Il Pizzo dei Nibbi, o Pilastro di Prada, nel Gruppo delle Grigne. Di Ivo Ferrari
Quando voglio "uscire" senza andare lontano, l’imbarazzo della scelta non manca abitando ai piedi della Grigna. C’è una Torre in particolare che attira sempre la mia voglia di silenzio, isolata quanto basta per non camminare troppo, dove gli occhi possono spaziare verso un orizzonte fatto di lago, colline e montagne… l’orizzonte che preferisco!
L’arrampicata piacevole e mai banale, e le protezioni al posto giusto, mi fanno godere appieno la mattinata… Sì, perché poi il pomeriggio è d’obbligo "allungare" la camminata fino al Rifugio Bietti o il Rifugio Bogani. Se non cammino, tanto vale rimanere in falesia a tirar tacche a due passi dalla macchina!
Il Pizzo mi piace, la sua roccia mi piace, perfino le sue numerose zolle d’erba mi piacciono, costringendomi ad arrampicare con eleganza e spostamenti tecnici…Capita forse che sulla Cai Vedano si possa trovare compagnia, ma sul resto degli itinerari è "l’unica cordata oggi".
Se non ci si alza troppo presto e si possiede la pazienza di aspettare il sole, sul Pizzo, visto l’esposizione favorevole, si arrampica anche in pieno inverno, amplificando ancor di più il silenzio e la bellezza del cielo, apprezzando anche il capo d’abbigliamento che si indossa. Lì sicuramente, a quasi 2000 metri, si può capire la differenza tra il buono e la fregatura che, a volte non sta nel prezzo!
Ora lascio la parola per la giusta Storia a chi conosce MOLTO bene la parete, Pietro autore della (parere personale) linea più bella, la via Mary. Pietro che insieme ad Eugenio Pesci è autore della nuova guida Lario Rock Pareti dove si possono trovare le relazioni del Pizzo.
Grazie Pietro.
di Ivo Ferrari
LA STORIA DEL PILASTRO DI PRADA di Pietro Buzzoni
Pizzo dei Nibbi, Pilastro di Prada, Costa dei Lavin sono alcuni dei toponimi che vengono utilizzati per identificare quello sperone roccioso che staccandosi dalla cresta di Piancaformia sulla Grigna Settentrionale forma una caratteristica struttura affacciata sul lago.
Il Pizzo dei Nibbi è però il nome con cui viene più comunemente identificato questo torrione, che è caratterizzato da una solare parete ovest articolata da ampie placconate di calcare bianco, separate da diedri netti e da profonde fessure, un vero invito alla scalata.
I primi a muoversi con intenti alpinistici furono nei primi anni 80 E. Molteni, A. Zucchi, A. Invernizzi, C. Mantovani e altri del gruppo di Mandello e Abbadia che salirono il Torrione per la sua linea più logica lungo la serie di bei diedri che caratterizzano il suo lato sinistro. Attualmente la via (a torto) poco ripetuta resta comunque divertente e mantenendosi su difficoltà medie presenta una chiodatura (solo chiodi) piuttosto datata, ma la presenza di solide fessure e clessidre permettono la sua salita senza particolari problemi. Il gruppo di Molteni e soci in quegli anni esplorò di fatto anche le diverse strutture della Piancaformia, del Sasso di Sengg, e del Sasso Cavallo, salendo sia d’inverno che d’estate itinerari esplorativi che mantenendosi sempre su difficoltà classiche privilegiarono l’arrampicata libera e raramente forzarono i passaggi più impegnativi ricorrendo all’artificiale.
In seguito alla salita di Ezio Molteni nella tarda primavera del 1995 giunsero alla base del Pizzo dei Nibbi i Brianzoli Aldo Tagliabue e Lorenzo Cernuschi, alpinisti capaci e con una solida esperienza nell’apertura di vie nuove, come nel gruppo dei Campelli. Armati di trapano e con un buon numero di fix aprirono la via Cai Vedano: quella che a ragione si può definire la prima via "Plaisir" in quota nel gruppo delle Grigne. Attualmente la via risente però del tempo trascorso e richiederebbe una manutenzione, anche in considerazione alla sua alta frequentazione.
Nell’agosto del 1996 Graziano Ticozzelli decide di salire il Pizzo lungo una bellissima sequenza di marcati diedri proprio nel centro del torrione, aprendo così la via Libertà. Graziano, fortissimo alpinista di Cortenova, conosceva bene la zona e il Pizzo per la sua assidua frequentazione della Grigna sia d’estate che d’inverno. Forte di una consolidata esperienza e perfettamente a suo agio sulle difficoltà con o senza protezioni apre la via da solo e dal basso, con lunghi tratti a vista slegato, autoassicurandosi solo per qualche metro, decisamente una bella avventura in apertura, confezionando un bel gioiellino a tutti i ripetitori. Anche perché successivamente Graziano in compagnia del sottoscritto decise di arricchire la sua via di un buon numero di chiodi di passaggio e di sosta.
Il 22 giugno del 2005 io e Stefano "Scisti" Canali decidiamo di salire quella provocante compatta placca che sta alla base del pilastro solcato dalle fessure della via Molteni e che ad ogni ripetizione della medesima via mi si presentava dinanzi. Qualche fix (forse troppi) sulla prima lunghezza di placca, seguita da un bellissimo strapiombo a buchi del secondo tiro e infine altre due lunghezze più facili ed eccoci così in cima al Pizzo al sole a decidere il nome della via, che viene subito stabilito in Tittadora, nomignolo che Stefano aveva dato alla moglie.
Passa poco tempo e il 14 luglio 2005 ritorno, questa volta in compagnia del granitico Giovanni Nicoli "El Grimett". Decidiamo di salire quasi nel centro della parete ovest, mirando alla più bella placca della parete, che la via di Molteni e la via di Ticozzelli evitavano per i diedri alla sua destra e alla sua sinistra. Nasce così la via Mary (dedicata alla moglie del Grimett).
A oggi l’unico rimpianto su quella via è quello di aver messo successivamente qualche fix sulla prima lunghezza in nome di una maggior affidabilità soprattutto nelle protezioni sulla placca che in apertura salii utilizzando due friends nei buchi. Subito il Grimett accorgendosi dei miei dubbi mi confortò sentenziando che con quei due fix i ripetitori erano obbligati a passare di li e gustarsi appieno la roccia stupenda. Ripetendola più volte devo ammettere che aveva ragione (come sempre).
È il 16 maggio 2010 e due miei amici e compaesani Roberto Pensa e Gianfranco Tantardini salgono una linea diretta a lato della CAI Vedano. La via Piccola Ketty fu per loro una bella avventura ed esperienza anche perché fu la loro prima via aperta dal basso a chiodi tradizionali e protezioni veloci. La scelta della linea fu azzeccata e validissima, divertente e in un tratto nella seconda lunghezza anche piuttosto sostenuta. La via, anche se dalle difficoltà classiche, resta l’itinerario con le caratteristiche più alpinistiche della parete, anche per la roccia che in alcuni punti richiede una buona valutazione per la sua qualità.
Torno spesso su questo aereo Torrione ed è sempre come la prima volta: mi diverto e trovo sempre eccezionale la roccia, l’ambiente e l’arrampicata e quando è necessario cerco poi di sistemare le soste o i chiodi in via, come a luglio del 2022, quando ho sistemato le soste della via Libertà, della Mary, e la prima sosta della Molteni.