Emanuele Andreozzi, storia di una ripartenza

Era il 4 marzo 2022 quando Emanuele Andreozzi fu travolto sulle piste da sci, con tutte le conseguenze di un grave infortunio ad influenzare i mesi, poi anni, successivi. In questa intervista curata da Monica Malfatti, l'alpinista 30enne racconta com’è andata e soprattutto come sta andando la ripresa.
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Emanuele Andreozzi durante l'apertura di Alchimia alla Cima de Gasperi in Civetta (Dolomiti)
Emanuele Andreozzi / Santiago Padros

Immaginate di trovarvi su una pista da sci. La meteo è ottima, le temperature marzoline sono un preludio alla primavera, non troppo fredde ma nemmeno eccessivamente calde, e la neve sembra a dir poco invitante. Il vostro obiettivo di giornata è quello di allenarvi, di limare la tecnica in vista degli impegni invernali con il corso da Aspirante Guida Alpina. Si tratta di mettere in pratica esercizi specifici sul corto-raggio, implementando le capacità di controllo. Quelle stesse capacità che invece un ragazzino sedicenne, appena gettatosi a rotta di collo sulla pista che avete scelto anche voi, sembra proprio non avere. E mentre siete fermi al bordo, nella pausa fra una serie e l’altra, lui vi centra, senza preavviso, lasciandovi addosso lo stupore di non averne percepito manco l’ombra e il dolore atroce delle ossa andate in frantumi.

Era il 4 marzo 2022, quasi due anni fa – racconta Emanuele Andreozzi, fortissimo arrampicatore metà siciliano e metà olandese (ma prestato infine al Trentino), protagonista di questa vicenda – e anche se avevo intuito che l’infortunio potesse essere piuttosto grave, mai avrei immaginato i mesi di autentica tribolazione che ne seguirono.

Anche perché, quel 4 marzo, i progetti che avevi in cantiere erano tantissimi, nati anche dall’esigenza di poter finalmente tornare in montagna dopo lo stop forzato della pandemia.
La stagione invernale stava procedendo a gonfie vele. In autunno avevo salito diverse goulotte in quota con Silvestro Franchini e Rolando Varesco, mentre a dicembre – insieme a Matteo Faletti e Franz Nardelli – avevamo aperto una nuova via sulla parete nord della Cima Busazza in Presanella. Il 2022 sorrideva, a febbraio insieme a Francesco abbiamo ripetuto la Phantom Direct sulla sud delle Grandes Jorasses, e il mio sogno di portare avanti imprese in perfetto stile alpino sembrava avere un senso e una prospettiva. Proprio l’arrampicata alpina su terreno misto è ciò che amo fare di più in montagna e traslare lo stesso stile alpino nelle spedizioni sulle grandi catene del mondo trovo sia ancora un’attività appannaggio di pochi, che dà molti stimoli. La pandemia aveva bloccato i miei progetti in questo senso, ma speravo di poter partire per una spedizione già nella primavera 2022.

Nel frattempo c’era da portare avanti anche la formazione come Guida Alpina.
Esatto, dopo il Covid iniziare questo percorso si configurò come un’altra grande opportunità. Vivere di alpinismo, per tanti appassionati, è soltanto un miraggio. Io invece ho sempre cercato il modo di poterlo fare, da quando – appena diciottenne – sognavo la montagna dal livello del mare.

Tu infatti sei nato a Palermo, da padre siciliano e madre olandese. Che cosa porti di questo mix etnico nella tua vita di tutti i giorni ma soprattutto nel tuo modo di andare in montagna?
Con la mia famiglia abbiamo vissuto lontani dal caos della città, nelle campagne vicino a San Martino delle Scale, un fresco paesino della Sicilia, immerso fra le montagne e lontano dal mare. Ma soprattutto lontano dal traffico e dal cemento, fra la natura e i suoi silenzi. Nonostante questo, in Sicilia non ho mai trovato la mia dimensione. Compiuti i vent’anni, mi sono avvicinato sempre più alla montagna, dapprima grazie alla fotografia paesaggistica, di cui avevo cominciato ad appassionarmi a 18 anni. Poi da lì ho cominciato a scalare e gradualmente questa nuova passione ha finito per soppiantare l’altra. Per inseguire i miei sogni, compiuti i 22 anni, mi sono trasferito a Trento, dove per la prima volta in vita mia mi sono sentito davvero a casa, in un posto dove poter sognare e progettare il futuro in maniera felice e legata alla montagna.

A mettersi di traverso, quel 4 marzo.
Dopo l’impatto mi sono ritrovato a terra, con un dolore indicibile dato dagli spasmi del muscolo ferito attorno alle ossa frantumate del femore, il che contribuiva a lacerarne ancora di più i tessuti. Non vorrei che quest’intervista diventasse troppo splatter, ma la situazione era davvero allucinante. So che tutti hanno fatto il possibile, ma quel giorno c’erano tanti altri incidenti sulle piste da sci e dovetti aspettare l’elicottero per più di un’ora, assistito dai Carabinieri del servizio piste che, impotenti, cercavano di darmi forza. Ad un certo punto pensai quasi di morire, di lasciarmi andare, sono stati attimi davvero terribili. Appena l’equipe medica arrivò con l’elicottero, mi sedarono ed intubarono direttamente in pista, per poi trasferirmi d’urgenza all’ospedale Santa Chiara di Trento, dove venni subito operato.

Arrivati a questo punto del racconto, il peggio sembrerebbe passato.
E invece doveva ancora cominciare. Qualcosa era andato storto, una parte del femore rotto era stata lasciata dov’era, insieme al fastidiosissimo dolore del muscolo continuamente lacerato. Dopo due settimane circa, mi sono fatto trasferire in una clinica privata a Bolzano, che per risolvere il problema ha dovuto operarmi altre due volte. Un calvario davvero estenuante, finito soltanto lo scorso settembre con l’ultima operazione: quella di rimozione della vite endomidollare in titanio che portavo dentro il femore da quasi due anni.

E due mesi dopo l’intervento ti vediamo impegnato in altrettante aperture di spessore.
In realtà nemmeno durante questi due anni mi sono fermato più di tanto: ho sempre cercato di reagire, mettendomi alla prova in realizzazioni che fossero adatte alla mia nuova condizione. Nella vita di tutti i giorni zoppicavo ancora vistosamente e questo influiva senz’altro anche sulle performance sportive. Da una parte volevo assolutamente continuare con i corsi da Guida Alpina, per non perdere troppi moduli, dall’altra volevo provare a me stesso che, nonostante il destino avverso, non tutti i miei progetti erano andati in frantumi, anzi. Lo scorso 17 dicembre ho aperto così con la mia compagna, Vaida, una probabile nuova cascata sul Monte Fop in Val Ombretta, esattamente di fronte alla parete sud della Marmolada e ad Rifugio Failer, in un ambiente davvero scenografico. Tre giorni dopo, il 20 dicembre, con Rolando Varesco abbiamo aperto una nuova via vicino al Passo Gardena, mentre il 4 gennaio insieme a Stefano Giongo sul Monte Fop abbiamo aperto Per un Angelo.

Ma i tuoi sogni più grandi restano ancora legati alle spedizioni.
Occorre prima capire come il mio fisico reagisce a questi "stimoli preliminari". Sicuramente nulla è perduto, e nel corso di questi lunghi mesi l’ho proprio capito e sperimentato sulla mia pelle. La montagna ha un significato immenso per me e si nutre della capacità di superare tutto. Ovviamente sempre in stile alpino, il che significa anche senza sconti.

E di sconti, Andreozzi, decisamente non ne ha avuti.

Intervista di Monica Malfatti per Elbec

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