Matteo Pavana, la fotografia e l'arrampicata da punti di vista sempre diversi

Intervista al fotografo e videomaker Matteo Pavana: la passione che sta dietro alla fotografia di arrampicata, alpinismo e di montagna.
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Stefano Ghisolfi su Aerodrome ad Arco
Matteo Pavana / The Vertical Eye

Nel 2014 Matteo Pavana si definiva un giovane studente con la passione per l'arrampicata e la fotografia. Con un sogno non facile da realizzare: diventare fotografo professionista. Grazie al suo impegno le sue foto sono state pubblicate su tantissime riviste di settore e nel corso degli anni Matteo è riuscito a diventare un punto di riferimento per la fotografia d'arrampicata, non solo italiana. Ultimamante sta allargando le sue visioni, osservando la montagna da molteplici punti di vista.

Matteo, l’ultima volta che ci siamo parlati, sognavi di diventare fotografo professionista. Ci sei riuscito?
In effetti da quell’intervista è passato molto tempo. Beh se per fotografo professionista intendiamo la nozione base secondo cui riesco a vivere di fotografia e video si, posso dire di esserci riuscito. Essere fotografo professionista non per forza vuol dire essere un bravo fotografo. Diciamo che adesso mi sto concentrando sul migliorarmi in quella che oggi posso a tutti gli effetti definire una professione.

Domanda scontata ma: cosa cerchi nello scatto?
Parto dal presupposto che per me l’arrampicata e la fotografia si sono evolute insieme, passo dopo passo. È tutto iniziato per puro diletto, poi in qualche modo (non so bene nemmeno io come) la questione l’ho presa sul serio. Tra scalata e fotografia non saprei cosa mettere al primo posto. È difficile perché sono parti indissolubili del mio essere. Il mio approccio alla fotografia si è evoluto, ma la base di partenza è rimasta la stessa: il desiderio di catturare delle belle immagini.

Non riesci a fare a meno della fotografia?

Al momento no, ne tantomeno della montagna. Non voglio dire che sia un’ossessione, ma sicuramente una positiva motivazione. Tutto si è intensificato e complicato, nel senso che scoprendo anche lati diversi della montagna da esplorare con essa si è evoluta anche la mia fotografia; parlo dell’alpinismo classico, dello sci alpinismo, della corsa in montagna, dell’arrampicata trad e via dicendo. Quindi per rispondere alla domanda di prima, quello che cerco di preciso nello scatto dipende da moltissimi fattori, primo e più importante tra tutti il mio umore: ci sono giorni in cui cerco di ritrarre l’azione, altre volte cerco il paesaggio dipinto dalla luce, altre volte ancora il contrasto, la texture e avanti così. Cercare la stessa cosa, e quindi cadere nell’abitudine, non penso possa essere uno spunto da cui partire se si vuole crescere. Ma questa, come tutto quello che verrà riportato in seguito, è solamente una mia opinione.

Come fotografo cerchi di documentare. Quant’è importante uno scatto di azione vera, rispetto ad uno scatto fatto magari dopo appositamente?
Beh come dite a proposito dell’azione vera… L’attimo, il primo e indissolubile, è quello che probabilmente conta di più, sia a livello di documentazione che di sentimento. Il vivere in prima persona “l’attimo” ed essere in grado di catturarlo è spesso sinonimo di emozione. D’altro canto anche documentare a posteriori può voler dire vivere delle emozioni forti. Vi racconto questa: circa un anno fa ho potuto intervistare Simone Moro di ritorno dalla spedizione sul Nanga Parbat quando ancora lavoravo in La Sportiva. Mi ricordo che volevo assolutamente fargli una domanda sulla sua visione di “alpinismo romantico”, una visione che nel mio piccolo mi sembrava di condividere. La sua risposta è stata così sottile e al tempo stesso ricca che per un attimo ho avuto un nodo alla gola. È stata una bella scossa emotiva che mi ha accompagnato per tutto il giorno. Diciamo quindi che le emozioni arrivano se sei anche voglioso di coglierle.

C’è uno scatto di cui vai particolarmente fiero?
La fierezza è un sostantivo pericoloso. Diciamo che ci sono foto che mi piacciono di più e altre molto meno. Spesso, questo penso che valga per qualsiasi altro fotografo, il valore che attribuiamo a una fotografia è direttamente proporzionale alla situazione in cui è stata scattata. Al momento mi vengono in mente quattro fotografie a cui sono molto legato. Vado in ordine cronologico. La prima è quella del mio amico Gabriele Moroni sul 9a+ di Goldrake a Cornalba. Diciamo pure che quello di Gabri nei miei confronti è stato un gesto di grande fiducia e amicizia. La seconda è una foto in bianco e nero di Silvio Reffo di spalle su Pure Imagination a Red River Gorge, una vacanza indimenticabile. La terza il lancio di Andy Gullsten su Three Degrees of Separation a Céüse dove ho aspettato quattro giorni in tenda prima di anche solo tirare fuori la macchina fotografica dallo zaino. E infine quella di Stefano Ghisolfi su Aerodrome ad Arco, l’immagine che ho scattato per la guida di Arco che ho redatto e riscritto.

Non solo foto, ma anche video. Come cambia il tuo approccio?
L’approccio che adotto a seconda della materia cambia ed è puramente motivazionale. Ci sono momenti in cui sono più motivato a filmare e altri in cui preferirei scattare solamente fotografie. Nessuna delle due prevale l’altra in termini di difficoltà o di emozioni. Probabilmente il mondo video richiede un processo più lungo in termini di elaborazione. Ciò non vuol dire che abbia possibilità di scegliere se fare video o foto quando un cliente mi propone un progetto, dal momento che lui già sa cosa assegnarmi. Il mio compito generalmente è fare in modo che gli piaccia il risultato finale. Una cosa in più posso dirla: il video, in qualsiasi contesto, penso che abbia una carica emotiva molto forte. Mi piace molto intervistare le persone. Penso che a voi sia successo più di una volta di raggiungere un punto durante un'intervista che sentite che le anime stanno comunicando. E io lo trovo affascinante.

Sì, siamo d'accordo. Senti, sempre più spesso gli atleti ed alpinisti di punta sono accompagnati da fotografi e videomaker, che devono anche essere non solo bravi a fotografare, ma anche essere alpinisti molto bravi. Che si prendono anche dei rischi per lo scatto perfetto…
Lo scatto perfetto non esiste. La perfezione la vivi tu, nel preciso momento in cui scatti la fotografia. La fotografia, come il cinema, la musica e via dicendo, le ritengo materie talmente soggettive (come la scalata del resto) che lo scatto che tu definisci perfetto a me potrebbe non piacere, come del resto un film o un gruppo musicale. Detto questo beh, penso che non sia un segreto che la bravura dei fotografi di questo settore stia nel sapersi muovere in autonomia e sicurezza. La parte concernente il rischio è delicata ed è sempre la solita: il rischio in montagna (anche a fare fotografie) non è mai nullo. Alla fine è questione di esperienza e di prudenza allo stesso tempo, e di passione ovviamente. Diciamo che l’ostacolo più grande è spiegare alla ragazza che conosci il venerdì sera al bar cosa fai di lavoro (risata).

Cosa ti piace di quei momenti condivisi in montagna con gli atleti? Ma ti senti un po’ atleta?
Diciamo di si, anche se ovviamente su piani diversi. Il fatto di poter condividere e partecipare con il mio lavoro al talento di molti atleti mi fa sentire fortunato. Il fatto che un atleta mi chieda di fargli le foto mi rende orgoglioso. Con alcuni atleti che ho seguito ho instaurato un rapporto di amicizia che va oltre alla scalata. E questa, alla fine di tutto, è probabilmente la cosa più importante.

Le foto ai tempi dei social. Ormai siamo “bombardati” in continuazione da immagini.
Essere attivo sui social fa la differenza tra ricevere un lavoro o meno (e aggiungerei ingiustamente in un mercato ipoteticamente perfetto). Su questo penso che non ci siano dubbi. Alla domanda “vivresti meglio senza social media” risponderei senza ombra di dubbio si, ma puramente per una questione personale. Professionalmente parlando penso che siano una figata. Mi fa specie vedere che il lavoro del fotografo, come accennato in precedenza, si stia “soggettivizzando” sempre più. Questa tematica è talmente complessa e controversa che non credo di essere la persona giusta a cui chiedere un parere. Bisognerebbe sentire cosa ha da dire Chris Burkard a riguardo (3 milioni di followers su Instagram) e se non lui, in Italia, fotografi rinomati come Damiano Levati o Daniele Molineris (quelli che mi piacciono di più). Dovessi scegliere le immagini che mi colpiscono in assoluto di più sono quelle di Tim Kemple e Renan Ozturk.

La fotografia è la tua passione, ma anche il tuo lavoro. Quanto è facile o difficile combinare le due cose?
Quando il tuo lavoro coincide con la tua passione (e viceversa) non è tanto difficile combinare le cose. Ci sei dentro fino al collo e quella forse è la fregatura più grande. La passione è una cosa bellissima. Mi ritengo una persona fortunata, anche se tutto quello che faccio è perché ho deciso investirci tempo, energie e denaro. Vivere della propria passione richiede sacrifici che magari non tutti sarebbero disposti a fare. Il primo tra tutti non stare mai fermo, che vuol dire tutto e vuol dire niente. Soprattutto quest’anno ho macinato chilometri per lavori diversi (e lontani) tra loro. Non che questo mi dispiaccia. Alle volte, almeno personalmente, è difficile trovare un equilibrio, poiché se lavoro e passione sono mescolati, fai anche fatica a capire qual è il tempo che dedichi al lavoro e quale a te stesso, alla famiglia, alle amicizie, all’amore; insomma le cose importanti. Al momento il mio equilibrio per non cadere e farmi male è continuare a muovermi. Spero di essermi spiegato: mi piace così.

Quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Penso che viaggiare il più possibile possa racchiudere tutti i progetti che ho in mente di realizzare passo dopo passo. Mi piacerebbe molto riuscire a specializzarmi, ma anche progredire nella mia scalata e nel mio alpinismo, da atleta e non da fotografo. Al momento mi piace quello che sto facendo, probabilmente perché di aver veramente ancora molto da imparare, da tutti i punti di vista. Questo credo sia al momento lo stimolo più grande per continuare a fare il lavoro in cui mi sono imbattuto. A dire il vero avrei il desiderio di coltivare dei progetti scollegati dalla montagna: esplorare il più possibile campi diversi come presupposto per un cammino di crescita che mi faccia sentire bene con me stesso.

Matteo Pavana ringrazia La Sportiva,Mammut Italia e F-Stop Gear

Link: FB Matteo PavanaInstagram Matteo Pavana, www.theverticaleye.com




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