Via Dell’Eva-Taddei alla Cima Busazza in chiave invernale per Emanuele Andreozzi e Stefano Falezza

Il 7 marzo 2025 Emanuele Andreozzi e Stefano Falezza hanno effettuato la probabile prima invernale della 'Via Dell’Eva-Taddei' sulla parete nord della Cima Busazza (Presanella). La via di roccia era stata aperta nel 1969 con difficoltà massime di V+ in fessura, che Andreozzi e Falezza hanno riscoperto in chiave 'misto moderno.' Il report di Andreozzi.
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La probabile prima invernale della 'Via Dell’Eva-Taddei' sulla parete nord della Cima Busazza (Emanuele Andreozzi, Stefano Falezza 07/03/2025)
archivio Emanuele Andreozzi

Il 7 marzo, ovvero tre giorni dopo aver aperto la via Teti con Andrea Gremes sulla nord di Cima Busazza, ero di nuovo alla base della parete, questa volta con Stefano Falezza. La nostra intenzione era di provare a fare la prima invernale della via Dell’Eva-Taddei, aperta nel 1969 con difficoltà massime di V+ su roccia.

Con il cambiamento climatico che rende la parete poco consigliabile in estate, abbiamo pensato che una vecchia e dimenticata via estiva potesse trasformarsi in una bella via di misto durante l’inverno. Del resto, non stiamo inventando niente di nuovo: ci sono già svariati esempi in cui ciò ha funzionato molto bene.

La Rébuffat-Terray sull’Aiguille des Pélerins ne è forse il più famoso, visto che da quando, nel 1975, i britannici Rab Carrington e Alan Rouse l’hanno salita in versione “misto moderno”, è diventata una delle più classiche e ripetute goulotte di Chamonix. C’è un esempio virtuoso anche restando dalle nostre parti, dove nel 2015 Francesco Salvaterra e Marcello Cominetti hanno fatto la medesima cosa con la via Hruschka sul Mur de Pisciadù Orientale, che adesso quasi ogni inverno è una delle goulotte più ripetute di tutte le Dolomiti.

Come prevedibile, ci vollero un po’ di acrobazie per passare la terminale, ma la ricompensa fu un bel tiro tutto su ghiaccio. Seguì una lunghezza di trasferimento sulla cengia innevata che ci condusse sotto il liscio e verticale scudo di roccia, solcato da una fessura leggermente obliqua, unico vero punto debole di questa ripida porzione di parete e quindi anche l’unico punto ovvio dove possano essere passati Dell’Eva e Taddei nel 1969.

Stefano si destreggiò agevolmente tra delicate placche e raggiunse la base della fessura, ne salì qualche metro, trovando anche un vecchio chiodo, segno che eravamo effettivamente sull’itinerario corretto. Prima che la fessura aumentasse di difficoltà, si fermò a fare sosta su un piccolo terrazzino, unico punto comodo dove appoggiare un po’ i piedi.

Il tiro successivo si rivelò effettivamente più difficile, regalando una scalata tecnica e costante. Esili ganci, piccoli ma buoni appoggi per i piedi e ottima proteggibilità ne fecero una lunghezza entusiasmante. Solo gli ultimi metri divennero al cardiopalma, perché il ghiaccio iniziò a intasare sempre più la fessura, finché a un certo punto era del tutto coperta e dunque non potevo più proteggermi. Il ghiaccio, purtroppo, consisteva in effimere bolle di Alpin Ice, scollate e poco solide, tutt’altro che sicure da scalare; insomma, sarei stato molto più felice di proseguire su una fessura in dry libera e pulita invece di quella via di mezzo che creava solo grattacapi. Dopo svariati metri con le chiappe strette, notai un grosso e solido spuntone appena sulla destra fuori dalla fessura; quando finalmente riuscii ad agganciarlo con la picca, tirai un bel sospiro di sollievo e attrezzai la sosta.

Da lì potei ammirare Stefano salire il tiro più bello della via, che partiva con un esile fessurino in piena esposizione sulla parete verticale, per poi proseguire in un piccolo diedro smaltato dal ghiaccio. Stefano scalava agile e sicuro; dalla mia postazione privilegiata era proprio un bel vedere.

Il tiro successivo toccò a me e aveva il potenziale per essere altrettanto bello, visto che si trattava di un fine nastro di ghiaccio su una placca di granito completamente liscia e si manteneva regolarmente della stessa larghezza per tutti i 60 metri. Insomma, una colata a dir poco perfetta, ma la scarsa proteggibilità rese quel tiro un po’ fastidioso. Ad ogni modo, fu l’ultima lunghezza che ci diede qualche grattacapo; da lì in poi arrampicammo velocemente e in breve raggiungemmo la vetta.

La conseguenza dell’aver attaccato tardi fu che ci gustammo uno splendido tramonto sulla cresta sommitale, dove l’eccezionale limpidezza della giornata permetteva allo sguardo di arrivare fino al massiccio del Monte Rosa. Era davvero il giusto epilogo per aver trascorso una giornata così soddisfacente sulla Nord della Busazza.

di Emanuele Andreozzi

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