Emanuele Andreozzi e Silvestro Franchini aprono una nuova via alla Cima Busazza in onore di Tomas Franchini

Dopo il caos delle feste natalizie, a gennaio ho sempre un periodo di stacco. È sempre stato per me un periodo di arrampicate e quindi di piacevoli ricordi; l'anno scorso, ad esempio, sono partito per la Patagonia, mentre il 19 gennaio di 13 anni fa ero impegnato con mio fratello su Lisa dagli occhi blu al Crozzon di Brenta. Dopo la nostra ripetizione, questo capolavoro del 1997 firmato Roberto Parolari e Maurizio Piccoli è diventato una via invernale classica.
Anche quest'anno ho qualche giorno libero, e Emanuele Andreozzi mi propone una giornata in montagna. La cima della Busazza è una delle mie preferite. Ho percorso un paio di volte la sua cresta e due volte mi sono avventurato sulla sua parete nord.
Può essere una parete da sogno, ma per me e per mio fratello è stata anche una parete da incubo. Nel 2010, da qui, l'ho visto volare; per poco ci ha lasciato la pelle sotto i miei occhi. Due anni dopo siamo ritornati, aprendo una via bellissima; per l'appunto, l'abbiamo chiamata Sogni ed incubi.
La notte prima della partenza non chiudo occhio; troppi sono i dubbi sulla salita che dobbiamo compiere. Penso che questa parete ci possa portare sfortuna. Rivedo più volte mio fratello cadere. Ultimamente penso sempre che possa accadere il peggio.
Sono preoccupato anche per l'avvicinamento; sarà lungo e dovremo battere la traccia? Quanta neve avrà fatto? Sarà pericoloso per le valanghe? Ci sarà abbastanza neve per sciare in discesa? Mi ripeto che cercherò di stare attento in tutte le fasi della scalata. Ho fiducia nel mio compagno di scalata: è anche un mio amico, una persona che stimo molto, uno specialista di questo tipo di scalata. Anche lui sa cosa vuol dire farsi male e quindi affronta la montagna con rispetto.
Alle 4:45 partiamo dal parcheggio. Mi ritornano in mente tutte e due le volte che ho approcciato questa parete. Con Tomas avevamo bivaccato all'alveo Presena, a lui piacevano molto i bivacchi. Eravamo stati senza sci e mi ricordo che mi incazzavo perché lui non sprofondava mentre io sì. Molte volte sembrava potesse veramente volare. Mi manca; scalare con lui era davvero diverso rispetto a scalare con qualsiasi altro compagno. Era molto forte, ma avevamo soprattutto una confidenza che non si può avere se non si è nati e cresciuti assieme.
Attacchiamo la parete e mi godo la scalata. Mi trovo benissimo con Emanuele, tutto fila liscio. Usiamo una serie di friends dalla misura 0,3 alla misura 2 e una serie di microfriends per proteggerci sui passaggi. Lascio solo due chiodi di passaggio sulla nostra nuova linea. Anche in discesa tutto fila liscio e raggiungiamo la macchina 11 ore dopo averla lasciata.
Avevo conosciuto Emanuele grazie a Tomas; stavamo programmando un viaggio in Pakistan insieme. Avevamo come obiettivo l'inviolata parete nord del Trivor Sar, una cima di 7000 metri. Per colpa del Covid, il nostro viaggio è stato annullato. Non riusciremo mai più a farlo assieme.
Decidiamo senza alcun dubbio come si dovrà chiamare la nuova via: Tomas. Sicuramente si trova nel posto giusto, e gli alpinisti che la ripercorreranno penseranno sicuramente un attimo a lui. La sua anima ritornerà su quella parete; penso che a lui faccia piacere.
È da molto tempo che non aprivo una via nuova, anche perché a me piace ripetere le vie esistenti. A Tomas, invece, piaceva molto esplorare terreno nuovo. Ora capisco che ho uno stimolo nuovo: mi piacerebbe lasciare anche su altre pareti il suo nome, visto che purtroppo non può più farlo lui.
di Silvestro Franchini