Zuita Patavina, nuova via di misto in Civetta, Dolomiti
Nevica, nevica maledizione. E’ un mese e mezzo che la neve ha deciso di cadere ovunque tranne che sulle Dolomiti e invece oggi, nonostante le solite previsioni di bel tempo, nevica. Con le ultime luci della giornata abbiamo terminato un tiro incredibile. Il ghiaccio, scollato di 40 cm dalla parete, ci ha obbligato a deviare a destra su roccia. Ne è uscita una lunghezza difficile, pericolosa e snervante. Siamo psicologicamente provati e la sosta dove ci troviamo è tutto tranne che un buon posto da bivacco. Nevica e l’aggiornamento delle previsioni dice che continuerà per tutta la notte e parte del mattino.
Alla luce delle frontali ci dividiamo i compiti. Gio raccoglie alla bene e meglio il materiale, io e Gere montiamo il portaledge. Continue slavine ci investono bagnandoci e abbassando il nostro morale. Quantomeno l’arrivo della neve ha placato il vento. Cerchiamo di entrare nel portaledge portando con noi meno neve possibile. Anche se è tutto umido e l’aria fuma di condensa, entriamo con piacere nel sacco a pelo. Finiamo il thermos e ancora prima di cena mangiamo il dolcetto del buon umore di Gio, per provare, anche se ormai è buio, a dare una svolta alla giornata.
Oggi siamo risaliti fino al punto più alto del precedente tentativo e da li abbiamo aperto due tiri nuovi. La settimana scorsa, incuranti del vento, eravamo partiti agguerriti per stare in parete 3 giorni. A metà del secondo, avendo salito solo 6 lunghezze, avevamo capito che non saremmo mai usciti. Così, abbandonato in parete quasi tutto il materiale che avevamo, eravamo scesi con l’idea di tornare per chiudere i conti. E così eccoci qua: accendiamo un po’ di musica in vero stile Yosemite. C’è chi scioglie la neve, chi fa da cambusiere e chi sonnecchia. Tutti e tre però abbiamo la mente rivolta a quello che ci riserverà il domani. Dopo aver risolto il tetris di corpi nel portaledge, insieme alle frontali spegniamo anche la testa.
La notte passa e il risveglio al mattino è lento e macchinoso. Il pilastro Zuiton d’inverno si illumina all’alba solo per qualche minuto e il nostro morale ha bisogno di assorbire ogni singolo raggio di sole. Gio è il primo ad uscire dal portaledge e quando esclama "beh, non è neanche male" tiriamo un sospiro di sollievo. Quando ci eravamo chiusi nel nostro bozzolo la sera prima, non sapevamo se il giorno seguente avremmo continuato a salire oppure se le condizioni nostre e della parete ci avrebbero suggerito di scendere. Proviamo a scrollarci di dosso umidità e stanchezza, e di li a poco usciamo tutti. Guardiamo il materiale incrostato, le corde e tutta la neve accumulata sul portaledge e capiamo che il cielo sereno e i raggi del sole hanno sortito l’effetto sperato. L’ambiente è surreale, alè non bisogna più perdere tempo!
Dopo un tiro facile, dove il ghiaccio però batte vuoto come un tamburo, prendiamo una saggia decisione, la scelta logistica che può far cambiare l’esito di una salita. E’ solo mezzogiorno e abbiamo ancora ben 4 ore di luce, ma rimontiamo il portaledge mentre Gio continua ad aprire un bel tiro di misto. E’ il punto perfetto, relativamente comodo, con buona neve da sciogliere e riparato da un grande strapiombo sopra la testa. Mentre Gere resta nel portaledge a preparare la cena e sciogliere la neve, io e Gio puntiamo a scalare il più possibile per poi fissare le corde dal punto più alto raggiunto; perfetto lavoro di squadra. In realtà abbiamo salito 60 metri, non tanta strada, ma quanto basta per essere di buon umore. La sezione di roccia che, dalle foto, sembrava uno dei tratti più ostici ed incogniti è quasi risolta.
Al buio torniamo nel portaledge congelati ma felici. Questa sera tutto è diverso: il materiale è perfettamente ordinato e pronto per il giorno seguente, abbiamo da bere, l’umidità è "quasi" sparita, addirittura gli spazi sembrano più confortevoli e il solito cibo liofilizzato è molto più saporito. Quasi non abbiamo più dubbi: domani chiuderemo i conti con il pilastro Zuiton. E’ incredibile come la mente riesca a trovare motivazione nonostante il freddo, la fatica e le difficoltà. Carichiamo le batterie sulle note di Bohemian Rapsody.
L’indomani il vento è completamente assente, l’aria sembra più calda e il nostro team è ormai un meccanismo perfettamente oliato. Lasciamo i sacconi in sosta e partiamo leggeri per finire la via. Una breve sezione di roccia e ghiaccio particolarmente sottile e spaccoso ci costringono a lasciare uno spit in più di quello che avremmo voluto. Le picche tornano a mordere il ghiaccio che si fa via via più spesso e con altri 60 metri superiamo una sezione più verticale, la grossa candela così evidente dal fondovalle. È fatta, altri tre tiri e ci stringiamo la mano, condensando in uno sguardo complice giorni di fatiche, sofferenze ed emozioni.
Zuita Patavina è stato un gioco di squadra e un sogno vissuto insieme, una bella occasione per tornare a scalare con vecchi compagni di cordata. È una linea iniziata da Gere, che ormai qualche anno fa aveva attaccato i primi tiri ma vista, fortemente voluta e inseguita da tutti e tre. Un sogno reso concreto anche grazie al supporto di Lucia e Elisabetta Zaccaria, e Alice Lazzaro, sorelle e morosa di Gio, nel portare il materiale alla base della parete. Grazie anche a Matteo Baù che ha sudato su per le statiche e preso freddo con noi durante il primo ventoso tentativo. Questa salita è anche un po’ loro.
Per chi non lo sapesse, "Zuita" è il nome della Civetta in Zoldano, "Patavina" semplicemente perchè tutti noi siamo padovani e particolarmente affezionati alla montagna che "la incanta".
di Alessandro Baù, Daniele Geremia, Giovanni Zaccaria
SCHEDA: Zuita Patavina, Civetta, Dolomiti
Giovanni Zaccaria ringrazia: Scarpa Spa, Climbing Technology
Alessandro Baù ringrazia: Scarpa Spa, Camp-Cassin, Montura, Dynastar, Salice
Daniele Geremia ringrazia: Salewa, Tuttosport Longarone
Info: www.xmountain.it