Andrea Gelfi e la placca sospesa nel tempo delle Alpi Apuane

Il racconto di Andrea Gelfi che sul Monte Altissimo nel parco delle Alpi Apuane ha liberato Lo Smanacchino. Una via estremamente bella, che però rischia di essere intaccata dalla riapertura di una cava per l'estrazione del marmo.
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Andrea Gelfi libera Lo Smanacchino, Monte Altissimo, Alpi Apuane
Alessandro Serravalle

Monte Altissimo, Alpi Apuane, un territorio selvaggio, aspro, ricco di guglie, pareti e acqua, uno scenario unico per la sua morfologia. Monte pieno di storia e fascino, accessibile da più versanti peraltro molto diversi fra di loro. Monte costituito di materia pregiata, monte di marmo. Il suo essere prezioso è ciò che crea il paradosso: spaccato a metà, tra bellezza e distruzione. L’attività dell’estrazione marmifera si manifesta infatti in scenari di grande devastazione. Le cave sono attive su vari fronti, ma per fortuna ci sono ancora versanti intatti.

Incuriosito dall'ambiente selvaggio e dalla bellezza dei colori della roccia, ho cercato falesie vergini ed in esse belle linee, mosso dal desiderio della scoperta di appigli e forme nuove. Sopra la testa lo stridio delle poiane, e la compagnia delle capre selvatiche. Considero un regalo prezioso godere dell'intimità con la natura, lontano dalle falesie affollate.

L’accesso al sentiero è sbarrato da un cancello (si passa sul lato….) quindi sebbene poco visibile, il sentiero esiste. Camminando non si può non notare la duplicità a cui sopra abbiamo accennato: paesaggio conservato nella sua autenticità e la deturpazione lasciata dall’estrazione del marmo. Incontrerete per esempio una sorgente la cui acqua viene utilizzata per il taglio del marmo (l’acqua da cui nasce il fiume Serra viene intubata e condotta fino a 1200 metri di altezza dove si trovo la cava). Mi sono spinto per 40 minuti sul versante sud percorrendo il sentiero CAI 32.

Quando la bellezza appare, ti avvolge. Nasce così Lo Smanacchino, una placca di roccia perfetta, compatta , liscia, forse troppo, e leggermente appoggiata. Totalmente in controtendenza rispetto allo stile odierno. Mi chiedo se sia possibile, mi domando se sia scalabile. Non trovo soluzioni per salire, non mi do pace. Nei giorni successivi alla chiodatura non penso ad altro che alla via. Qualcuno magari lavorerebbe di trapano, ma non fa per me. Non è la roccia che si deve adattare alle capacità degli scalatori, è semmai il contrario... noi ci dobbiamo adattare alla roccia.

Non è consentito avere fretta di fronte ad una linea naturale cosi elegante e particolare, solamente per accelerare la riuscita; non ci sono scorciatoie. Per salire devo individuare le modalità e le sequenze, le possibilità di utilizzo dei pochi appigli, l’aderenza che è la chiave di risoluzione dell'enigma. Dopo una settimana riesco ad avere fra le mani i pezzi del puzzle, adesso devo comporre la figura.

La realizzazione dei nostri piccoli sogni arriva quando meno te lo aspetti. Una mattina salgo per un tentativo, penso che non sia giorno, mi sento stanco e teso ed ho la testa avvolta da pensieri negativi.

Provo comunque senza nessuna aspettativa, ma riesco a creare il vuoto intorno concentrandomi unicamente sui movimenti da eseguire. In uno stato di trance mi trovo fuori dal tratto chiave della via. Il problema è che conosco poco la parte che mi rimane da salire, quella più in alto che sembra più facile.

Nonostante questo si rivela un'agonia (forse anche per l’emozione di avere in tasca la via), devo improvvisare dei movimenti molto precari. Dopo circa mezz'ora di battaglia mi ritrovo in sosta. Sono incredulo.

Mi è difficile dare un grado alla via, direi che in base alla mia esperienza possa essere una delle placche appoggiate più dure del centro Italia. Aspetto che venga ripetuta per potere confermare la difficoltà, dato che penso possa iniziare con il numero 8 e per condividere l’esperienza con qualcuno augurandomi che ne sappia cogliere la bellezza.

È stato stimolante dopo tanti anni di scalata e di aperture di molti itinerari trovare qualcosa che avesse uno stile completamente diverso e dove lo spalmo e la scioltezza di bacino sono indispensabili per la riuscita. Tra i monti e il mare, perdersi nel silenzio.

Oggi questo luogo intimo rischia di essere perduto. Mi sento pertanto di difendere cio’ che è un patrimonio unico, non solo a livello arrampicatorio ed alpinistico, ma anche per fauna e biodiversità. Sempre più le amministrazioni locali e la Regione Toscana non sanno dare il giusto valore a questo territorio irripetibile. La tutela dell’ambiente diventa un atto di resistenza nei confronti di scelte economiche poco lungimiranti. Chi ama le montagne e la roccia deve trovare le parole per richiamare alla sensibilità per sostenere approcci più sostenibili e di rispetto dell’ecosistema del Parco Regionale delle Apuane.

Tanto per riflettere: sul Monte Altissimo sono attive al momento 4 cave per l’estrazione del marmo. Sono completamente assenti politiche di ripristino ambientale dei terreni estrattivi dismessi.

Ringrazio per le immagini Alessandro Serravalle, Flavia Lanfredini per la sicura e l’amicizia, Del Cima Serena e i miei sponsor Boreal, E9, Versante Apuano.

di Andrea Gelfi




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