#2 Misto Imprevisto nel Masino. Di Luca Maspes
LA SFINGE BIANCA - Punta della Sfinge, Masino
Quando incontri la realtà, il momento è spiazzante, perché raramente combacia con quanto hai scrutato sullo schermo del computer di casa. Perché in questi anni la traccia delle vie nuove si immagina lì, dove pixel microscopici ti portano già in parete, anticipando una realtà che non sempre avrà quelle caratteristiche che pensavi. Come sarà dal vivo?
Mi organizzo per andare a vederlo, vinco la pigrizia del fisico meno pimpante di una volta, capita ancora in giornate solitarie, più spesso in cordata, superando la fatica di trovare il compagno giusto nel momento giusto, che accetti la possibilità non troppo remota di un buco nell’acqua.
Per le nuove idee a volte ci aiutano i social, perché grazie a Facebook, è capitato che, dal report di una gita in Val Codera non ricordo di chi, abbia ingrandito l’immancabile foto ai liscioni granitici delle severe pareti nord della Sfinge e del Ligoncio. Diverse righe bianche si spalmavano nelle uniche fessure di questi liscioni granitici, creando un reticolato che non avevo mai visto prima. Potrebbe essere neve pressata, forse c’è del ghiaccio, magari è solo polvere appiccicata… la foto dice tanto e niente su quel bianco, mi lascia l’onere di decidere se partire per andare a vedere o tenermi i dubbi. In mezzo ci sono ore ed ore di cammino, la certezza è ancora distante.
Con il solito Tito Arosio ci accordiamo per più giorni, due per la salita e un terzo di emergenza, perché le linee sembrano ossi duri, lunghe e ripide; siamo in inverno ed arrivare sotto queste montagne è un bel trekking che parte dal livello del Lago di Como fino al bivacco Valli, lassù, lontano.
Non lo rivedevo da una vita questo loculo di lamiere rosse sotto al massone del Santo Graal, da quando a neanche 10 anni compiuti, percorrendo il Sentiero Roma integrale, io, mio padre e gli altri ci eravamo ammassati sul suo uscio con una radiolina all’orecchio e girando la rotella trovammo la frequenza che trasmetteva la telecronaca in diretta dalla Spagna di Italia-Germania, la finale mondiale di calcio del 1982. Con il senno di poi, eravamo tra i pochi pazzi a non essere incollati al televisore in quella storica serata di trionfo italiano.
Quasi 40 anni dopo arrivo al bivacco mezz’ora dopo Tito, con lo stomaco messo male e lo sguardo in alto verso la realtà delle cose: focalizzate meglio le pareti, avevo già capito quanto quelle strisce bianche non fossero altro che neve polverosa. Nessuna impresa domani, torneremo in modalità senza meta. A metà mattinata del giorno dopo saliamo le cenge innevate del Passo Ligoncio con i ramponi ai piedi e svalicando la Sfinge ci si ripresenta soleggiata, qui più dolce, con strisce bianche questa volta esistenti che imbiancavano le vie più classiche di questo versante.
Semplicemente “già che siam qui, proviamo la cima salendo di lì”. Tre ore di scalata trascorrono su misto di media difficoltà lungo colate di neve pressata, tra la via di Vibram (Vitale Bramani) e lo Spigolo Fiorelli. Per Tito è la prima volta sulla Sfinge, io invece, come spesso succede, guardo giù verso la mia casa di San Martino, da dove mille volte ho osservato la montagna dal balcone, senza aver mai immaginato di salirla in questo modo inusuale.
SCOTLAND YARD - Piccolo Medaccio, Masino
Partiti dopo una leggera nevicata polverosa, siamo diretti verso una via di roccia che nel 1972 salì per prima la cima piatta del Piccolo Medaccio, un torrione staccato di netto dalla Punta Medaccio, a cavallo tra la Val Merdarola e la Valle dell’Oro. Claudio Corti, primo salitore, è uno degli storici Ragni di Lecco di cui ricordo simpaticamente quel volto burbero e incazzato, anche colpa di anni polemici dopo la nota storia dell’Eiger. L’ho inquadrato come un fortissimo arrampicatore della sua epoca, con la sua via sulla Est del Badile che è lì a raccontare il suo ardimento, insieme ad altre che nel Masino sono un po’ perse nell’oblio.
Questa sua piccola via al Medaccio l’ho proposta in veste invernale ad Andrea Bottani, nipote di Felice Bottani, che accompagnò il Corti in quella prima salita. Andrea era già sul pezzo e mi aveva inviato la relazione originale e una foto aerea fatta con il drone. Accanto allo sperone dove sale la via, ho ideato un percorso nuovo, un camino marcato, seguito da placche rigate d’erba, una linea sulla vergine porzione di parete di 250 metri, che nella foto estiva non diceva nulla, ma che in inverno animava la possibilità di salire con le piccozze e di trovare nei camini un terreno giusto per arrampicare sul misto. Dopo 3 ore di avvicinamento su neve, senza sci o ciaspole, ci troviamo a decidere, ma non ci serve molto tempo. Luca Schiera, compagno aggiuntosi la sera prima in questa nuova avventura, arriva per primo a sbirciare da dentro il camino-canale.
"Bello, qui dentro c’è di tutto!". L’inizio di una nuova ravanata di serie A.
Il primo tiro è quello più giusto per identificare la salita di oggi: misto variegato con alcuni passaggi eleganti, su macchie di ghiaccio ed erba ghiacciata, con neve da spazzolare e qualche buon appiglio sulla roccia. Si sosta alla base di un salto più verticale e da qui il camino prosegue formando con un macigno staccato una specie di tetto, mentre più a sinistra offre una netta fessura su granito pulito, tutto secco, da scarpette (che non abbiamo). Proseguo ancora io ma non mi piace né l’uno né l’altro. Curvo a sinistra e compare una placchetta bastarda sovrastata da erbe spioventi. Il "chiodo masinense per eccellenza" penetra nella fessurina sottile che taglia la placca, complicato da piantare con il martellino "di bellezza" della piccozza. Il chiodo è stato lasciato, mi è servito a darmi più tranquillità per provare e tirarmi fuori da questo boulder e a fermarmi più sopra, sostando su un insieme di rami che uscivano dalla neve.
Cambio al comando e Schiera sparisce a destra rientrando nella direttiva della linea, incontrando il passaggio più bello e stretto del camino: sosta anche lui su pianticelle, poi segue un canale di neve più appoggiato fino ad una specie di pulpito, dalla cui cima per andare in su c’è parete aperta, con visibili ciuffi e rampe erbose in mezzo a scudi di placche impraticabili con i ramponi. Del sano turf alla polacca con erba buona su questo tiro fatto da Luchino.
Alla quinta sosta e senza ancora saperlo ci innestiamo sulla via di Corti che arriva dallo sperone a fianco, seguendo una netta fessura ad incastro di scarpone che porta sulle placche e a un vecchio chiodo. Luchino traversa verso destra e si ferma per qualche minuto esprimendo della preoccupazione: "è una placca dura con i ramponi, se cado da qui mi schianto!". In sosta con Andrea ci guardiamo increduli, pensando che se Schiera è così fermo e indeciso c’è da preoccuparsi per davvero. Il lieto fine però è la scoperta improvvisa di un secondo chiodo della via, nascosto nella placca che pareva improteggibile. Luca riprende fiducia a salire e mezz’ora dopo siamo tutti e tre sulla lama di vetta.
Sono circa sei ore che ravaniamo, dopo sette tiri di corda dai quali cerchiamo di calarci velocemente per evitare il buio. Raggiunta la cengia di partenza, mi godo l’orario dei migliori tramonti sulle montagne del Masino.
di Luca Maspes
Luca Maspes ringrazia: Grivel, Marmot, Wild Climb
Segue la prima puntata: #1 Strisce Bianche sul Ventina del Disgrazia