Coffee Break Interview: Sean Villanueva O'Driscoll / Corrado Korra Pesce

Sean Villanueva O'Driscoll è belga, e Corrado Korra Pesce è italiano. Ma sono uomini e alpinisti del mondo. Ecco la nona puntata di Coffee Break Interview, il progetto curato da Daniela Zangrando per esplorare sogni, desideri e limiti dei protagonisti dell'arrampicata e dell'alpinismo.

SEAN VILLANUEVA O'DRISCOLL

Daniela Zangrando: Il passo chiave*.
Sean Villanueva O’Driscoll:
Emozioni.

D.Z.: Cosa vuol dire spostare il limite?
S.V.O.D.:
Uscire dalla tua zona di comfort. Mettere sotto stress la mente, il corpo e l’anima.

D.Z.: I tuoi limiti, ora.
S.V.O.D.:
Non pongo limiti a me stesso. È una questione aperta.

D.Z.: Se non dovessi più fare il climber, cosa faresti? Hai un piano altro, parallelo?
S.V.O.D.:
Sono sicuro che riuscirei a tenermi occupato… adoro l’avventura… quindi probabilmente o una qualche specie di avventuriero o un monaco.

D.Z.: Cosa ti piacerebbe cambiare del mondo dell'arrampicata? Di questo che a tutti gli effetti penso sia il tuo lavoro?
S.V.O.D.:
Forse vorrei che la gente lasciasse meno immondizia e tracce in montagna e in falesia.
E poi penso che le persone la prendano troppo sul serio a volte… è solo arrampicata.

D.Z.: Descrivimi il luogo. Quel posto che senti tuo. Dove puoi rifugiarti, pensare, distruggere, gridare.
S.V.O.D.:
Posso essere a casa ovunque. Ma preferisco posti selvaggi, aspri, potenti.

D.Z.: E per ultima cosa un sogno. Che meriti di essere chiamato tale.
S.V.O.D.:
Io sto vivendo il Sogno con la S maiuscola!!!


CORRADO KORRA PESCE

Daniela Zangrando: Il passo chiave.
Corrado Korra Pesce:
Il passo chiave è quello che dà un certo sapore a una via, che la rende più interessante. A volte è inaspettato, perché ci sono tantissime variabili che possono rendere memorabile anche il passaggio più semplice; altre volte è qualcosa di conosciuto… un passo di arrampicata, per esempio, che si può riprodurre sul pannello a casa, studiando quella che sarà la sua risoluzione in parete.
La storia dell’arrampicata è, almeno per il trenta per cento, la storia di tanti passi chiave!

D.Z.: Cosa vuol dire spostare il limite?
C.K.P.:
Fare un sacco di sforzi. Da un lato per cercare il proprio limite, cosa che può far paura a molti, e poi per rifare le stesse cose ancora e ancora. Nell’arrampicata magari può comportare l’accettazione di cadere, a volte anche per diversi secondi. Nell’alpinismo può significare aver consapevolezza della sofferenza che si prova quando si ammette il pericolo, la fatica, la mancanza di cose semplici e normalmente facili da ottenere, come il calore, o come qualcuno con cui scambiare due chiacchiere.
Cercare di spostare i propri limiti allora forse non vuol dir altro che sapere di rintracciare una forma di piacere nel fatto di infliggere a se stessi un sacco di tormenti.

D.Z.: I tuoi limiti, ora.
C.K.P.:
Il mio limite è questo. Mi sono appassionato e specializzato in ambiti dell’arrampicata in cui ci si può fare male in tantissimi modi diversi. Allo stesso tempo, ho un lavoro e uno stile di vita che mi obbligano ad essere in grado di praticare la montagna, lo sci e l’alpinismo fino all’età pensionabile. Questo mi costringe a scegliere bene i miei obiettivi, anche perché so che una volta che mi sento in ballo, di solito sono poco propenso a frenare o abbandonare le salite per le quali perdo letteralmente la testa.

D.Z.: Se non dovessi più fare il climber, cosa faresti? Hai un piano altro, parallelo?
C.K.P.:
Lavoro come Guida Alpina, il che significa che se non posso arrampicare non posso nemmeno lavorare. Le condizioni in cui ero quando mi sono addentrato in questo sport hanno fatto sì che dovessi investire tutte le risorse fisiche e mentali per riuscire. Nessun piano B. Todo o nada. È stato così perché arrivavo da lontano, e con zero mezzi. Ovviamente sconsiglio a tutti i giovani di mettersi in una situazione del genere. A me è andata bene.
Non conto di fare altro. Non credo ci sia nessun’altra passione che possa stimolarmi abbastanza da farmi cambiare stile di vita.

D.Z.: Cosa ti piacerebbe cambiare del mondo dell'arrampicata? Di questo che a tutti gli effetti penso sia il tuo lavoro?
C.K.P.:
Non c’è nulla in particolare che vorrei cambiare. Diciamo però che c’è una minaccia da non sottovalutare, che riguarda la libertà di scalare le bellissime falesie che sono disseminate un po’ ovunque: mi sa che tra vent’anni almeno la metà di queste avrà un divieto di accesso, o sarà destinata ad essere sfruttata in altro modo.
Per chi pratica l’alpinismo e lo sci, c’è poi un fattore ben più preoccupante. Il cambiamento (irreversibile) del clima è qualcosa che mi spaventa molto più di dieci anni fa. Lo vedo ogni giorno, stagione dopo stagione… è come un’ombra che incombe sulla bellezza delle magnifiche giornate che passo in montagna. Bisogna poter difendere ciò che amiamo fare. Per me è l’unico punto che valga la pena di essere discusso. Il resto è veramente poco importante.

D.Z.: Descrivimi il luogo. Quel posto che senti tuo. Dove puoi rifugiarti, pensare, distruggere, gridare.
C.K.P.:
Per fortuna quel luogo non é lontano… è dentro di me. Ovviamente se dovessi spendere troppo tempo a gridare e distruggere qualcosa dentro me stesso, non sarebbe un bene. Ho accumulato tanti bei ricordi e soddisfazioni in montagna e posso trovare dei momenti di piacere nel semplice fatto di immergermi tra tutti questi pensieri. Ma non è sempre stato così, anzi.

D.Z.: E per ultima cosa un sogno. Che meriti di essere chiamato tale.
C.K.P.:
I sogni sono sogni. Forse è meglio che rimangano tali. Se poi non sono all’altezza di esserlo, rischiano di diventare ossessioni. O, peggio ancora, incubi.

Daniela Zangrando 

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* Il termine “crux” in inglese identifica sia “il passo chiave” in senso alpinistico che “la chiave” vista come punto cruciale, soluzione, elemento nodale della vita quotidiana.
Gli intervistati sono stati lasciati liberi di intendere o fraintendere il termine a loro piacimento.




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