Coffee Break Interview: Vittorio Messini / Tommy Caldwell

Coffee Break Interview #10: l'alpinista italo-austriaco Vittorio Messini e la stella statunitense Tommy Caldwell sono i protagonisti della decima puntata del progetto curato da Daniela Zangrando per esplorare sogni, desideri e limiti dei protagonisti dell'arrampicata e dell'alpinismo.

VITTORIO MESSINI

Daniela Zangrando: Il passo chiave*.
Vittorio Messini:
La partenza! Salire in macchina la mattina, all’alba. Uscire fuori dalla tendina quando è ancora buio e freddo. O riscaldarsi le mani, strofinandole, prima di iniziare il tiro chiave di una lunga via…

D.Z.: Cosa vuol dire spostare il limite?
V.M.:
Hai un determinato obiettivo, ti alleni, nutri dei dubbi, ma credi in te stesso e se riesci a raggiungerlo è come se avessi sempre saputo di potercela fare.
Penso che il limite sia uno degli aspetti più importanti nella motivazione alpinistica. Si può suddividere in generale (quello di tutti gli arrampicatori, alpinisti, etc.), in limite dato dai social network, e limite proprio, ovvero quello di ogni singolo essere umano. È quest’ultimo che dovrebbe essere l’unico stimolo e il pungolo, in grado di far desiderare un avanzamento e un superamento. I giorni, le ore, o i secondi che dura lo sforzo per spostare il proprio limite sono quelli che ognuno di noi cerca e mai più dimentica. Il titolo del film di Stefan Glowacz, i, (trad.it. I cacciatori dell’attimo), credo spieghi proprio questo spazio di tempo assai preciso.

D.Z.: I tuoi limiti, ora.
V.M.:
Ogni anno che passa e che dedico all’arrampicata e alla montagna, mi aiuta a conoscere me stesso sempre meglio, facendomi capire quello che voglio e che forse potrei riuscire a fare. Questo mi fa essere molto più determinato con i miei obiettivi. Avendo potuto e potendo arrampicare con Herbert Ranggetiner, Isidor Poppeller, Alex Blümel, Simon Gietl e tanti altri, sono riuscito a imparare qualcosa sia sui fattori mentali che tattici che influenzano il compimento di un progetto. Questo mi ha facilitato non solo nella scelta degli obiettivi, ma soprattutto nella realizzazione. I miei veri limiti sono diventati, a dire la verità, non i gradi o le distanze, ma il tempo e i soldi…

D.Z.: Se non dovessi più fare il climber, cosa faresti? Hai un piano altro, parallelo?
V.M.
: Per prima cosa, io non mi posso definire climber, poiché per me il climber è uno che arrampica e/o fa alpinismo e viene sponsorizzato. Io il mio pane quotidiano lo devo guadagnare facendo la guida alpina, poi nel tempo libero mi posso dedicare ai miei progetti.
Detto questo, ho sempre fatto sport fin da bambino, e credo che se non andassi più in montagna ad arrampicare, dovrei comunque fare qualcosa di sportivo. Dato che dai sei agli undici anni ho fatto canoa ai Canottieri “Firenze”, credo che tornerei a dedicarmi ad uno sport d’acqua.

D.Z.: Cosa ti piacerebbe cambiare del mondo dell'arrampicata? Di questo che a tutti gli effetti penso sia il tuo lavoro?
V.M.:
Secondo me oggi manca l’umiltà. Dal punto di vista etico, mi augurerei che chi ha in mente di aprire una nuova via su una parete, rispetti sia la storia della parete che le generazioni future, quelle “post-Ondra”, quando magari ci sarà qualcuno che salirà tranquillamente in libera un 10c+!
È per questo che mi piace sempre di più lo stile di Simon Gietl, che dove non riesce ad arrivare senza il trapano, lascia spazio a chi lo seguirà, e torna a casa. C’è sempre meno gente che sa dire di no: no è troppo pericoloso, no non ci sono le condizioni giuste, no non sono in forma. Oltre a questo, sulle vie lunghe classicissime, dalla Comici alle Tre Cime, alla Colton McIntyre alle Grandes Jorasses, vedi sempre più gente che non dovrebbe essere lì. E qui entra in gioco anche il fattore social media, perché sembra che senza Facebook nessuno sappia se la Comici è asciutta o se sulla Colton c’è ghiaccio. Uno sguardo veloce alla relazione: 6b, bene, l’ho fatto ieri in palestra, domani partiamo! A tanta gente manca la preparazione non solo fisica, ma proprio sul posto: l’avvicinamento com’è? C’è rischio di scariche di sassi in parete? C’è ghiaccio nella discesa? Tante di queste domande non trovano sicuramente risposta in un post di Facebook, e per farsi una propria opinione bisogna prendersi del tempo, e magari partire un giorno prima… Quindi, meno consumazione fast food delle classicissime (d’altro canto, basta guardare appena di fianco per scoprire che c’è una bella via), un po’ meno Facebook e selfies e un paio di birre in più al bar, a chiacchierare e scherzare su una giornata passata in montagna.

D.Z.: Descrivimi il luogo. Quel posto che senti tuo. Dove puoi rifugiarti, pensare, distruggere, gridare.
V.M.:
Qualsiasi luogo all’aria aperta, preferibilmente in montagna, lontano dalla massa.

D.Z.: E per ultima cosa un sogno. Che meriti di essere chiamato tale.
V.M.:
Il ritorno a casa, dopo una nuova via riuscita, stando assieme alla mia famiglia, mangiando una buona rosticciana davanti al fuoco…. ;-)


TOMMY CALDWELL

Daniela Zangrando: Il passo chiave.
Tommy Caldwell
: In generale uso questa espressione per descrivere la parte più difficile di qualsiasi impresa. Il passo chiave della salita, della vita, del viaggio. Penso che per gli scalatori sia un modo per dare senso all’arco narrativo. Aiuta a mettere in risalto il climax emotivo di ogni impresa.

D.Z.: Cosa vuol dire spostare il limite?
T.C.:
Trovo energia nel vivere la vita al suo massimo. E per me questo significa sforzarsi per raggiungere obiettivi e sogni. Il limite non è un termine che mi piace usare, perché implica un’idea di confine. Le idee riguardo cosa siano i nostri limiti sono in continua evoluzione.

D.Z.: I tuoi limiti, ora.
T.C.:
Non ne ho idea.

D.Z.: Se non dovessi più fare il climber, cosa faresti? Hai un piano altro, parallelo?
T.C.:
Sicuramente tornerei alle altre passioni della mia vita. Un uomo di famiglia, un amante della natura e della montagna. Chissà. Magari arrampicare mi distrae da altre nobili occupazioni.

D.Z.: Cosa ti piacerebbe cambiare del mondo dell'arrampicata? Di questo che a tutti gli effetti penso sia il tuo lavoro?
T.C.:
Cambierei il fatto che l’arrampicata è dominata in gran parte da gente ricca e bianca. Mi piacerebbe vedere più diversità.

D.Z.: Descrivimi il luogo. Quel posto che senti tuo. Dove puoi rifugiarti, pensare, distruggere, gridare.
T.C.:
El Cap è stato questo posto per me per quasi metà della mia vita.

D.Z.: E per ultima cosa un sogno. Che meriti di essere chiamato tale.
T.C.:
Mi piacerebbe prendere parte ad un movimento in cui gli scalatori (e i non scalatori) siano in grado di mettere a frutto l’amore che hanno sviluppato nei confronti di questo mondo, usandolo per apportare significativi cambiamenti ambientali.

Daniela Zangrando 

>> Tutti gli articoli Coffee Break di Daniela Zangrando 

* Il termine “crux” in inglese identifica sia “il passo chiave” in senso alpinistico che “la chiave” vista come punto cruciale, soluzione, elemento nodale della vita quotidiana. Gli intervistati sono stati lasciati liberi di intendere o fraintendere il termine a loro piacimento.




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