Ski de printemps di Jacques Dieterlen, scialpinismo anni '30 tra gioia, romanticismo e nostalgia
Investire nell’editoria può sembrare folle di questi tempi. Ben vengano però queste follie se supportate dalla passione (che altro non è se una forma leggera di follia). Diamo quindi il benvenuto alla Edizioni del Gran Sasso, casa editrice di Roma specializzata nell’editoria di montagna. Il loro primo volume pubblicato è stato “Giorni Diversi” scritto dall’alpinista Giorgio Giua, cui è seguita una vera chicca, la traduzione di uno stupendo classico francese degli anni ’30 del secolo scorso. Qui di seguito Giorgio Daidola, scialpinista, esploratore, telemarker, giornalista, scrittore e velista (in questo momento è al largo delle Isole di Capo Verde impegnato con il suo dieci metri nella traversata dell’Atlantico) racconta di questo libro.
Qualcosa di più profondo: Jacques Dieterlen e Ski de printemps di Giorgio Daidola
Se avete dubbi che sciare sia qualcosa di più (molto di più!) di uno sport, leggete questo libro. Sprofonderete così in un mondo fatato, in una sensazione di felicità diffusa, fatta di amore per la neve, per i vostri sci, per il vostro zaino e la vostra attrezzatura. Nessuno come Dieterlen è riuscito a far vivere questa gioia profonda intrisa di romanticismo e nostalgia attraverso una fiction in cui lo sci e il cittadino Fabien sono i veri protagonisti. Anche se è chiaro che Fabien è lui, l’autore, appassionato sciatore alpinista dei suoi tempi. Prima di Jacques Dieterlen solo Guido Gozzano era riuscito a scrivere una fiction con protagonista lo sci, con il racconto “Le gemelle” del 1919. Ma si trattava appunto di un racconto, non di un intero libro. Luigi Borgo, nel suo insuperato “Scritture di neve” ci fa immergere nei racconti di sci di indiscussi protagonisti della letteratura del novecento, da Hermann Hesse a Vladimir Nabokov, da Thomas Mann a Dino Buzzati, da Goffredo Parise a Ernest Hemingway. Ma, avverte Borgo, a parte quello sopra citato di Gozzano, si tratta di racconti autobiografici, non di finzione narrativa.
Ski de Primtemps ha la pretesa di andare oltre e, seppur dominato dall’elemento naturale più che culturale e da una poetica decisamente romantica, si presenta come un vero romanzo, in cui il protagonista è inserito nella società borghese e cittadina dei suoi tempi. Che sia o meno un vero “romanzo sciistico”, ossia lo si possa considerare un raro esempio di “letteratura dello sci”, comunque poco importa. I contenuti per farci sognare e riflettere ci sono tutti. Dieterlen rimane per noi il grande cantore dello sci, non solo in questo meraviglioso affresco che è “Ski de printemps” ma anche negli altri libri che ci ha lasciato, da “Le skieur a la lune” a “Cyprienne, où la skieuse au soleil”, senza dimenticare una pietra miliare come “Le chemineau de la montagne”, ispirato alla vita e alle traversate solitarie in sci del grande Leon Zwingelstein.
In un momento storico come l’attuale in cui tutto lo sci, anche lo scialpinismo, sembra aver perso gran parte della sua storia, del suo fascino e dei suoi contenuti culturali, immergersi nel mondo da fiaba bianca di Dieterlen può essere quindi senza dubbio salutare. Il modo migliore per farlo è proprio iniziare da “Ski de printemps”. Il perché è presto detto. Tutto il romanzo è un inno a quello sci di primavera che pochi ormai conoscono. Da notare che non solo Dieterlen ma anche grandi sciatori di montagna come Marcel Kurz e Arnold Lunn hanno dimostrato come la primavera rimanga la migliore stagione dello sci, sia dal punto di vista delle soddisfazioni che della sicurezza. Ma lo hanno fatto attraverso ragionamenti tanto inoppugnabili quanto ignorati ai giorni nostri. Dieterlen invece lo fa con l’anima, e questo fa la differenza.
Quella di inneggiare allo sci di primavera rimane in ogni caso un’idea controtendenza, considerato che oggi il bisogno di sciare viene fatto nascere impropriamente dai media in autunno e ad inizio inverno, quando la neve è un’eccezione alla regola o insufficiente. Dopo un inverno che non gli ha dato molte soddisfazioni sciatorie Fabien vive una indimenticabile settimana bianca in maggio, ospite di un vero rifugio insieme a sciatori entusiasti come lui e a sciatrici affascinanti. La sua vacanza si conclude sull’ultima lingua di neve in mezzo ai prati fioriti. Una neve vecchia che come tutte le cose belle non dura e si sta trasformando in acqua. Una neve che, come il mare per il marinaio, gli ha dato tanto e che simile ad una marea bianca, ora vede ritirarsi a poco a poco. Il libro termina così, con queste riflessioni nostalgiche di Fabien che ritorna al suo lavoro in ufficio. Pagine di rara poesia che difficilmente la squallida neve artificiale e gli asettici e confortevoli rifugi-albergo dei nostri tempi possono suggerire. Pagine che possono indurre, meglio di qualsiasi proclama, a scoprire la più bella stagione dello sci.