Il Viandante sul mare di nebbia, nuova via d'arrampicata nelle Alpi Orobie
Coraggio
/co·ràg·gio/
Aggancio i jumar alla fissa, controllo le ghiere dei moschettoni, aggiusto la lunghezza della longe, comincio a pompare, ricontrollo le ghiere, controllo anche la fibbia dell’imbrago, non si sa mai, continuo a pompare e a salire. L’anello dei cosciali da qualche tempo mostra segni di usura, non mi rende tranquillo, sono nel vuoto a circa 60 metri da terra e a 4 o 5 dalla parete. Sopra di me un filo teso, ancorato da qualche parte in alto, sotto di me un filo tremolante e un vuoto che risucchia, che ti vorrebbe trascinare giù. Penso che se salgo veloce al terrazzino, li sarò salvo mentre se temporeggio per riposare ho più possibilità di rimanerci secco. Non mi sembra un gran incoraggiamento e in effetti, devo dare ai miei muscoli una tregua. Arrivo stremato al ballatoio a metà parete, teso come la corda qualche istante fa, il lower out per portarmi sulla verticale della seconda fissa, completamente a picco sulla valle, mi demolisce del tutto. Che cosa c’è oggi che non va proprio non lo so. Fine della partita.
Torniamo qualche tempo dopo, i ripidi prati verdi creano un atmosfera di fascino calmo e leggero, di contro la nostra parete con la sua mole ancora scura e ombrosa getta efferata incertezza sulla valle. Sembra ci sia qualcosa di inafferrabile in questo posto. Io e Picci oggi saremo soli in parete, gli altri amici sono altrove, ma il morale è alto. Mentre cammino, ripenso ai mantra mentali che mi sono fatto per caricarmi, spero funzionino.
Abbandonate finalmente le jumar, comincio ad arrampicare e realizzo che è proprio bello, sto aprendo il sesto tiro, mai nessuno è passato di li, mi lascio guidare dalla roccia, cerco di scalare rilassato, la parete è tremendamente verticale ed esposta, soffia un vento fresco, mi piace, mi fa sentire uno di quelli forti che fanno cose fighissime. Attrezzo una sosta su un minuscolo ma comodo terrazzino, forse l’unico segno di cedimento della montagna incontrato fino ad ora. Sono contento! Oggi tutto ha funzionato alla grande, ho pensato a quegli alpinisti che escono di casa con in testa una sola parola: avventura. Quelli come Hansjörg Auer, David Lama, Tom Ballard, Daniele Nardi, gente tosta che ai miei occhi, anche se purtroppo non ci sono più, rappresenta il concetto di passione, coraggio e perseveranza. Gente che scalava forte e che mentre lo faceva godeva come non mai. Questo vivido pensiero è stato per me fondamentale, mi ha dato la giusta spinta per fare del mio meglio.
Manca ormai un tiro alla vetta, è il turno di Gabriele, io e Picci in sosta osserviamo attentamente i suoi movimenti ma spesso ci distraiamo anche, ci godiamo lo splendido paesaggio da questo esclusivo punto di vista, pensiamo alla festa che faremo, alla via che sta per concludersi ad un'altra grande avventura da raccontare. Crogioliamo pensando a che fantastico regalo della natura sono state queste placche sommitali da scalare e con cadenza regolare diamo degli incoraggiamenti un po’ random a Gabri: Alè, bravo, margine! ti sto guardando!, feri ultra!! Son sempre quelli da 8 tiri dopotutto ma sembrano funzionare. Ore 15.30 di lunedì 22 aprile 2019. Un urlo prolungato, risate, una birra conservata gelosamente sul fondo dello zaino. Un dissacrante brindisi come siamo soliti fare per dare il via ai festeggiamenti. Niente grigliata di pasquetta in qualche falesia straripante di gente oggi, il Viandante sul Mare di Nebbia, quarta nostra via da apritori, è terminata! Via che ci ha dato tanto bastone e poca carota, ma nonostante questo, ci abbiamo creduto e con coraggio perseverato, portando a casa una grande esperienza.
Sincere congratulazioni a Gabri, Picci e Millo unici compagni possibili per esperienze frizzanti come questa. E grazie anche al mio babbo per essere stato il primo a credere in questo progetto. E infine un pensiero a Paolo.
di Roberto Conti
…"Il morale é sempre alto".
Questa è la regola numero uno che io e i miei tre amici e compagni di cordata Robi, Picci e Millo ci siamo dati quando abbiamo deciso di creare un gruppo per vivere la montagna e l’arrampicata all’insegna dell’avventura, "della qualità, dell’estetica e dell’ingaggio" (regola n.7).
Quella sera, seduti attorno ad un tavolo e non proprio nel pieno delle nostre facoltà mentali, nacque il team "Arrampicare forte, bere forte" e prestammo solenne giuramento sul Decalogo suggellando il tutto con un brindisi.
Da allora ci siamo tolti molte soddisfazioni insieme, affrontando difficili vie di arrampicata, a volte poco ripetute e in ambienti ostili, ma di grandissima qualità. Abbiamo imparato importanti lezioni anche dai fallimenti, sempre vissuti in modo costruttivo e ovviamente, inutile a dirsi, col morale alto.
Quando poi abbiamo dichiarato pubblicamente che "odiamo i brocchi" (regola n.9) ci siamo anche fatti molti nemici, ma ci teniamo a precisare che tale affermazione non deve essere fraintesa: noi non sopportiamo chi fa del "brocchismo" uno stile di vita, accontentandosi della mediocrità e ostentandola senza intenzione di voler migliorare.
Spinti dal desiderio di cacciarsi nei guai, abbiamo cominciato a mettere il naso in questa e in quella vallata alla ricerca di pareti ancora inesplorate per poter guadagnare anche noi un piccolo pezzetto di gloria alpinistica sulle orme dei grandi apritori nostri eroi.
Finché un giorno ci arriva una soffiata: in Val Baione (BS) c’è roccia vergine che vale la pena di andare a vedere. Ci informiamo un po’ sulla zona e scopriamo che in quella valle esiste già una via molto dura, ma dopotutto "non saranno mica tutti mostri" (regola n.10) e quindi forse ci saranno linee di salita più accessibili ancora da scalare.
Eccoci quindi una domenica di metà maggio del 2018, tutti e quattro naso all’insù mentre ci passiamo di mano il binocolo facendo congetture su possibili linee di salita che permettano di vincere l’enorme strapiombo giallo che ci sovrasta. Sì perché la parete sembrava molto, ma molto, ma molto più piccola vista in fotografia ed ora che siamo al suo cospetto scopriamo che la maledetta è pure strapiombante.
L’idea è di salire dal basso, in arrampicata libera e seguendo una linea che sia la più logica ed estetica possibile. Sempre fedeli al mantra "etica ferrea" (regola n.5), gli unici compromessi accettati saranno: un trapano (da usare con molta parsimonia) e un cliff, per rendere la chiodatura più "comoda".
La sorte ha voluto che fossi io ad aprire le danze salendo il primo tiro. Quindi, imbardato come un mulo da soma, i movimenti fluidi e leggeri di un palombaro, comincio a salire verso l’ignoto e ripenso a quel giorno di vent’anni fa quando, con un imbrago preso in prestito, scarponi ai piedi e la corda dall’alto (un canapone degli anni ’80) ho arrampicato i miei primi dieci metri.
Adesso, metro dopo metro, tutti stiamo cercando di dare una risposta alla domanda: "si riuscirà a salire?". E dopo ore di combattimenti con la roccia, dall’alto della prima sosta, a 25 metri da terra, la risposta è: "si passa!".
Solo che vista da vicino, la parte superiore della parete gialla, appare ostica, con tratti friabili e parecchio strapiombanti; ma noi "crediamo fermamente nella generosità della roccia" (regola n.4) e siamo dunque convinti che in un modo o nell’altro troveremo il modo di salire, anche a costo di metterci un anno.
E infatti ci è voluto un anno di duro lavoro: ogni volta il ripido sentiero fino all’attacco, la risalita spacca-braccia sulle corde fisse e l’apertura di un tiro nuovo. Poi la terrificante calata nel vuoto, un ultimo sguardo alla parete verso il punto in cui si è arrivati e la discesa verso il bar più vicino: riteniamo infatti che si debba sempre tenere alto il grado, sia quello arrampicatorio che quello alcolico.
Tanti complimenti a Roby e a Picci che, applicando alla lettera la regola n.6 "quando passaggio diventa più duro, tu usa più forza" hanno aperto i tiri più duri, trovando un modo per uscire dallo strapiombo.
Non potendo vedere dal basso come fosse la parte alta, se ci fosse stata o meno una linea di salita, siamo esplosi di gioia nel vedere la parete proseguire in una serie di placche molto lavorate a buchetti, pronte a condurti per mano fino alla sommità con una serie di movimenti tecnici e atletici. I problemi a questo punto sono due: da qui in poi, cioè dalla quinta sosta, un’eventuale ritirata diventa molto difficile e proprio qui ci sono i due tiri chiave della via. Non sono tuttavia due buoni motivi per desistere, quindi fuori gli attributi e "che i piagnistei vadano in chiesa"! (regola n.8).
Il sopraggiungere dell’autunno ci costringe a sospendere il progetto, ma in primavera, puntuali come il canone Rai, ci presentiamo a rapporto alla base della parete con una sola grande domanda: "come saranno messe le corde fisse dopo aver passato sei mesi all’aperto?". Vi diremo solo che Picci, il primo a fare la risalita, ha dimostrato un grande coraggio e un grande autocontrollo per non badare ai punti in cui la calza rovinata metteva in mostra i trefoli.
Il lunedì di Pasquetta 2019, invece di una bella grigliata al lago, saliamo di nuovo in Val Baione per chiudere definitivamente i conti dopo quasi un anno. Con l’apertura dell’ottavo tiro sbuchiamo quasi in cima al margine sinistro della parete e lì decidiamo di terminare la via, che si dimostra tanto generosa da regalarci anche una linea di calata per la discesa molto comoda (era infatti questo l’ultimo nostro cruccio).
Accanto all’auto, che se ne sta parcheggiata con il baule spalancato, avviene il rito della "conta del materiale". Ogni alpinista infatti conosce minuziosamente a memoria ogni singolo pezzo del "suo tesssoro" fatto di moschettoni colorati, friends e dadi: dal maestoso Camalot misura 5 fino al più piccolo ed insignificante cordino (che però è comunque considerato fondamentale perché "lo uso per appendere la macchina fotografica").
Ma oggi non c’è troppo tempo da perdere perché abbiamo altro da fare: c’è da festeggiare e ce lo siamo proprio meritato! Infatti "ricordati di legittimare la festa" (regola n.3), perché festeggiare senza aver prima sudato e sofferto non dà sapore alla festa.
Così, con la stessa cura di un soldato che smonta la baionetta e ripone il suo fucile dopo aver vinto una battaglia, si toglie la punta da 10mm dal trapano e lo si mette nella sua custodia, pronto per un’altra sfida.E via a tutto gas verso casa con un sacco di cose da raccontare.
Ringraziamo di cuore Gianni per l’aiuto logistico e per la soffiata (sua la proposta della Val Baione) e dedichiamo la via al suo amico Paolo, purtroppo scomparso sui sentieri di quella zona.
Se vi piacciono i posti poco frequentati, l’avventura e l’ingaggio, l’esposizione, l’arrampicata divertente ma un po’ esigente, questa è la via che fa per voi: "provare per credere" (regola n.2).
di Gabriele Tonelli
Si ringrazia Blocco Mentale Brescia per il materiale gentilmente messo a disposizione.
SCHEDA: Il Viandante sul mare di nebbia, Val Baione, Alpi Orobie