderio di ripercorrere, allungare e reinterpretare le tracce lasciate dai pionieri di questa traversata, che la realizzarono per la prima volta dal 8 al 16 maggio del 1971, partendo da Ornica in Val Brembana, per arrivare a Corteno Golgi in Val Camonica.
Angelo Gherardi di San Pellegrino ne fu l’ideatore e Franco Maestrini di Nembro il giusto compagno con cui realizzarla, Giuliano Dellavite, compaesano e inseparabile amico di Franco, completò il terzetto. Gherardi e Maestrini, in quegli anni, erano gli indiscussi riferimenti dello scialpinismo bergamasco, il primo per la Val Brembana ed il secondo per la Val Seriana. In quegli anni partecipavano attivamente ai rally scialpinistici, competizioni che a volte si svolgevano in più giorni ed erano di stampo internazionale. In queste gare Gherardi conosce e stringe amicizia con lo sciatore francese Jean Paul Zuanon, gli racconta della traversata. Zuanon che già ha assaggiato la bellezza delle Orobie ne viene affascinato. I due progettano di ripercorrerla con alcune varianti e, dal 14 al 20 aprile 1974, partendo da Biandino in Valsassina, giungono a Carona di Valtellina, attraversando nuovamente l’intera catena delle Orobie. Zuanon scrive un bellissimo diario di viaggio. Purtroppo nello stesso anno Angelo Gherardi muore per un incidente alpinistico al Corno Stella.
Seduti al tavolino ci godiamo le bevande calde. Prepariamo gli zaini. Con esclusione della prima giornata abbiamo viaggiato sempre con 15 - 18 chili sulle spalle, ma non è nulla rispetto agli zaini di Angelo, Franco e dei loro amici. Rivedo le foto con i maglioni di lana, le camice di flanella, i pantaloni di velluto, gli scarponi di cuoio, gli sci lunghi e pesanti, gli attacchi che non bloccavano del tutto il tallone, i ramponi e le piccozze in acciaio, gli zaini di tela. Chissà cosa pesava tutto quel materiale, nei loro diari si parla di zaini sopra i 20 chili. Prima di partire ci godiamo in silenzio lo spettacolo dell’alba che sorge da dietro le cime dei Ponteranica e le torri del Valletto. Mi pare ancora di risentire la voce del Maestrini che mi esorta e mi dice: "Dai Panseri! Prima o poi, qualcuno dovrà farla questa traversata! È Bellissima, cosa aspetti".
In due giorni, abbiamo percorso la bellezza di oltre 50 chilometri e quasi 5000 metri di dislivello. Dalle sponde del lago, a Varenna, siamo saliti a piedi e carichi di tutto il necessario, sino in Cainallo e poi da lì, con gli sci, sino sulla vetta del Grignone, per poi scendere in Valsassina. Il giorno appresso, l’interminabile Val Biandino ci ha portati sulla vetta del Pizzo dei Tre Signori, ricongiungendoci alla traversata classica, per poi scendere al lago di Trona e risalire alla Cima Piazzotti e quindi raggiungere il meraviglioso nido del Rifugio Benigni. Ora ci attende un pendio ripido e ghiacciato che conduce nello stretto canale dove si snoda il sentiero estivo che proviene dai piani dell’Avaro. Sono teso, devo prestare attenzione, molta attenzione, se scivolo qua, poi potrebbe essere problematico fermarsi. Abbozzo qualche curva e sento che le lamine lavorano, la tensione si scioglie lentamente. Nel canale, l’esposizione cambia e la neve diviene molle, nonostante siano le sei del mattino si sprofonda parecchio. In uscita dal canale percepisco qualcosa di strano, come se uno sci non facesse il suo dovere. Che strana sensazione. Mi fermo sul bordo e sollevo lo sci sinistro. "No! Non ci posso credere. Lo sci si è spezzato proprio sotto il puntale dell’attacco".
In qualche modo raggiungo Marco nella conca sotto il passo di Salmurano, dove avremmo dovuto rimettere le pelli per salire alla cima omonima e poi alle cime di Ponteranica. Non riesco a dire nulla, tolgo lo zaino, mi ci siedo sopra e cerco di elaborare un piano B. Avviso Alberto che entro sera arriva a Cusio e ai Piani dell’Avaro con un paio di sci su cui rimontare gli attacchi. Il quarto giorno si riparte, la nostra avventura continua.
La tappa sino a Foppolo è infinita. Ci attende un continuo saliscendi tra cime e valli che già conosciamo, con esclusione del versante nord del monte Fioraro tra il passo di Cà San Marco e la forcella di Budria. I pionieri sono passati da lì. Dalle Baite d’Orta al passo Pedena, in questa era di GPS e satelliti, unico strumento utile per trovare il giusto passaggio resta ancora la carta scialpinistica del Sugliani, la cui prima edizione risale al 1939. Infine, decisamente provati, giungiamo sulla Cima di Lemma da dove scegliamo di scendere verso Cambrembo.
Il quinto giorno acquisiamo un nuovo compagno di avventura, Roberto ci accompagnerà nelle prossime due tappe sino al Curò. Partiamo da Foppolo e, svalicato il passo di Valcervia e quello del Tonale, dalla diga del Publino ci attende nuovamente terra incognita e selvaggia, nessuno di noi è mai passato in queste vallate. Non incontreremo anima viva per l’intera giornata, la solitudine è totale e i giganti delle Orobie si avvicinano. Gli accumuli di valanga sono impressionanti e procedere nella neve calda e profonda è faticoso pure in discesa. Arriviamo in vista del Lago di Scais stremati, l’ultima salita ci ha spremuti per bene, succhiandoci ogni energia residua. Ci accampiamo sotto le stelle, in un luogo meraviglioso presso le Case di Scais e pure con una romantica vista lago. Mangiamo mentre cala la notte e ci sentiamo persone fortunate che hanno il privilegio di essere qui in questo momento.
Il sesto giorno arriva. È veramente duro rimettere gli scarponi, sono ancora umidi per non dire bagnati, e ci attende il momento cruciale di tutta la traversata. Del passaggio tra la vedretta di Scais e quella del Lupo, svalicando la bocchetta posta a nord dell’anticima nord del Pizzo Porola, non sappiamo nulla. Ho memorizzato solo alcune indicazioni che mi aveva riportato il Maestrini e le immagini di corde, sci e nebbie che ho visto nel film Passo dopo passo di Scarpellini, le carte qui sono di poco aiuto. La salita su neve marmorea ci porta nei pressi della vetta e della bocchetta. Con piccozza e ramponi saliamo al piccolo intaglio e quando ci affacciamo sul versante est, avvolto nelle nebbie, è come se si sciogliesse un nodo: "Si passa!" La neve cambia e si sprofonda sino al ginocchio, la visibilità è scarsa, scendiamo per un centinaio di metri il ripido canalone per poi calzare gli sci e godere di una discesa liberatoria. Il tempo è peggiorato, le temperature sono alte, ci aspettano alcuni giorni con piogge sino a 3000 metri e la totale assenza di rigelo notturno. Proseguire con queste condizioni non ha senso, non vi è alcun margine di sicurezza garantito. A malincuore decidiamo di scendere a Valbondione, da dove rientriamo alle nostre case in attesa che le condizioni meteo e di sicurezza migliorino.
Qualche giorno dopo le previsioni danno una notte di gelo in quota e una finestra di tempo accettabile. Non perdiamo l’occasione e, appena terminato un violento temporale, con il buio incipiente saliamo al rifugio Coca. Ci riposiamo qualche ora. La notte è stellata, la neve è dura, accendiamo le frontali e calziamo i ramponi. La progressione sino alla bocchetta dei Camosci è veloce. Giunti alla bocchetta ci affacciamo sul canale di discesa: nebbia... il luogo è abbastanza inquietante. Attendiamo che la visibilità migliori e indossiamo tutto quanto abbiamo con noi, fa freddo, il vento non da tregua. Marco parte deciso ed entra nel canale che scende verso la Val Morta. È ripido, molto ripido e la neve dura è ricoperta da due dita di polvere lasciata dal temporale della sera precedente. Lo seguo con qualche titubanza e inizio la mia serie di curve. Procediamo alternati, come fossimo in cordata, uno sta fermo e osserva il procedere dell’altro. L’altro, dopo una serie di curve cerca un posto sicuro dove fermarsi e attende, osservando il compagno. Incontriamo una strettoia tra le rocce, la pendenza aumenta, lo spazio è limitato, Marco fa un numero da circo, uno sci si incastra, lo toglie per qualche metro, poi lo rimette e riparte. Poi le nebbie si diradano e sotto di noi il canale si apre e non ci sono più ostacoli. Le pendenze si fanno sempre più docili ed infine, là in basso sulla destra compare lo specchio d’acqua del Barbellino. Ognuno è assorto nei suoi pensieri, un ultimo sforzo ci porta al passo, la soddisfazione è indescrivibile e la valle di Caronella promette una gran bella sciata. Non servono tante parole e prima di iniziare l’ultima danza non posso non pensare ai pionieri che ci hanno preceduto, Angelo Gherardi e Franco Maestrini.
I numeri della traversata
I tappa - Sabato 21 aprile 2018 – Varenna, Grignone, Pasturo.
Durata 8:30:00 sviluppo 24,19 km Dislivello + 2.375 m Dislivello - 2.006 m
II tappa - Domenica 22 aprile – Introbio, Pizzo Tre Signori, Lago di Trona, Bocchetta di Trona, Cima Piazzotti, Rifugio Benigni.
Durata 10:46:57 sviluppo 26,02 km Dislivello + 2.472 m Dislivello - 934 m
III tappa - Lunedì 23 aprile – Rifugio Benigni, (stop tecnico per rottura sci) Cusio, Piani dell’Avaro.
Durata 05:46:00 sviluppo 17,58 km Dislivello + 877 m Dislivello - 1364 m
IV tappa – Martedì 24 aprile - Piani dell’Avaro, Monte Mincucco, Lago di Valmora, Passo San Marco, Baite d’Orta, Passo Pedena, Bocchetta Pizzo del Vento, Passo Tartano, Bocchetta di Sona, Cima di Lemma, Baite d’Arete, Cambrembo.
Durata 14:16:00 sviluppo 32,23 km Dislivello + 2205 m Dislivello - 2519 m
V tappa – Mercoledì 25 aprile - Foppolo, Lago Moro, Passo di Valcervia, Valcervia, Passo Tonale, Lago Publino, Passo Scoltador, Casere Valle di Venina, Passo di Brandà, Baite di Cigola, Valle di Ambria, Passo del Forcellino, Valle di Vedello, Lago di Scais.
Durata 13:09:00 sviluppo 28,64 km Dislivello + 2571 m Dislivello - 2664 m
VI tappa – Giovedì 26 aprile - Lago di Scais, Rifugio Mambretti, Bocchetta Pizzo Porola, Vedretta del Lupo, Passo di Coca, Rifugio Coca, Valbondione.
Durata 08:23:00 sviluppo 16,08 km Dislivello + 1551 m Dislivello - 2096 m
Giunti al Rifugio Coca, vista la meteo sfavorevole che, oltre all'isoterma dello zero termico altissima e i valori delle minime e delle massime di circa 8° sopra le medie stagionali, ci avrebbe piazzato alcune notti di cielo coperto e quindi con nessun rigelo notturno, decidiamo di scendere a valle. Torneremo a chiudere i conti con "la traversata" con le condizioni saranno un poco più favorevoli.
Stop! Si scende a valle.
Lunedì 30 Aprile - Valbondione, Rifugio Coca.
Si riparte!
Durata 01:32:00 sviluppo 3,23 km Dislivello + 971 m Dislivello - 17 m
Prevedono una notte stellata e lo zero termico in abbassamento.
VII tappa – Martedì 1 maggio - Rifugio Coca, Bocchetta dei Camosci, Val Morta, Rifugio Curò, Lago Barbellino Naturale, Passo di Caronella, Carona di Valtellina.
Durata 11:38:00 sviluppo 33,68 km Dislivello + 2724 m Dislivello - 2431 m
Giorni: 6+1. Durata ore 74:00:57. Sviluppo 180,65 km.
Dislivello + 14.378 m. Dislivello – 14.031 m.
Con esclusione del primo e ultimo giorno lo zaino pesava dai 17 ai 20 kg. Roberto Bagattini ci ha accompagnato nella 5 e 6 tappa da Foppolo a Valbondione
Le Traversiadi al cinema
Dopo le prime a Nembro, San Pellegrino e Bergamo, il film sarà a Padova il 29 gennaio (Cinema Esperia), a Genova il 30 gennaio (Cineclub Nickelodeon) e a Morbegno il 14 febbraio.
Link:
- il diario di Maurizio Panseri della traversata su vertical-orme.blogspot.com
- notizie e clip dal film sul sito di Alberto Valtellina www.albertovaltellina.it