Con Una Montagna Come Casa di Alberto Sciamplicotti
Il cortometraggio di Alberto Sciamplicotti “Con Una Montagna Come Casa” che racconta la storia di Pasquale Iannetti, Guida Alpina che ha scelto l'Appennino e le pareti del Gran Sasso come la sua terra.
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Una scena del film Con Una Montagna Come Casa di Alberto Sciamplicotti
E. Iannetti, A. Sciamplicotti
Raccontare credo voglia dire mettere una dietro l’altra parole e frasi per descrivere qualcosa. Ma qualunque cosa, un paesaggio, un’emozione, una storia, per poter essere adeguatamente raccontato deve, necessariamente, essere conosciuto.
Persino se si tratta di un fatto immaginario questo è vero: ci deve essere la conoscenza, anche del frutto di una elaborazione mentale, perché il racconto sia coerente. Se poi la pretesa è quella di descrivere una o più persone allora, se il racconto ha la pretesa di essere anche veritiero, la conoscenza deve essere un po’ meno che superficiale.
Negli anni ho provato a raccontare varie storie, quasi tutte ambientate nel mondo della montagna: dalla selva di aneddoti che circondano come leggenda Pierluigi Bini, Vito Plumari e il loro “alpinismo spontaneo” della seconda metà degli anni ’70, alle vicende piene di amicizia legate al periodo in cui l’Hotel Col di Lana, al Passo del Pordoi, era considerato il vero Campo base delle Dolomiti e aveva protagonisti alpinisti come Almo Giambisi, Ben Laritti, Giancarlo Milan, Luisa Iovane. Fatti poi narrati in “Rotti e stracciati” dell’editrice CDA e in “Quelli del Pordoi” della VersanteSud.
Per questo come per tanti racconti in cui ho provato a ricostruire la vita di persone reali, è stato necessario affrontare un lungo periodo di conoscenza. Letture, interviste, chiacchierate che sono servite, oltre che a raccogliere informazioni, a entrare “in sintonia mentale” con i protagonisti e le loro scelte: non per giudicare, ma solo per provare a raccontare al meglio della verità storica.
Un racconto, una descrizione, può dipanarsi non solo in qualche riga di scrittura, ma anche in un’immagine fotografica o in un video. Quello che conta è la voglia di evocare sensazioni e situazioni. Il mezzo scelto serve solo per aiutare nell’esposizione e deve essere funzionale alla narrazione.
Così, dopo aver provato a raccontare attraverso fotografie ed essere passato per la narrazione scritta, ho voluto provare a raccontare attraverso il mezzo filmico e, facendo questo, ho scoperto che una telecamera ha un gran vantaggio: chi riprende è in realtà nascosto dietro lo strumento tecnologico, celato dall’insieme di obiettivo, sensore e meccanismo di trascinamento, per cui qualunque domanda faccia arriva al soggetto della ripresa in un modo più anonimo e distante che se venisse posta “faccia a faccia”.
Il risultato di questa intermediazione tecnologica è duplice: da una parte l’intervistatore riesce a proporre domande più dirette, dall’altro, chi viene ripreso, ha più facilità a rispondere. Così, un mezzo tecnologico che sembrerebbe allontanare riesce invece spesso ad avvicinare.
Nel cortometraggio: “Con Una Montagna Come Casa”, ho provato a raccontare una Guida Alpina Appenninica, Pasquale Iannetti, qualcuno cioè che svolge il lavoro di accompagnatore su itinerari alpinistici sostanzialmente dislocati non sull’arco alpino, ma su quello appenninico e in particolare sul Gran Sasso, che della catena montuosa che scende tutta l’italica penisola è sicuramente la vetta più rappresentativa.
Non so se questo lavoro possa avere in sé grandi qualità artistiche. So però per certo quale era l’intento di questo piccolo film (22’ di durata): provare a raccontare, cercando di farlo nel modo più veritiero possibile, un uomo. Un semplice uomo che, incidentalmente ha deciso di fare “il più bel mestiere del mondo”, quello di guida alpina.
di Alberto Sciamplicotti
Altri racconti, narrati con scritti, fotografie o video, sono disponibili su www.sciampli.it
Persino se si tratta di un fatto immaginario questo è vero: ci deve essere la conoscenza, anche del frutto di una elaborazione mentale, perché il racconto sia coerente. Se poi la pretesa è quella di descrivere una o più persone allora, se il racconto ha la pretesa di essere anche veritiero, la conoscenza deve essere un po’ meno che superficiale.
Negli anni ho provato a raccontare varie storie, quasi tutte ambientate nel mondo della montagna: dalla selva di aneddoti che circondano come leggenda Pierluigi Bini, Vito Plumari e il loro “alpinismo spontaneo” della seconda metà degli anni ’70, alle vicende piene di amicizia legate al periodo in cui l’Hotel Col di Lana, al Passo del Pordoi, era considerato il vero Campo base delle Dolomiti e aveva protagonisti alpinisti come Almo Giambisi, Ben Laritti, Giancarlo Milan, Luisa Iovane. Fatti poi narrati in “Rotti e stracciati” dell’editrice CDA e in “Quelli del Pordoi” della VersanteSud.
Per questo come per tanti racconti in cui ho provato a ricostruire la vita di persone reali, è stato necessario affrontare un lungo periodo di conoscenza. Letture, interviste, chiacchierate che sono servite, oltre che a raccogliere informazioni, a entrare “in sintonia mentale” con i protagonisti e le loro scelte: non per giudicare, ma solo per provare a raccontare al meglio della verità storica.
Un racconto, una descrizione, può dipanarsi non solo in qualche riga di scrittura, ma anche in un’immagine fotografica o in un video. Quello che conta è la voglia di evocare sensazioni e situazioni. Il mezzo scelto serve solo per aiutare nell’esposizione e deve essere funzionale alla narrazione.
Così, dopo aver provato a raccontare attraverso fotografie ed essere passato per la narrazione scritta, ho voluto provare a raccontare attraverso il mezzo filmico e, facendo questo, ho scoperto che una telecamera ha un gran vantaggio: chi riprende è in realtà nascosto dietro lo strumento tecnologico, celato dall’insieme di obiettivo, sensore e meccanismo di trascinamento, per cui qualunque domanda faccia arriva al soggetto della ripresa in un modo più anonimo e distante che se venisse posta “faccia a faccia”.
Il risultato di questa intermediazione tecnologica è duplice: da una parte l’intervistatore riesce a proporre domande più dirette, dall’altro, chi viene ripreso, ha più facilità a rispondere. Così, un mezzo tecnologico che sembrerebbe allontanare riesce invece spesso ad avvicinare.
Nel cortometraggio: “Con Una Montagna Come Casa”, ho provato a raccontare una Guida Alpina Appenninica, Pasquale Iannetti, qualcuno cioè che svolge il lavoro di accompagnatore su itinerari alpinistici sostanzialmente dislocati non sull’arco alpino, ma su quello appenninico e in particolare sul Gran Sasso, che della catena montuosa che scende tutta l’italica penisola è sicuramente la vetta più rappresentativa.
Non so se questo lavoro possa avere in sé grandi qualità artistiche. So però per certo quale era l’intento di questo piccolo film (22’ di durata): provare a raccontare, cercando di farlo nel modo più veritiero possibile, un uomo. Un semplice uomo che, incidentalmente ha deciso di fare “il più bel mestiere del mondo”, quello di guida alpina.
di Alberto Sciamplicotti
Con Una Montagna Come Casa di Alberto Sciamplicotti from Planetmountain.com on Vimeo.
Altri racconti, narrati con scritti, fotografie o video, sono disponibili su www.sciampli.it
Note:
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www.sciampli.it |
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