Ciao ad Ermanno Salvaterra, il grande sognatore

Il ricordo di Ermanno Salvaterra, il grande alpinista delle Dolomiti di Brenta e della Patagonia, che ieri ha perso la vita per una caduta sul Campanile Alto di Brenta.
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Ermanno Salvaterra in Patagonia
archivio Ermanno Salvaterra

Per tutti, e per sempre, sarà ricordato come l’uomo del Torre, l’alpinista patagonico per eccellenza. Tutto vero, lui è tra quelli che hanno scritto la storia dell’alpinismo in Patagonia. Ed è davvero una leggenda di quelle montagne alla fine del mondo. Eppure Ermanno “Èrman” Salvaterra è quel tipo d’uomo che sfugge alle facili definizioni e che rifugge da qualsiasi etichetta. Troppe le vite che ha vissuto. Troppe le esperienze, tutte non proprio comuni, di questi suoi intensi e irrefrenabili 68 anni. Grande alpinista (anche in solitaria). Maestro di sci. Sciatore estremo. Guida alpina. Gestore di quel rifugio, il XII Apostoli, da sempre in custodia alla sua famiglia, dove è cresciuto. Primatista, tra il 1988 e il 1993, con 211.640 chilometri all’ora, del Kilometro Lanciato sugli sci - una vera pazzia solo a pensarci. E, ancora, regista di 11 film (pluripremiati) in cui ha raccontato le sue scalate. E, poi, anche scrittore - l’ultimo suo libro "Patagonia il grande sogno" è del 2021. La sua casa erano le Dolomiti del Brenta, tanto che Bruno Detassis, mitico gestore del rifugio Brentei e "custode del Brenta" l’aveva nominato suo erede. Di certo le amava, e molto, quelle sue montagne. Lo testimoniano tutta una vita e le vie di arrampicata che ha aperto.

Ma ad Ermanno, spirito irrequieto e curioso, non potevano bastare. Cercava altri spazi, altri orizzonti. Aveva bisogno di andare oltre, di andare lontano. Trovò la Patagonia. E il Cerro Torre con le sue sorelle - come lui aveva battezzato la Torre Egger, la Punta Herron e la Standhardt - lo catturarono per sempre. Per lui erano le più belle montagne del mondo. Selvagge e impossibili. Con quel meteo terribile e quei venti violentissimi che costringevano ad attese inenarrabili. Era ciò che cercava. Non importa se mal si conciliavano con il suo carattere e la sua voglia, senza fine, di salire sempre e comunque: quello era il suo posto dell’anima.

Tutto era iniziato nel 1981 con un tentativo alla Via del Compressore di Maestri. L’anno dopo con Maurizio Giarolli è in cima al Torre, sempre per lo spigolo sud-est. Quindi sale il Fitz Roy, l'Aguja Guillaumet e la Poicenot ancora con Giarolli a cui si è aggiunto Elio Orlandi. Nel 1985 il colpo grosso: la prima invernale del Cerro Torre. Sono in quattro, fanno 11 bivacchi in parete, un’epopea. Sono i quattro moschettieri del Cerro: Salvaterra, Paolo Caruso, Maurizio Giarolli e Andrea Sarchi. Un team e una storia straordinari, in tempi in cui quelle montagne erano remotissime e, davvero, alla fine di tutto.

Da allora la storia non ha mai più avuto fine. Ermanno non ha mai smesso con la Patagonia. Ha aperto con vari compagni cinque vie nuove sul Cerro Torre. Infinito Sud nel 1995 con Roberto Manni e Piergiorgio Vidi. Nel 1999, con Mauro Mabboni, sale una variante alla via del Compressore. Nel 2004, con Alessandro Beltrami e Giacomo Rossetti, sulla parete est apre Quinque anni ad paradisum. Nel 2005, assieme a Rolando Garibotti e Alessandro Beltrami, sale la parete nord aprendo El arca del los Vientos.

La sua è stata un’esperienza infinita che ha attraversato, da protagonista, quarant’anni di storia dell’alpinismo patagonico. Un’eternità. Mentre tutto è cambiato, anche su quelle montagne. Ermanno, da parte sua, non ha mai perso la tenacia e la proverbiale caparbietà e volontà di lottare che l’hanno sempre contraddistinto. Per questo poteva sembrare anche un duro. Tutt’altro: era un uomo di una sensibilità e di un’amicizia non comuni.

Quest’anno voleva tornare nella sua Patagonia, stava cercando un compagno di scalata. Non si sa se alla fine l’avesse trovato. Ieri, in una calda giornata d’agosto, Ermanno ci ha lasciati. Stava scalando sulle sue montagne, sul Campanile Alto di Brenta, è precipitato all’uscita della via Hartmann-Krauss. Sembra impossibile. Mancherà all’alpinismo ma, soprattutto, mancherà a tutti noi. Un grande abbraccio a tutti i suoi cari.

di Vinicio Stefanello

Kay Rush incontra Ermanno Salvaterra
Video di Vinicio Stefanello (Planetmountain.com) & Francesco Mansutti (Studio Due) per il Trento Film Festival 2008.

Video realizzato per la WebTV del Trento Film Festival.




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