In difesa dell'alpinismo, l'intervento di Bernard Amy al Convegno Nazionale del CAAI

Riceviamo e volentieri pubblichiamo l'intervento Bernard Amy del 26 ottobre 2013, in occasione del Convegno annuale del Club Alpino Accademico Italiano, durante il quale l'alpinista e scrittore francese è stato insignito della carica di Socio Onorario del CAAI.
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L'alpinista e scrittore francese Bernard Amy.
archivio Bernard Amy
Essere nominato membro ad honorem del CAAI è per me un onore, e al tempo stesso un piacere. So che l'ammissione a questo Club è riservata all'élite dell'alpinismo italiano, ed entrare in possesso della sua tessera è per me motivo di grande orgoglio. Chi mi conosce non sarà sorpreso che io desideri dirvi perché sento come un onore e un piacere l'essere ora parte di questo Club. Per meglio esprimermi, mi sia consentita una digressione sui problemi che l'attuale evoluzione dell'alpinismo ci pone.

In uno o due decenni, l'alpinismo si è molto evoluto sotto la spinta di vari fattori di ordine economico, tecnico e sociale. In particolare, abbiamo assistito ad una rapida diversificazione delle forme di alpinismo. Inoltre, sia nel modo classico che nei modi nuovi di avvicinarsi alla montagna, sono apparse nuove sensibilità culturali.

In questo periodo, anche la società in cui vive chi pratica attività sportive in montagna è profondamente mutata. In un ambiente con difficoltà sociali crescenti, si è sviluppata un'inquietudine che ha generato un desiderio di sicurezza, accompagnato da una ridiscussione dei comportamenti individualistici. L'ossessione per la sicurezza ha in particolare spinto all'eccesso l'applicazione crescente del "principio di precauzione".

La constatazione di queste due evoluzioni, dell'alpinismo e della società, ci conduce oggi a dirci che bisogna ridefinire il contratto sociale che fino ad oggi, con qualche difficoltà, si era stabilito fra la società e gli alpinisti. Per questo si deve più che mai non tanto spiegare l'alpinismo quanto giustificarlo. Non si deve cercare di dire perché siamo pronti a rischiare la vita in montagna, perché "si entra" nell'alpinismo come in una religione (le motivazioni dell'alpinista sono del tutto personali, spesso richiederebbero considerazioni psicanalitiche, che poco interessano il grande pubblico e soprattutto non servono a giustificare l'alpinismo). Per fare accettare l'alpinismo in quanto pratica rischiosa, bisogna spiegare quello che la montagna ci dà, quello che ci insegna. Insomma, bisogna spiegare non perché andiamo in montagna, ma che cosa ci troviamo.

Quello che la montagna ci insegna costituisce qualche cosa che potremmo chiamare l'utilità sociale dell'alpinismo. È di ordine sia sociale che psicologico.

Fra gli apporti "utili" dello sport e della montagna si può citare:
- lo sviluppo delle capacità di impresa e di iniziativa
- l'insegnamento del coraggio di affrontare un rischio ragionato
- lo sviluppo della capacità di autonomia e di responsabilità
- l'apprendere i valori della solidarietà

A livello psicologico individuale, l'alpinismo sviluppa:
- la fiducia in se stessi
- la formazione della personalità
- il controllo dell'aggressività
- la capacità di socializzare
(Robert Paragot disse: "L'alpinismo mi ha formato. Senza la montagna sarei forse diventato una persona esecrabile").

La montagna ha anche spesso un ruolo terapeutico, permettendoci di distaccarci dai problemi personali. Ci può dare maggior equilibrio, portandoci a ridimensionare le nostre difficoltà psicologiche (uno psichiatra alpinista chiamò il Monte Bianco "un day hospital". E aggiunse: "meglio curarsi là in alto che nei bar!).

Tutto questo, che l'alpinismo ci dà, è in gran parte dovuto a due processi psichici caratteristici dell'alpinismo:
- l'innalzamento fisico si accompagna sempre ad un innalzamento simbolico. Il giovane che, rivolgendosi verso valle, si vede più in alto degli altri, per un momento si sente più forte, più forte di quelli che sono là sotto e più forte di quello che era lui prima di lasciare la valle.
- L'assunzione collettiva di un rischio - in montagna o al ritorno in valle, l'alpinista è raramente solo - favorisce un riconoscimento sociale che non può che rinforzare il sentimento di forza e di fiducia in sé stesso (tutti gli alpinisti ricercano questo riconoscimento sociale: chi di noi è ritornato da una salita in montagna senza cercare di raccontarla?)

Questi due processi di affermazione della personalità sono importanti a qualsiasi età. Come tutte le passioni, la passione per la montagna si caratterizza per un dubbio permanente, per un continuo porsi la questione delle giustificazioni di quanto si fa. Si tratti di un giovane principiante o di un anziano esperto, si ha sempre bisogno di sentirsi forte. Per questo il riconoscimento sociale di gruppo resta essenziale.

Voi mi avete ora dato una tessera di membro onorario: grazie per questo riconoscimento sociale!

Aggiungerò soltanto, ricevendo con piacere questa tessera, che penso anche con piacere che ne stiate preparando altre per poi darle, non tanto a vecchi come me, ma ai giovani che oggi si preparano a fare le storia dell'alpinismo e che, con le loro realizzazioni, si mostreranno degni di essere fortificati nella loro passione.

Bernard Amy a Torino, CAAI 26 Ottobre 2013





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