Coffee Break Interview: Peter Ortner / Silvio Reffo
PETER ORTNER
Daniela Zangrando: Il passo chiave*.
Peter Ortner: Riuscire a realizzare le proprie idee in montagna e poi tornarsene in valle sani e salvi.
D.Z.: Cosa vuol dire spostare il limite?
P.O.: "Limite" è una parola inflazionata, ma devi interpretarla in modo diverso. Io sono al limite quando non sono sicuro della mia situazione, e sento una paura che però non mi opprime, ma mi permette di concentrarmi sulla situazione stessa, in modo da poter fare la cosa giusta. Se riesco a tenere alta la concentrazione sull’essenziale e allo stesso tempo a rimanere calmo, sono in grado di gestire tutto. In fin dei conti, come atleta, vado proprio alla ricerca del limite: quando corpo e mente giocano a perfezione assieme, allora lo posso oltrepassare.
D.Z.: I tuoi limiti, ora.
P.O.: Al momento non lo so. Posso solo dirti che quando mi metto in testa un progetto e lo realizzo, mi preparo intensamente e supero il limite grazie ad un training che è sia fisico che mentale, e fa sì che io arrivi al compimento delle mie idee. Se non ce la faccio, il limite ha vinto.
D.Z.: Se non dovessi più fare il climber, cosa faresti? Hai un piano altro, parallelo?
P.O.: Sinceramente spero di poter invecchiare in montagna.
Comunque da undici anni ho una società in cui sono molto attivo… in caso penserò ad espanderla.
D.Z.: Cosa ti piacerebbe cambiare del mondo dell'arrampicata? Di questo che a tutti gli effetti penso sia il tuo lavoro?
P.O.: Sono un alpinista semi-professionista e normalmente lavoro per mantenermi abbastanza in forma da riuscire a ottenere quello che voglio in montagna. Penso che questo sport dovrebbe tornare all’essenziale. Al momento, il marketing e la presenza massiccia dei media paiono essere più importanti delle prestazioni stesse Bisogna fare un passo indietro, guardando all’origine, e concentrarsi sullo sport.
D.Z.: Descrivimi il luogo. Quel posto che senti tuo. Dove puoi rifugiarti, pensare, distruggere, gridare.
P.O.: è dove non devo fingere nulla. Fa poca differenza se sono a casa o in parete.
D.Z.: E per ultima cosa un sogno. Che meriti di essere chiamato tale.
P.O.: Per me, un sogno non è un capitolo. È un sogno vero e proprio solo se sento il desiderio di realizzarlo. Ma se vuoi convertire tutto questo in capitoli, sicuramente dovrebbero arrivare fino alla z!
SILVIO REFFO
Daniela Zangrando: Il passo chiave.
Silvio Reffo: È il momento che ti fa spremere anima e corpo, che chiede il 100%. Concentri tutto te stesso, in pochi attimi, in poche prese. È il fulcro del viaggio, da quando parti a quando arrivi. Di solito è una sezione che crea paura, ansia, ma allo stesso tempo mette in una condizione di particolare rispetto, che potrei chiamare davvero reverenziale, e sta appena prima del tentativo. Al suo interno, ci sono tutti quei movimenti per cui vale la pena allenarsi, molto, e fare sacrifici.
D’altra parte, l’idea di un passo chiave può andare ben oltre la scalata, rappresentando un po’ la svolta decisiva che, prima o poi, ti aspetta nella vita.
D.Z.: Cosa vuol dire spostare il limite?
S.R.: Spostare il limite vuol dire entrare in una dimensione dove corpo e mente lavorano talmente bene insieme che ciò che ti sembrava impossibile diventa semplice, "naturale". Non per forza deve essere un limite numerico, conferito dal grado, ma piuttosto una sensazione profonda di evoluzione costante, al di là dei paletti fisici e/o mentali che in qualche modo c’imponiamo. Anche in questo caso si potrebbe, tranquillamente, trasferire il discorso al di fuori del mondo dell’arrampicata.
D.Z.: I tuoi limiti, ora.
S.R.: Ciò che mi limita maggiormente al momento è il non riuscire sempre a mantenere una motivazione costante. Quella necessaria, equilibrata. Penso sia una componente indispensabile, che spinge, per l’appunto, a superare le difficoltà, a continuare a credere in te stesso, nonostante i fallimenti, e stimola una perenne "fame" nello/dello scalare.
D.Z.: Se non dovessi più fare il climber, cosa faresti? Hai un piano altro, parallelo?
S.R.: Dal punto di vista sportivo, se non dovessi più arrampicare, penso che mi dedicherei a un’attività, uno sport, che riesca a regalarmi, sempre e comunque, sensazioni positive e appagamento personale.
Dal punto di vista professionale, oltre a essere climber, sono anche fisioterapista, il che, al pari della scalata, mi soddisfa ampiamente. Quindi, per il momento, qualsiasi sia il mio impegno quotidiano, nel mondo del verticale o nel campo della fisioterapia, posso affermare che vivo, comunque, con estrema passione la mia giornata.
D.Z.: Cosa ti piacerebbe cambiare del mondo dell'arrampicata? Di questo che a tutti gli effetti penso sia il tuo lavoro?
S.R.: Quello che mi piacerebbe cambiare del mondo dell’arrampicata credo sia la qualità della comunicazione. Trovo che l’arrampicata e il mondo verticale stiano perdendo il senso della comunicazione di un messaggio con contenuti sensati, utili e profondi.
D.Z.: Descrivimi il luogo. Quel posto che senti tuo. Dove puoi rifugiarti, pensare, distruggere, gridare.
S.R.: Di fatto non esiste uno specifico luogo dove mi sento a mio agio, o più sicuro. Posso dire che tutte le volte che stacco i piedi da terra per affrontare una sfida verticale entro nel "mio" luogo, nel mio sogno, in una bolla che mi permette un intimo contatto con me stesso.
D.Z.: E per ultima cosa un sogno. Che meriti di essere chiamato tale.
S.R.: Sogno semplicemente di non smettere di avere sogni, di non pensare mai di essere "arrivato", ma di continuare a progettare, a reinventarmi. Penso che non sognare sia un po’ come rimanere senza cibo. Non si sopravvive.
* Il termine "crux" in inglese identifica sia "il passo chiave" in senso alpinistico che "la chiave" vista come punto cruciale, soluzione, elemento nodale della vita quotidiana. Gli intervistati sono stati lasciati liberi di intendere o fraintendere il termine a loro piacimento.
Daniela Zangrando
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