Full of Freedom alla Rocca La Meya in Valle Maira di Cecilia Marchi e Maurizio Oviglia

Il report di Maurizio Oviglia che, insieme alla moglie Cecilia Marchi, ha aperto 'Full of Freedom' alla Rocca La Meja in Valle Maira (Alpi Cozie). Aperta dal basso, la nuova via è dedicata a Daniele Caneparo, scomparso nella Valle di Champorcher nel 2019.
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L'apertura di 'Full of Freedom' alla Rocca La Meja in Valle Maira, Alpi Cozie (Cecilia Marchi, Maurizio Oviglia, 2023/2024)
archivio Maurizio Oviglia

Non avevo ancora 18 anni quando mio zio, che era originario di Marmora, mi portò sull’altipiano della Gardetta alla baita di Alfredo. Lassù sembrava un po’ di essere catapultati nel cartone animato di Heidi, tra mucche, capre e pascoli di montagna, burro e formaggio fresco e lunghi pomeriggi in cui stare sdraiati al sole sui prati. Però oziare non era nel mio carattere e, dopo che finimmo di mangiare nella baita, individuai subito una splendida montagna là in fondo alla prateria. "Zio posso andare fin là a vederla? Ti prego, faccio in fretta!" Camminando veloce tra i prati raggiunsi la base dei ghiaioni di quella strana montagna dolomitica. Arrancai scivolando tra le pietre sino ad una liscissima losanga di roccia, piantata come una lama in verticale nel pendio. Accarezzai la roccia del suo lato occidentale, talmente liscia da far dubitare su ogni possibilità di salita in arrampicata. Una leggera increspatura della roccia lasciava tuttavia lo spazio a qualche dubbio. Forse qualche presa poteva esserci. Una fotografia con la mia inseparabile macchina e poi ridiscesi di corsa dallo zio.

Molti anni dopo avevo saputo che una guida alpina fortissima, un certo Cege Ravaschietto, era riuscito a salire quella liscia parete di roccia. L’avevo incontrato per caso alla base del Precipizio degli Asteroidi in Val di Mello ed avevo fatto due parole con lui, tuttavia senza accennare a quella mia visione di ragazzo. Su Rocca La Meja ci sono ormai molte vie che percorrano quelle rocce un po’ ovunque. Tuttavia non ero più ritornato in quella valle ed il desiderio di scalare le pareti della Meja era rimasto in un angolo del mio cuore.

L'anno passato, complici le vacanze dai miei cugini proprio in Val Maira, quel vecchio desiderio è tornato a galla. Abbiamo pensato di saggiare la roccia, ripetendo una via all'estrema destra della parete, anche se era chiaro che non era quella che avevo già visto da ragazzo...

Avevo ormai da tempo in testa di dedicare una via al mio caro amico Daniele Caneparo, scomparso nel 2019 durante una scialpinistica solitaria. Ovviamente avevo cercato a lungo una via da aprire in Vallone di Sea o in Valle dell'Orco, i luoghi che più avevamo battuto da ragazzi. L'avevo anche trovata, ma piano piano si stava facendo strada in me l'idea di non dedicare a Daniele una via tradizionale, che magari ben pochi avrebbero ripetuto. Cercavo una via possibilmente apprezzata che mantenesse vivo il suo ricordo. Magari, ripetendola, qualcuno si sarebbe incuriosito e andato a scoprire chi fosse questo personaggio, ben poco esaltato ma indubbiamente uno dei protagonisti dell'alpinismo piemontese. E perché allora non aprire una via sportiva? In fondo Daniele stesso era stato uno dei pionieri piemontesi delle multipitches con gli spit. Già nel 1982 avevamo ripetuto insieme le vie di Piola all'Envers des Aiguilles, Daniele ne era rimasto soggiogato ed avevamo subito cercato di aprirne di nuove. Daniele era stato inoltre uno dei primi italiani ad aprire vie spittate a Briançon ed il primo ad aprire vie lunghe a spit sul Sergent (ad esempio Battesimo del Fuoco).

Non restava dunque che trovare la linea adatta sulla parete del mio cuore, un placcone verticale e impressionante di 200 metri per cui recentemente più di una persona aveva esclamato "qui ci vorrebbe Manolo". Invece ci aveva pensato la guida Cesare "Cege" Ravaschietto che qui aveva tracciato il suo capolavoro, Guanta la Meja, una via impegnativa molto temuta e ambita allo stesso tempo. Poco a sinistra, Cege aveva rincarato la dose con "Solo per vecchi minchioni", parafrasando una celebre via di Manolo, confermando che il grande scalatore trentino era sempre nei pensieri anche qui, a Rocca La Meja. Cosa restava dunque? Considerato che più a destra c'era anche un'ulteriore via? Lo spazio, per non dire le prese, sembravano esauriti!

Non è mia abitudine attaccare una linea alla cieca, senza esaminarla bene e senza rischiare di buttar via materiale. Rocca La Meja è una montagna complicata e gli apritori cuneesi lo sanno bene. Placconi di roccia perfetta improvvisamente si interrompono per lasciare il posto a sezioni di roccia non brutta... di più. Scaglie pericolanti e pile di piatti quasi inscalabili, comunque non certo adatti alla via sportiva che cercavo io! La linea l'avevo più o meno in mente, ma bisognava andare a vedere più da vicino per evitare di finire in una di queste sezioni, che avrebbe rovinato tutto. Ovviamente, volendo salire in buono stile, cioè dal basso senza passi di artificiale, non avevamo assolutamente la certezza di passare. Su quelle placche basta una goccia o un'increspatura in meno per costringere alla rinuncia!

Cecilia sarà la mia compagna anche in questa avventura: ha conosciuto Daniele nel 1985 ed insieme a lui abbiamo aperto una cascata di ghiaccio a Gressoney, poi una via in Valle dell'Orco. Di certo allora pensò che i miei compagni di cordata fossero decisamente dei pazzi, ma Daniele le voleva bene e si era affezionato a lei... Dunque Cecilia ci vuole essere e ci tiene, nonostante la sua malattia non le consenta di gestire facilmente una via lunga. Anche io tra problemi vari alle gambe ho serie difficoltà di tenuta, per cui ho il presentimento che questo progetto sarà duro da portare a termine. Anche perché dovrò fare tutto da solo, Cecilia non può portare troppo peso e tantomeno aprire coi cliff...

A fine luglio 2023 siamo alla base della parete e decidiamo di ripetere Pulsar di Ciano Orsi, su un torrione poco a sinistra in modo da vedere bene. Da questa via la linea mi sembra fattibile, si può provare! Tre giorni dopo siamo all'attacco, praticamente un prato di stelle alpine. Inizia così la nostra avventura, che richiederà altre 5 giornate in parete, tra apertura e libera. Probabilmente non ho mai impiegato tanto per aprire 200 metri di parete, ma il tempo passa e non sono più un ragazzino. L'importante è tenere fede ai miei principi e non fare danni, cioè rispettare le linee presenti. Salendo abbiamo ovviamente incrociato la via Solo per Vecchi minchioni, inevitabile data la diagonale del suo tracciato, che però non abbiamo assolutamente voluto alterare aggiungendo spit che potessero cambiarne l'impegno. Alla fine è venuta la via sportiva che volevamo, volutamente con i tiri corti, volutamente con gli spit "vicini", appena più distanziati che in falesia. Ci piaceva così ed ogni apritore decide ancora (vivaddio) il carattere da dare alla propria via. Se abbiamo fatto o no un buon lavoro lo decideranno i ripetitori. Un apritore non è mai completamente obiettivo nei confronti delle sue vie.

Mancava il nome e ci piaceva l'idea di includere nel titolo la parola "libertà". Le ultime volte in cui ho incontrato Daniele abbiamo parlato spesso di questo e la morte di Adriano Trombetta ci aveva spinto a scambiarci molte lettere su questo argomento. Sino a quanto puoi spingere in là il limite, il rischio, in nome della tua libertà, non considerando gli affetti delle persone che ti sono vicine? In una delle ultime lettere Daniele mi aveva citato una frase di Gaston Rebuffat: come in guerra, senza guerra, in piena libertà. Lui veramente quando partiva per una via era caricato a mille, come dovesse combattere contro un nemico invisibile. Ho sempre pensato che a Daniele non dispiacesse l'idea di scomparire in montagna, senza essere mai ritrovato. Non era probabilmente vero, perché lui stesso volle andare a cercare il nostro comune amico Roberto Calosso, scomparso in solitaria sul Pilone Centrale. E insistette a lungo perché io partissi dalla Sardegna per raggiungerlo. "Lo dobbiamo trovare!" mi diceva.

Daniele, invece, l'hanno ritrovato cinque mesi dopo a primavera, quando si è sciolta la neve. Nella tempesta che lo ha travolto, mi piace pensare, avrà sicuramente visto la Fata Mieko Harada di Kurosawa che lo prendeva per mano. Ha la mano calda e lunghi capelli sciolti nel vento. Lo tocca, apre gli occhi, non vuole lasciarsi andare, ma poi la donna scompare. Guarda, dice Cecilia raccogliendo il materiale, magari Daniele è quella farfalla lì. Lo sai che in alcune culture dicono che i morti possano trasformarsi in farfalle? Anche a me piace pensarlo...

di Maurizio Oviglia

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