Daniele Caneparo
Di lui si sono perse le tracce e vani sono state gli sforzi del Soccorso Alpino, che ha ritrovato la sua auto alla località di partenza, ma che dopo alcuni giorni ha abbandonato le ricerche del disperso.
Daniele Caneparo era un forte alpinista con una fibra fuori dal comune. Già giovanissimo, meno di 15 anni, ha conosciuto l’alta montagna in condizioni estreme perdendo il compagno sulla est del Monte Bianco e riuscendo a venirne fuori illeso. Daniele si era guadagnato così la fama di enfant terrible o maudit secondo alcuni. In realtà era un solitario per vocazione, con un rapporto molto particolare con la montagna, oserei dire quasi simbiotico. Aveva bisogno di spingere il suo fisico al limite, qualsiasi cosa facesse, dall’alpinismo all’arrampicata sportiva, dalla bicicletta allo sci alpinismo. Diverse volte se la cavò sul filo di lana, riuscì persino a rimettersi sugli sci durante una caduta sulla nord del Monviso a causa di una placca di ghiaccio. Le sue salite sono innumerevoli, sia su ghiaccio, che su roccia, come anche di sci ripido (diverse nord con gli sci al suo attivo), così come le sue esplorazioni nei luoghi più remoti delle Alpi Occidentali.
Altresì è stato un personaggio chiave nella storia della Valle dell’Orco e del Vallone di Sea, quella della generazione successiva al Nuovo Mattino. Ha scoperto e salito moltissime vie in fessura (era eccellente fessurista, suo uno degli articoli per il mensile Alp, uno dei primi a questo riguardo) e forse l’apice l’ha toccato con l’apertura in Vallone di Sea di Così Parlò Zarathustra (1983), liberata di recente da Jacopo Larcher e Paolo Marazzi. Per sua stessa convinzione questa via segnò un passo avanti nell’alpinismo piemontese: niente di così difficile in termini di apertura era stato fatto sino a quel momento. Fu anche primo ripetitore delle più difficili vie di Michel Piola sulle Aiguilles de Chamonix, con aderenza sino al 7b e obbligatorio di 7a (1983).
Daniele è stato il mio primo vero compagno di cordata. Dal 1983 al 1986 insieme abbiamo fatto di tutto: prime invernali, prime ripetizioni, nuove vie dal Gran Paradiso al Monte Bianco. In Valle dell’Orco ed in Vallone di Sea abbiamo ripetuto tutte le più difficili vie di allora e ne abbiamo aperte di nuove. Arrampicavamo insieme ovunque ci fosse qualcosa di difficile da salire. Daniele era un naturale leader senza la volontà di esserlo, preferiva essere un trascinatore ed un appassionato esploratore di nuovi terreni. Tuttavia la sua modestia e il suo carattere schivo non gli permettevano di pubblicare se non le prime salite. In realtà aveva al suo attivo innumerevoli solitarie, come il Pilone del Freney ad esempio.
Nel 1986 la nostra avventura più estrema che ci portò ad allontanarci, l’apertura di una cascata (che si rivelò già essere stata salita da Gian Carlo Grassi una settimana prima) molto difficile in Valle dell’Orco. Avevamo poco più di 20 anni, eravamo senza soldi e con attrezzatura (alquanto) approssimativa. Con tutti gli indumenti bagnati e dopo ore di ghiaccio verticale ne uscimmo a notte facendo le doppie su rami di cespugli con la frontale, alla cieca, su salti di roccia che non conoscevamo. Ci salvammo, ma quel giorno decisi che Daniele era davvero troppo per me, a mio parere stavamo raggiungendo un limite di rischio che non ero più disposto ad accettare. Non solo non mi legai più alla sua corda ma abbandonai anche l’arrampicata estrema su ghiaccio.
Contrariamente a quello che mi aspettavo, Daniele continuò a scrivermi e a starmi vicino, con l’affetto di un compagno con cui si era stabilito un solido rapporto interiore, al di là degli screzi. Conservo numerose sue lettere, a volte geniali e a tratti deliranti di passione: ci eravamo visti anche non più di un mese fa. In una birreria del centro, mi aveva raccontato con eccitazione delle sue nuove avventure solitarie, per esempio partire da solo con zaini allucinanti con pure una canoa gonfiabile appresso. Traversava laghi alpini a ore dal fondovalle, era capace di vivere la montagna in perfetta solitudine, probabilmente solo in questa condizione si sentiva veramente libero. Nella sua professione di neurologo, i colleghi lo ricordano come una persona di straordinaria umanità.
Caro Daniele, dovunque tu sia, grazie per quei giorni lontani e del privilegio di poterli oggi raccontare...
"Io penso che l'alpinismo sia il luogo dell'irragionevole e che l'irragionevole abbia un valore sociale. L'acte gratuit degli esistenzialisti francesi è un atto irragionevole, ma è anche l’unico atto libero che l’uomo possa compiere." (da una lettera inviatami da Daniele Caneparo)