E se fossero stati gli alieni...? Nuova via sul Monte Croce nelle Alpi Apuane
Il Monte Croce, docile cima delle Apuane meridionali, è conosciuto come la montagna delle giunchiglie, ogni anno a maggio, una bellissima fioritura ne ricopre gli erbosi fianchi sommitali. La sua cima è molto frequentata da gruppi più o meno numerosi di persone, che vi salgono per ammirare le migliaia di fiori che formano un bellissimo tappeto bianco su un mare verde, vero e proprio spettacolo della natura apuana.
L'incontro delle sue creste, a formare una croce, sembra sia l'origine del nome di questo monte, che, se osservato dai versanti meridionale e orientale, ha la forma di grosso ed erboso collinone, che ricorda più il vicino dolce Appennino che le aspre e ardite Apuane.
Grazie a queste caratteristiche ha da sempre attirato più l'escursionista che l'arrampicatore, in verità il versante nord, ma soprattutto quello ovest, sono assai dirupati in quanto la montagna "si appoggia su un zoccolo calcareo" (1) che fa mostra di se con belle strutture rocciose.
Il triangolare versante nord è breve ma molto scosceso, con rocce frammiste ad erba con alla base alcuni pilastri di bell'aspetto separati da canali, mentre quello ovest, decisamente più interessante per l'arrampicatore, presenta una bella ed estesa parete che forma un verticale avancorpo roccioso dove, da tempo, mi girava per la testa l'idea di aprirvi una nuova via. Questa parete compresa tra la Foce delle Porchette a destra e la Foce di Petrosciana a sinistra, più estesa in orizzontale che in verticale, ha una conformazione piuttosto compatta, segno che non sarà facile salirla. Rispetto alle cime circostanti del Forato, Nona e Procinto, l'avancorpo ovest del monte Croce, non ha una prolifica storia alpinistica, infatti presenta solamente tre itinerari di salita, poco o nulla ripetuti, aperti negli anni a cavallo tra il 1980 e il 2000:
- una misteriosa via Piotti che, finalmente, dopo serrate indagini e la gentilezza di Umberto Vecci e Francesco Cantini, ne abbiamo svelato l'arcano. Aprile 1981 divisi in due cordate: la prima con il compito di aprire la via composta dai pisani Mario Piotti (Piotti in verità era genovese e pisano di adozione), Francesco Cantini e Roberto Di Stefano; la seconda a seguire dei lucchesi Umberto Vecci e Domenico Dinelli con il compito di sistemare la chiodatura. Via di stampo classico che supera l'evidente grosso diedro molto aperto nel settore destro, alla quale sembra non sia stato dato un nome nè fatta una relazione;
- sempre nei pressi del grosso diedro, l’ 11/5/1997 i fiorentini Leonardo Piccini e Juliane Schmidtlein, dopo un primo tentativo con altri, realizzano la via Chiodo Fisso in modo tradizionale con qualche spit alle soste, senza trovare tracce di passaggio;
- nel maggio del 1998 più a destra sul compatto placcone ("il mare") i locali Alessandro Bertagna e Giuliano Batini aprono con spit sui tiri e alle soste la via Dù punti nel mare.
Oltre a questi tre itinerari, sulla parete negli anni 90 ci sono stati anche alcuni tentativi: uno di versiliesi Fabrizio Convalle e Barbara Bardi, l'altro dei lucchesi Mauro Giambastiani (il Dondi) e Daniele Carboni del 1994 (forse 95), il terzo ancora di Leonardo Piccini. I primi due nel settore destro verso la Foce delle Porchette, il terzo più a sinistra verso la Foce di Petrosciana. In verità di tentativi ce ne è stato anche un quarto, ma questo ve lo racconterò più avanti. E' quindi una parete un po' dimenticata, caratteristica che già da sola è sufficiente per stimolare la curiosità dell'apritore sempre alla ricerca di terreno vergine da esplorare. Strano però, perché la parete, anche se in mezzo a cime alpinisticamente più conosciute, quali il monte Nona e il monte Forato, è interessante, in bella vista, oltre a promettere impegno data la sua verticalità.
E' con questi presupposti che a fine settembre 2019, complici i postumi alla spalla sinistra causati da una brutta caduta in bicicletta che non mi permettono di arrampicare e la conseguente rabbia da sfogare, ne approfitto andando a fare un giro fin sotto la parete per scrutare meglio la roccia e poter trovare la possibilità di tracciarvi un nuovo itinerario.
Guarda e riguarda, ecco che nel suo settore sinistro mi cadono gli occhi lungo un’evidente linea di fessure. Eppure la parete l'ho guardata tante altre volte, ma queste fessure, così evidenti, come mai non le avevo viste? Strano come a volte non si riesce a vedere quello che si ha davanti agli occhi, poi d'un tratto ecco che tutto si rivela. Cambiano le situazioni? Cambia la nostra capacità di visione, di lettura? Evidentemente sì.
Decido di avvicinarmi il più possibile alla parete, ma il fitto bosco che ne ricopre lo zoccolo mi impedisce di vedere la roccia. Devo trovare un punto di osservazione fuori dalla vegetazione, così poco prima di arrivare al bivio che sale alla foce di Petrosciana prendo a destra il sentiero 109 che corre proprio sotto la parete dell'avancorpo e porta alla foce delle Porchette.
Nella speranza di trovare un punto più accessibile per salire il ripido bosco che separa il sentiero dalla parete, trovo una evidente traccia di animali che sale obliqua verso sinistra, che percorro fino ad arrivare alla base di una specie di costola rocciosa che scende verso il basso, dove la vegetazione si dirada. Da qui ora si vede bene la linea di fessure che da la direttiva alla via. Questa costola, che incide il bosco basale, è ben visibile anche da lontano dalla strada poco dopo il parcheggio e dal sentiero poco prima di Fonte Moscoso. Oltre ad essere un buon punto di riferimento per individuare l'attacco, è il modo migliore per raggiungerlo visto che fuori da questo avancorpo roccioso, il terreno anche se boscoso è ripido e franoso.
Appena mi sarò rimesso decido di provarci e, visto che da tempo mi frulla per la testa la malsana idea di aprire una via in solitaria, ci faccio un pensierino. L'intenzione è di aprire la via usando solo materiale ad incastro e chiodi a fessura, insomma senza piantare spit, nemmeno alle soste. Così per non cadere in tentazione e bucare, non li metterò nemmeno nello zaino.
Accantonata l'idea della solitaria, propongo ad Alessandro se vuole essere della partita in questa nuova avventura. Alessandro accetta entusiasta anche la mia proposta di non portare gli spit. Ancora non lo sappiamo, ma quando spunteremo sulla cengia presso l'attacco, avremo una sorpresa che ci lascerà, lì per lì, alquanto perplessi che non avremmo certo immaginato.
La prima volta che ci portiamo all'attacco, pensando ingenuamente di renderci la cosa più semplice, evitiamo la costola rocciosa e risaliamo alla sua sinistra il ripido e franoso bosco. Dopo non poca fatica e aver rischiato l'osso del collo, a causa del terreno molto ripido e franoso, ecco che finalmente spunto sulla cengia alla base della placca compatta che preclude l'accesso alla linea delle fessure che salgono, quasi senza interruzione, fino al ciglio sommitale della parete. Alzo gli occhi e cosa ti vedo?... Una bella fila di vecchi chiodi anche a pressione, piantati a distanza ravvicinata, fanno bella mostra di se lungo la placca.
Chiamo Alessandro, che sempre sotto a lottare con la giungla verticale, non li ha certamente visti:
"Ale ci sono i chiodi!"
"Cosa?"
"Ci sono i chiodi". Una bella beffa... di chi saranno?
Qualcuno, parecchi anni fa è salito in artificiale. Vuoi vedere che la via c'è già? In effetti le fessure sono belle evidenti e, a qualcuno, dotato di buon occhio, non gli erano sfuggite, ma non ne sapevo nulla. Guardiamo bene, in alto oltre l'ultimo chiodo, dal quale penzola una sbiadita e sfilacciata fettuccia, non si vede nulla. Siamo perplessi e delusi, soprattutto delusi.
"Che si fa?"
"Oramai che siamo qui andiamo a vedere, al limite ci accontenteremo di una ripetizione".
Magra consolazione. Un po' in libera e un po' tirandomi ai chiodi, non è il momento di fare virtuosismi, arrivo all'ultimo ancoraggio costituito da due traballanti e arrugginiti chiodi, piantati in un buco a mò di sandwich con intorno una fettuccia tutta marcia. Mi fermo a guardare, sopra nella fessura erbosa non vedo altri chiodi. Metto un friend nella fessura e mi alzo per guardare meglio...non c'è niente. Bene magari è solo un tentativo... speranzoso proseguo.
Prima di superare una insidiosa toppa erbosa, aggiungo un buon chiodo universale sulla destra della fessura e proseguo alcuni metri, aggiro a sinistra una scaglia con un arbusto e, in una rientranza attrezzo la sosta con due ottimi chiodi. Non c'è traccia di passaggio, anche sopra niente chiodi. Se qualcuno fosse arrivato qui, avrei trovato qualcosa, almeno per calarsi, invece niente... Sì Ale, per fortuna era solo un tentativo, evviva!" Una volta attrezzata la sosta, con il cordino di servizio tiro su il sacco con il materiale, poi faccio salire Alessandro.
Non sarà il primo è ultimo tentativo, questa operazione di tirare su il saccone la ripeteremo varie volte, per finire la via ci serviranno ancora altri tre giorni di lavoro diluiti in circa dieci mesi tra: impegni vari, inverno, piogge e covid19 che ci costringe a stare chiusi a casa. Al primo tentativo arriviamo a metà del secondo tiro. Superato lo strapiombo lascio due chiodi uniti da un cordino con moschettone e mi faccio calare in sosta. La seconda volta siamo più produttivi e arriviamo a metà del quarto tiro. Anche qui, stessa manovra, lascio due chiodi e mi faccio calare. Al terzo tentativo pensiamo di finire la via, invece riusciamo solo a finire il quarto tiro.
Una volta attrezzata la sosta nella nicchia sotto la lama finale, complici la stanchezza e l'ora tarda per continuare, un po’ sconsolati scendiamo. Quando arrivo con la doppia alla cengia d’attacco, dove abbiamo lasciato zaini e scarpe, non trovo più le mie, eppure le avevo messe qui. Mi accorgo che sul materiale lasciato li c’è arrivata parecchia della roba che abbiamo disgaggiato, evidentemente, qualcosa di grosso che abbiamo buttato giù, deve avere colpito le mie scarpe facendole ruzzolare giù per il ripido bosco. Che bischero e ora…? Come faccio? Le cerchiamo ma nulla da fare, non si trovano, vista l’ora tarda mi rassegno e con le scarpe d’arrampicata messe tipo ciabatta mi faccio tutta la camminata fino a ritornare alla macchina. Alla fine, dopo tanta fatica e lunga attesa, il 4 luglio 2020 siamo comodamente seduti sul terrazzo erboso in cima al pilastro, stanchi ma soddisfatti, a farci i complimenti e a contemplare in lontananza l' azzurro del mare . Le maltrattate Apuane, "Le Montagne Irripetibili" (2) ci regalano anche questo bel contrasto: mare e montagna. Ci voleva proprio per risollevarsi da questo lungo cupo periodo e, adesso, via verso nuove avventure.
di Alberto Benassi
SCHEDA: E se fossero stati gli alieni...? Monte Croce, Alpi Apuanel
1) Guida Cai-Touring Alpi Apuane 1979.
2) Le Montagne Irripetibili di Giorgio Perna e Fabrizio Girolami.1) Alla ricerca delle antiche sere di Gian Piero Motti 1982.
E se fossero stati gli alieni...? - Monte Croce - Alpi Apuane, ripetizione di Eraldo Meraldi