Tra angeli e demoni: Bernard Amy e La Scala di Giacobbe
"Non sapete dove andrete domani?"
"No."
"Allora siete l’uomo più libero che ci sia."
Un monaco parte per ritirarsi in solitudine nel deserto e scopre il piacere della scalata. Un marinaio di lungo corso si pone domande sull’essenza della libertà e finisce con l’aprire nuove vie sulle Dolomiti. Un alpinista diventa speleologo per cercare l’ultimo luogo ancora scevro da qualsiasi traccia umana. Uno scrittore cerca incessantemente le parole giuste per descrivere le proprie esperienze nelle terre alte. L’ultimo libro di Bernard Amy - “La scala di Giacobbe” edito da MonteRosa edizioni – esplora attraverso una serie di appassionanti racconti gli interrogativi alla base dell’azione di ogni alpinista. Quando la libertà di andar per monti si trasforma in schiavitù? L’alpinismo esisterebbe senza la sua narrazione? Qual è l’essenza dell’avventura? Esistono davvero luoghi non contaminati dall’uomo?
“La frontiera tra libertà e schiavitù è segnata dal desiderio” dice Bernard Amy, che ho incontrato per una breve chiacchierata. “L’uomo passa da uno stato di “servitù volontaria”, in cui la libertà suscita addirittura paura, a uno apparentemente opposto in cui diventa ossessione, e che finisce per farlo prigioniero”. La libertà sembra quindi essere non tanto una conquista, quanto piuttosto un gioco infinito a cui tendere, uno stato sempre agognato e mai raggiunto. È la stessa tensione del monaco che, nel racconto dà il titolo al libro, cerca il dialogo con Dio: alla fine sono i gesti stessi del suo stesso salire a suggerirgli che “per parlare a Dio bisogna tacere e lasciar parlare il proprio corpo. Che cos’è in fondo arrampicare se non “dare realtà al sogno di Giacobbe e salire noi stessi la scala degli angeli”? Ma se Dio è per definizione l’ineffabile, le montagne hanno un lungo rapporto con la parola e con la narrazione. Esisterebbe l’alpinismo senza il suo racconto? “Sarebbe presuntuoso pensare che i primi scrittori di montagna abbiano inventato l’alpinismo” continua Bernard Amy. “Gli esseri umani non hanno certo aspettato il signor De Saussure (che ha inaugurato l’alpinismo storico ndr) per provar sulle cime le emozioni dell’alpinista. E anche prima che esistesse l’alpinismo, gli uomini hanno raccontato la montagna, penso agli eremiti cinesi, e a un bellissimo libro come “Montagna Fredda” di Shan Han.”
Nell’ultimo racconto, “Le Parole per Dirlo”, il protagonista si trova alle prese con quelle che Casarotto chiama “le strettoie del linguaggio”, sempre inadeguate a rendere conto della complessità dell’esperienza vissuta. “Ma questo non capita solo in montagna” aggiunge puntuale Bernard Amy “la comunicazione tra esseri umani è spesso vittima delle strettoie del linguaggio, anche in pianura!”.
È un libro denso quest’ultimo di Amy, eppure, o forse proprio per questo, capace di tenere il lettore incollato alle pagine, con l’illusione di trovare una risposta alle domande che ci assillano. Ma il compito di un buon libro è quello di sollevare le domande giuste. E quando le domande sono giuste, accade che, a volte, la vita stessa risponda.
“Lontano, sopra la terra degli uomini, tracciando lentamente sul pendio il nostro pulito e difficile cammino, siamo arrivati in cima alla montagna nello stesso momento del sole. Intorno a noi, il mondo immenso ci accoglieva. L’ho visto chiaro e trasparente nella sua evidenza. È entrato in me, e non ho più saputo chi, di lui e di me, stava creando l’altro.”
di Simonetta Radice
info: Monterosa edizioni