Un sogno lungo trent’anni completato alla Torre Winkel nelle Alpi Carniche
Il lungo sogno è la storia di un’amicizia che dura nel tempo, al di là dell’arrampicata. È un desiderio che si compie nel volgere di quasi trent’anni con un passaggio di testimone. È filo di seta di una cucitura interrotta e poi portata a termine, saldata in un angolo di Friuli al confine tra Italia e Austria, tra Carniche e Giulie, nel Gruppo del Monte Cavallo. Un angolo suggestivo e quieto, da raggiungere a piedi in poco più di un’ora di cammino. L’angolo di un nodo orografico che si rispecchia di fatto nel suo stesso nome: Winkel ("angolo" in tedesco). "La" Winkel, intesa come torre, risplende già al sole del mattino innalzandosi al di sopra del bosco di larici e abeti che punteggiano "il" Winkel, l’omonimo vallone sottostante. Sulla bella torre d’angolo nel giugno 1977 traccia un segno forte del proprio talento il pontebbano Ernesto Lomasti, già apritore di diversi itinerari nel gruppo. Nelle sue montagne di casa. La Lomasti alla Winkel ne risale lo spigolo sud volteggiando nella sua vertiginosa esposizione, ancor più stupefacente nel pensarla percorsa da lui stesso in solitaria, sempre con gli scarponi, nel marzo dell’anno successivo (qui una bella descrizione di Narduzzi e D’Eredità).
Il lungo sogno risale Torre Winkel al centro della parete sud-est, a destra della Lomasti e a sinistra del diedro dove sale la via aperta da Romano Benet e Gildo Zanderigo nel luglio del 1985, unici tracciati presenti sulla torre oltre ad un itinerario di cui si hanno scarne notizie, aperto da Alfredo Bertinelli e altri finanzieri nella seconda metà degli anni Ottanta, aperto poco a destra dello spigolo, sotto la verticale dell’uscita della Lomasti.
Ideatori e realizzatori del nuovo itinerario che si sviluppa su calcari stupendi che, visti da lontano, appaiono con un aspetto a tratti giallastro mentre da vicino svelano la presenza di piccoli licheni rossi, sono inizialmente, nel 1993, un trentasettenne e un ventitreenne friulani, Giorgio Bianchi ("Bunny") e Gianfranco Ferrari. Il primo era allora tra i due lo scalatore con maggiore esperienza e conoscenza, il secondo un giovane dotato di talento, che ha portato a compimento l’opera a distanza di ventinove anni, assieme ad un altro valido compagno di cordata, Mauro Grossutti.
"Gianfranco - riferisce Giorgio Bianchi - era entrato presto nella nostra compagnia (dove c’erano Daniele Perotti, Attilio De Rovere, Walter Bernardis, Renato Del Gobbo, Stefano Gri, Valerio Libralato, Gianni Fasan e altri) come l’allievo promettente uscito dal corso di arrampicata sportiva del 1990 alla Società Alpina Friulana di Udine. Il suo grande amore per la montagna si toccava con mano. Io, invece, dopo anni di vie alpinistiche, stavo già da qualche anno dedicandomi quasi esclusivamente all’arrampicata sportiva. E poi attrezzavo itinerari dove gli spit potessero essere garanzia di protezione e riduzione di rischi. Non puntavo alla performance ma alla qualità del prodotto finale, da regalare agli altri. E così posai gli occhi anche sulla torre, con il progetto di realizzare, appunto, una via interamente protetta a spit, aprendola dal basso".
La tendenza ad aprire vie a spit in ambiente di montagna era già stata accolta tra i primi da Attilio De Rovere che realizzava in quegli anni itinerari misti con spit e chiodatura tradizionale nelle Alpi Carniche, nell’area di Passo Monte Croce Carnico, del Pal Piccolo e di Pramosio-Avostanis, nell’alta Val Degano, sul Pilastro Stella in particolare e poi nel gruppo del Cavallo di Pontebba e in Alpi Giulie (Bila Pec). "Bunny" è conosciuto in Friuli Venezia Giulia per la sua attività di chiodatore, spesso assieme ad Attilio De Rovere in alcune delle falesie più belle della regione: nei siti di Raveo, Villa Santina, Avostanis, Pal Piccolo, Bila Pec, Gemona, sul Fiume Natisone e a Podpeč, in Istria, dove proprio con Ferrari Bianchi attrezza i primi itinerari di una falesia poi interdetta all’arrampicata. Giorgio Bianchi è anche uno degli ideatori e organizzatori delle prime edizioni storiche di Arrampicarnia (1986-1989). "Spittare - rimarca Bunny - per molti significa rinunciare ad arrampicare, perdere allenamento, faticare, ma io a volte trovavo più soddisfazione a spittare che ad arrampicare".
Ferrari inizia tredicenne in maniera naïf arrampicando sui massi in Val Trenta, paese di origine del padre: "Giornate intere a trovare passaggi sempre più difficili. Al tempo si chiamava sassismo e non boulder. È stato per me forse il periodo più bello, avendo un bosco pieno di roccia".
Poi un campeggio a Valbruna organizzato dall’alpinismo giovanile della Società Alpina Friulana gli dischiude i primi potenziali orizzonti nel 1983 e con un compagno di cordata comincia ad andare in falesia e poi in montagna. "La prima calata in doppia sulla paretina della val Bartolo - ricorda Ferrari - mi sembrava lunghissima e difficile e poi le prime manovre di corda sotto il Jôf Fuart. Da lì in poi, in particolare con Stefano D'Agostino, compagno di scuola in via Riccardo di Giusto ma soprattutto di gite domenicali con la SAF, iniziò la sistematica frequentazione delle prime palestre di roccia della zona. A quel tempo abitavo a San Gottardo e partivamo in bici per andare nelle palestre di Faedis, Cividale, Natisone. Il magnesio non era facile da recuperare e quando lo trovavo in qualche buco del Natisone eravamo felici: ne ricordo ancora il profumo. In seguito avevo recuperato un vecchio motorino con il quale trainavo a braccio il mio amico in bici."
La prima via sarà, insieme a D’Agostino e ad un altro compagno, sulla Torre Nuviernulis, nel Gruppo del Sernio. L’amico prende poi un’altra strada ma Ferrari vuole continuare: "Sentivo che c'era qualcosa dentro di me, un po' come quando ti innamori". E la svolta avviene nel 1990, frequentando il corso di arrampicata sportiva della Società Alpina Friulana dove lo stesso Bunny era tra gli istruttori. "Sapevo già un po' scalare, ma quando vidi arrampicare lui, Stefano Gri e Daniele Perotti rimasi abbagliato. Chiesi a Bunny il trapano del Gruppo Rocciatori in prestito e durante l'estate iniziai ad attrezzare due grandi massi vicino a Trenta". E così dopo il corso Ferrari apre le prime vie a spit in Val Trenta (Antiche sere, 6c/7a), sulle placche del Vrsic si cala dall’alto da solo (Stelutis quattro tiri fino al 6c, allora piena di stelle alpine) e poi a Stupizza, sul Fiume Natisone (Itaca 7a e Mistica 7b).
Finché si lega in cordata con l’udinese Daniele Perotti: "Iniziai - continua Ferrari - a frequentarlo con le sue visioni montane e i viaggi in Marmolada. La via dell'Ideale fu la prima e poi seguirono la Vinazter, Ombrello da Sole, Olimpo, Africa’s Time. In Bosconero su KCF e lo spigolo Strobel. Questi viaggi con Daniele mi segnarono per sempre. Sempre con lui condivisi in Panettone Climber prrt, Easy Free, Paperon, Albero solitario. Era il periodo dei capolavori di Mauro Florit, tra cui Carnia Adventure, La legge della Fattucchiera, Greenpeace, ma anche della già bella Mazzilis - Frezza e diverse altre. Alternavamo la falesia alle piccole, grandi pareti. Era bellissimo."
Poi il terribile incidente mortale di Perotti, caduto in Marmolada nel 1991 durante le calate in doppia dalla via Africa’s Time. Ferrari è assieme a lui e lo vede scomparire nel vuoto, dovendo poi affrontare la discesa da solo, in una sorta di trance adrenalinica.
Lo shock è di tutta la comunità udinese e friulana, ma quel ventitreenne trova la forza di superarlo e continuare - tra l’altro va a ripetere in invernale solitaria la via Carnia Adventure - coadiuvato dall’abbraccio solidale di tutta la compagnia in cui era stato accolto, tra cui quello di Giorgio Bianchi, che lo coinvolge nel luglio 1993 nel progetto della Winkel. Sul gruppo del Cavallo Ferrari ha già puntato gli occhi tra 1992 e 1993 iniziando ad aprire la via Cavallo Pazzo, a sinistra della Lomasti, con Andrea Galliussi come compagno di cordata. La via viene poi conclusa da Ferrari assieme alla compagna, Angela Ceconi. Nel frattempo, nel luglio del 1995, anche Galliussi perde la vita, proprio arrampicando in Cavallo, assieme ad un altro compagno di cordata, risalendo una via che fiancheggia l’inizio di un nuovo itinerario aperto assieme a Ferrari, sempre a spit.
Un banale motivo prima, ovvero l’impossibilità di completare la salita in una sola giornata per la ridotta dotazione di batterie del trapano, lo shock della scomparsa di Galliussi dopo, poi la vita familiare che prende altre direzioni - l’arrivo dei figli per Ferrari - e quell’inizio di via a spit con l’amico Bunny si ferma a due tiri di corda, rimanendo incompiuta e, probabilmente per rispetto, intentata da altri che sicuramente negli anni vi hanno posato gli occhi, italiani e austriaci. Salta un anno e poi un altro e poi altri sfilano ancora: la Winkel rimane lì.
Ma ecco che finalmente, a distanza di ventinove anni, Ferrari riprende il filo esile di quel lontano progetto, come se il tempo non fosse passato: "Per me era diventata una sorta di ossessione - dice Ferrari - la chiusura di quella via". E, nell’arco di due anni, la completa con Grossutti nell’ottobre 2022.
Postfazione
Gianfranco invita Giorgio in una nota osteria di Udine davanti ad un bicchiere pieno per raccontargli il risultato. E anche per chiedere un suo parere sul nome da dare alla via, che nell’intento di Ferrari vuole essere idealmente e cavallerescamente - sì esiste ancora la cavalleria nell’arrampicata - nel segno dell’amicizia reciproca e del rispetto di quanto sognato assieme qualche decennio prima. "Mi fa piacere che la via sia rimasta, per così dire, in famiglia", dice Giorgio. "Ti piace Il sogno di Bunny?", propone Ferrari. "No, per carità. Mi piace l’idea del sogno, ma abbiamo ballato in due, anzi in tre. Se la via oggi esiste è grazie alla vostra bravura e perseveranza", risponde quasi alterato l’altro, che precisa di non voler proprio nemmeno comparire in questo articolo. "Ma allora che nome le daresti?" rilancia Ferrari. "Beh, forse mi piacerebbe, visto come si è conclusa, una cosa del tipo Nel corso del tempo, come il film di Wim Wenders". "Perché non li mettiamo tutti e due?" intervengo io da spettatrice: Il sogno di Bunny nel corso del tempo. "Troppo lungo, complicato", chiude Bunny.
Alla fine si è raggiunto un compromesso, che è Il lungo sogno. Breve la via, ma lungo il sogno e così tutti sono contenti, almeno così pare. "Certo che a vederla - chiosa Giorgio mentre Gianfranco gli mostra le foto - è proprio stupenda. Quasi quasi mi rimetto in forma e vengo a provarla".
di Melania Lunazzi
Melania Lunazzi, storica dell’arte e giornalista. Molto amante delle montagne, in passato perlopiú arrampicava, oggi perlopiú scrive, anche, per sua fortuna, di montagna. Info: linkedin.com/in/melania-lunazzi-32765721