Voortrekker, la via di Mauro Calibani
La via sale un muro azzurrato. Compatto. Bello. E strapiombante, sui 40°. Ciò che l'ha guidato nella scelta è “il richiamo dell'arrampicata, o meglio della bellezza dell'arrampicata”. Perché, racconta, quella linea assolutamente naturale “mi ha subito stregato”. Non a caso è nella falesia che ama di più. Lui ci è arrivato a 16 anni tra quelle rocce, e non le ha mai più abbandonate. Perché è un posto incantato il Colle dell'orso a Frosolone. Una gemma, selvaggia, di un altopiano e un territorio che sembrano persi nel tempo.
Il corteggiamento per quella nuova linea che ha “visto, chiodato e liberato” è durato 3 anni. Alla fine è nata Voortrekker. In onore di quel patriarca degli elefanti africani che ha indicato una strada, e che vivrà nei ricordi dei più giovani. E' “la via più dura che abbia mai salito”. Ed anche “il mio viaggio più bello”, confessa Mauro Calibani. Il grado? il vecchio saggio non ha dubbi: “Aspettiamo i giovani, aspettiamo conferme”. E il viaggio continua...
Voortrekker di Mauro Calibani
Sono combattuto, ma decido di rendere ufficiale la notizia della mia salita in libera, e a tre anni da questo intimo processo, dall’aver trovato la linea, averla immaginata, sognata e poi finalmente provata, Venerdì 5 luglio succede così...
Ci alziamo presto al mattino, da qualche giorno ho male al ginocchio sinistro, si è infiammato nei movimenti finali durante i precedenti tentativi. Dopo la colazione, con Daniela ci avviamo verso la via, che come sempre al mattino è più buia, però l’aria è più fresca. Non ho un buon umore per via della paura di non poterla provare più se il ginocchio peggiorerà, mi scaldo e poco dopo faccio un primo tentativo controllandone i movimenti, per capire come va… cado!
Nel frattempo che riposo, c’immergiamo nel silenzio cinguettante della natura osservando dei simpatici topolini rossicci dagli occhi neri, che ci gironzolano attorno, velocissimi sbucando da tutte le parti nella pietraia sottostante. Uno di loro si chiama “Crissi” e la sua compagna “Agata Crissi”, s’infilano negli zaini aperti in cerca di cibo, ci divertiamo ad osservarli, mentre il tempo passa ed i muscoli tornano nuovi.
Dani ad un tratto per la prima volta mi dice di fare un giro, si è accorta che sono inibito dal pensiero per il ginocchio. Sdraiato, mi alzo dall’amaca, tranquillo senza pensieri, entrambi ci mettiamo ai posti di combattimento. Mi lego, stringo ai piedi le mie scarpette Drago e ne pulisco le punte con i palmi insalivati, infilo le mani nel mio sacchetto porta magnesite impastandomi ben bene i polpastrelli, mentre il respiro si fa lento e profondo. Libero la mente, mi appoggio alla parete e parto. Tutto inizia a fluire tranquillo, il mio ritmo è buono, un po’ meno le condizioni, fa un po’ caldo, l’aria è ferma, ma i movimenti si susseguono precisi e potenti. Sono di nuovo al buco.
Resetto la testa dai pensieri, come se dovessi affrontare una nuova via da zero, come se non avessi effettuato la prima parte, quattro scrollate per sciogliere gli avambracci e riparto deciso. Per la prima volta il ritmo nei quattro movimenti successivi è rapido e leggero, mi ritrovo come mai prima ad affrontare la sequenza finale che con attenzione e precisione massima mi riesce.
Ora ho la grossa presa tra le mani! Spossato e confuso, mi ribalto in silenzio con il fiato ed il cuore in affanno. Chiudo gli occhi e cerco subito di sentire le emozioni, sono certo tra un attimo verranno fuori, passano un po’ di secondi fino a che esplodo in una decina di urli che escono dalla pancia, grida di gioia e di liberazione, poi la commozione per aver capito che questo lungo viaggio sognato con tutto me stesso sia finalmente divenuto realtà.
5 Luglio 2019 Frosolone. Comprendo per la prima volta a fondo il vero significato di “una via sportiva più dura”, la più difficile che io abbia mai avuto il privilegio d’incontrare e salire per primo, in cui la forza interiore, la pazienza e la dedizione mi hanno accompagnato in questo incerto e bellissimo percorso. 45 anni, la passione per la verticale e 15 giorni per effettuare 37 tentativi spacca dita, volutamente da solo, senza alcun altro parametro, per cercare ancora una volta di capire chi sono, e di che pasta sono fatto. Ora sono felice, nonostante solitamente sia solo severo con me stesso. Anche questo ricordo sarà per sempre prezioso e presente per il resto della mia vita, dedicata alla ricerca, in cui “la bellezza della linea nella roccia”, ha guidato la mia continua evoluzione.
Decido di chiamare questa mia linea “Voortrekker”. Lui era un magnifico vecchio esemplare di Elefante africano considerato un eroe per essersi trasferito e adattato perfettamente all’ambiente desertico del Kunene. Altri componenti della sua famiglia lo raggiunsero e ripopolarono l’area di elefanti che precedentemente si erano estinti a causa del bracconaggio. Non molti giorni fa Voortrekker è stato ucciso e ho deciso di dedicare la mia salita a lui.
Nella lingua africana Voortrekker significa “quelli che vanno avanti” o “pioniere”. Come tutti i vecchi e saggi elefanti, insegnò ai nuovi arrivati attraverso l’esempio, le strategie per vivere in quell’arido territorio.
Mauro Calibani
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