Lepini, Circeo e Isola Zannone. La guida di Tommaso Funaro
Ci sono emozioni che stanno lì, da qualche parte nell’anima, incastrate fra giovinezza ed età adulta. Sono quelle emozioni che raccontano di momenti andati, di occasioni, di stati d’animo legati al passato. Luce che filtra da persiane accostate, un caldo che avvolge inesorabile, la voglia di godere del niente. Franco Battiato ha raccontato bene questo stato d’animo in una sua canzone, “Mal d’Africa”: quell’attrazione per la malinconia trasmessa dalle piccole cose che hanno riempito la vita nel suo divenire adulta.
Il mio Mal d’Africa è legato alle estati di villeggiatura passate in un piccolo paese della provincia di Latina e a quei momenti in cui tutto poteva accadere e tutto si aspettava che accadesse. Nel fortunato periodo di quegli anni, estati senza televisione, senza telefoni cellulari, senza videogiochi, il tempo dei tre mesi delle vacanze estive sembrava scorrere secondo altri ritmi. Noi ragazzini quel tempo lo masticavamo e lo digerivamo a grandi morsi, gustandone ogni dolcezza e ogni asprezza come mollica dello stesso pane. Il convivio che ci lasciava però maggiormente soddisfatti arrivava quando, al culmine dell’estate, ricevevamo dai nostri genitori l’agognato permesso ad avventurarci da soli sulla montagna che dominava il paese. Si partiva così che era ancora notte, si saliva all’Eremo di Sant’Erasmo e poi sulla cima del Pizzone e dell’Erdigheta e poi, percorrendo un lungo tratto fra uno stupendo bosco di faggi, si arrivava in vetta al Monte Semprevisa.
Ancor oggi, ripensando a quei giorni, il Mal d’Africa mi prende potente. Una malinconia che però quasi (ma solo quasi purtroppo) si dissolve quando riesco a ritornare in quei luoghi. In quel momento è infatti come se un filo, un cordone ombelicale, tornasse a legarmi e a trasportarmi verso quei giorni lontani. E’ il fascino dei Monti Lepini che fa rivivere in me tempi distanti. Eppure, al di là del sentirmi parte di un luogo che ho vissuto intensamente, è indubbio che questa catena montuosa, con i suoi paesi sparsi per lo più a mezzacosta o sulle pendici, con la sua storia e con le sue genti, nasconda in sé un fascino ancora particolare. L’acqua oramai è arrivata in tutte le case e le donne non devono più fare la fila alla fontana del paese con le conche sulla testa. Allo stesso tempo, le festa in piazza dell’estate hanno probabilmente perso quel sapore forte legato alla tradizione, così come è diminuito il numero di quanti erano legati alle attivi agresti. Non passa nemmeno più il banditore per il paese per avvisare, attraendo l’attenzione con squilli di trombetta, delle disposizioni comunali. Eppure, in qualche modo, è possibile ancora percepire forte lo stretto legame che intercorre fra la gente e quella natura, a prima vista sempre meno aspra, che costituisce il territorio dei Monti Lepini.
Per questo ho apprezzato il nuovo volume edito dalle Edizioni VersanteSud. Tommaso Funaro, l’autore della guida “Lepini, Circeo e Isola Zannone” pur vivendo oramai da anni all’estremo nord d’Italia, in Valle D’Aosta, è così legato alla terra che lo ha visto nascere da dedicargli un lavoro di oltre quattrocento pagine in cui descrive nel modo più completo le possibilità escursionistiche dei Monti Lepini.
Una raccolta di sessantasette itinerari in cui vengono descritti accessi, linee di salita, varianti, percorsi ad anello e alte vie dei monti di questo gruppo ancora poco conosciuto. Qui l’escursionismo ha ancora un aspetto differente dal pedissequo aggiungere un passo dietro l’altro: in quest’ambiente di media montagna, che offre comunque frequenti affacci sulla Pianura Pontina, il Tirreno e le isole di Ponza, Ventotene, Zannone e Palmarola su un versante e sull’intera catena appenninica dall’altro, camminare diventa veramente parte del conoscere non la parte superficiale ma l’essenza dei luoghi e delle genti che lo popolano.
Un tempo era facile, vagando per questi monti, trovare accoglienza e ospitalità da parte di pastori e contadini in una delle tante lestre, le capanne di pietre dal tetto conico di fascine. Oggi è più difficile, complice e colpa dell’abbandono di tante attività agricole di media montagna a favore di stili e modi di vita più semplici e meno gravosi. Eppur, quel forte senso di ospitali non è mai venuto meno, rintracciabile spesso in altre forme e modi.
La guida di Tommaso Funaro, fra i tanti, ha proprio questo pregio: il voler tendere ancora una volta un filo con quel mondo passato e provare a raccontarlo attraverso il suo territorio a chi voglia avvicinarlo. Un prendere per mano e accompagnare nella visita, come si fa con un amico cui vengono aperte le porte di quel luogo custode di affetti e ricordi che prende il nome di casa.
di Alberto Sciamplicotti