Al Monte Fop nelle Dolomiti Emanuele Andreozzi e Stefano Giongo aprono Per un Angelo

Il report di Emanuele Andreozzi che il 4 gennaio 2024 insieme a Stefano Giongo sulla parete nord del Monte Fop in Val Ombretta (Dolomiti) ha aperto la via di misto 'Per un Angelo' (630m AI5, M6).
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L'apertura di 'Per un Angelo' sulla parete nord del Monte Fop in Val Ombretta, Marmolada, Dolomiti (Emanuele Andreozzi, Stefano Giongo 04/01/2024)
Emanuele Andreozzi / Stefano Giongo

La parete nord del Monte Fop si annovera sicuramente tra le pareti dolomitiche meno conosciute dal punto di vista alpinistico. Posta di fronte alla mitica Sud della Marmolada, non può reggerne il confronto; mentre essa brilla al sole e invita chiunque la guardi ad essere scalata, al contrario la Nord del Fop, annichilita e all’ombra, appare cupa e con roccia poco invitate.

Eppure nell’ormai lontano gennaio 2016 fu proprio lì che cadde il mio occhio, durante un giro esplorativo in Val d’Ombretta alla ricerca di possibili nuove linee. Quella spaccatura che solcava la parete da cima a fondo sembrava davvero interessante. Al tempo ero un ragazzino, andavo in montagna da poco e stavo facendo esperienza ripetendo vie di roccia in estate e cascate di ghiaccio in inverno, e quella fu la prima volta in assoluto della mia vita che andai a cercare una nuova via da aprire.

In questi otto anni, per svariati motivi non ebbi mai l’occasione di andare a metterci il naso. In quel periodo non conoscevo molte persone che scalavano e quindi mi mancavano innanzitutto compagni di cordata motivati a vivere un’avventura del genere, ma negli anni a venire non ebbi più questo problema. Eppure non concretizzai mai davvero l’idea di salirla; nonostante tutte le volte che arrivavo in vetta alla Marmolada con gli sci, guardavo la linea e mi promettevo di andarci.

Soltanto questo inverno, finalmente ho trasformato i buoni proposti in fatti concreti, portandomi alla base della via il 17 dicembre con la mia compagna Vaida Vaivadaite. Purtroppo non potemmo fare altro che constatare come la verticale goulotte iniziale era formata da neve inconsistente appiccata alla roccia. Semplicemente non c’erano le condizioni minime neanche per provare a fare un passo verso l’alto. Fortunatamente avevamo un’alternativa per quel giorno, e andammo ad aprire una nuova cascata sulla medesima parete, che chiameremo poi "First Time".

Avevo però tutt’altro che abbandonato l’idea di salire questa linea, confidavo che con il ciclo caldo-freddo la neve inconsistente si sarebbe trasformata in alpine ice, e il caldo anomalo dei giorni compresi tra natale e capodanno sembravano proprio favorire tale processo. Con Vaida fuori gioco causa lavoro, mi accordai con Leonardo Martnelli e Stefano Giongo per il 4 gennaio, ma a causa di un problema personale, all’ultimo minuto Leonardo dovette rinunciare.

Con Stefano optammo per fare l’avvicinamento senza sci e arrivammo sotto la goulotte quando ormai le tenebre della notte avevano lasciato spazio al giorno. Vidi subito che questa volta il ghiaccio c’era, non restava che scoprire se sarebbe stato solido a sufficienza per poterci scalare. Nel cercare un buon posto dove attrezzare una sosta all’inizio del canalino, con grande sorpresa ci imbattemmo in un fix. Guardando meglio, poco più avanti ne vedemmo subito un altro, eravamo totalmente sorpresi. Fu sufficiente scambiarci due parole per capire che entrambi la pensavamo allo stesso modo: la linea era bellissima, in quel momento volevamo solo scalarla, era del tutto ininfluente se fosse o meno una nuova via.

In quel preciso istante pensavamo solo a "goderci" la giornata al tipico freddo pungente di una parete nord dolomitica in pieno inverno. Salendo quel facile canalino iniziale, incontrai altri fix, poi alla base del muro verticale, dove iniziava quello che si presentava subito come il tratto chiave di tutta la salita, un singolo golfaro con maillon di calata sanciva la fine dei fix. Buffo che un canalino con al massimo secondo grado di ghiaccio era "spittato a metro", mentre ora che il gioco si faceva duro, non ve n’era più alcuna traccia.

Senza più la sicurezza dei fix, iniziai a scalare il ghiaccio verticale con molta prudenza, non sempre era solido e le viti non garantivano alcuna tenuta. Il forte attrito a metà del tratto verticale fu la scusa perfetta per fermarmi ad attrezzare una buona sosta sulla roccia a sinistra del ghiaccio. Fu una scelta saggia, perché quando ripartii, la situazione peggiorò. Non tanto nel ghiaccio, che come prima era di dubbia tenuta e appena sufficiente per scalare, ma il vero problema consisteva nel calcare super compatto che non offriva alcuna possibilità di protezione, così dopo essere riuscito a piazzare un ottimo friend numero 4 appena partito dalla sosta, dovetti scalare i restanti 8 metri su difficile ghiaccio verticale prima di avere a disposizione un nuovo posto per piazzare una protezione.

Attrezzata la sosta, tirai un sospiro di sollievo, adesso eravamo dentro il budello dell’enorme spaccatura ed il terreno sembrava divenire più agevole. Ci alternammo al comando di due tiri di media difficoltà, con alcuni risalti verticali di misto ben proteggibili. Dei fix non trovammo più traccia, era evidente che si trattava di un tentativo. Neanche da casa nei giorni successivi siamo però riusciti a risalirne all’origine.

Tornando a noi, la casualità del procedere a comando alternato fece sì che Stefano si trovò avanti nel tratto meno verticale, che decise di affrontare in un unico tiro da 380 metri senza mai fermarsi, in questo modo arrampicammo in simultanea tutta la porzione centrale della via. Spesso e volentieri in quel tratto affondavamo nella neve ben oltre le ginocchia e Stefano fu davvero un "trattore" nel tracciare tutto da solo.

Dalla sosta attrezzata da Stefano, avevamo davanti a noi l’ultimo rebus, ovvero il camino terminale, durante tutta la salita mi ero chiesto se ci avesse lasciato passare e in quel momento toccava a me iniziare a scoprirlo. Man mano che salivo, il camino si faceva più angusto e stretto, ma almeno in quel primo tratto sembrava fattibile: la roccia era solida e gli agganci per le picche non mancavano mai. Con un ultimo sforzo, sfruttando un aggancio rovescio, mi tirai su oltre uno strapiombo, giungendo su un canale di neve, per poi fermarmi a sostare sotto un masso incastrato.

Stefano dovette legarsi lo zaino sotto l’imbrago, talmente era stretto il camino che non sarebbe mai riuscito ad entrarci con lo zaino in spalla. Il masso incastrato impediva di vedere oltre, osservai Stefano affrontare agilmente il primo strapiombo, poi sparì dalla mia vista. Non riuscivo a capire quanto mancasse ancora per uscire dalla parete. Quando toccò a me scalare e giunsi in prossimità della sosta, Stefano mi disse che eravamo in cresta, fuori dalla parete. Fantastico! In breve lo raggiunsi, entrambi eravamo felicissimi.

Stefano è uno scalatore di indubbio valore e affidabilità, lì in cima mi confidò che era la sua prima volta in apertura di una nuova via ed era visibilmente contento. Mi fece davvero piacere condividere con lui quel momento, in più per me, dopo l’incidente sulla pista da sci di quasi due anni fa, era la prima volta che tornavo a vivere un’avventura del genere, quindi fu inevitabile emozionarmi.

Dietro di noi, sulla sud della Marmolada, risplendeva ancora al sole, guardai l’orologio e mancavano dieci minuti alle quattro. Ricordandomi le avventure e le vie aperte prima dell’incidente, pensai che iniziare a scendere alla luce del giorno era un lusso al quale non ero abituato. La discesa fu anche piuttosto rapida e priva di problemi, alternando doppie nei punti più ripidi e disarrampicata in quelli più facili, all’arrivo delle tenebre eravamo giù dalla parete, a scaldarci un meritato tè caldo col fornelletto. Pensammo a Leonardo, che sarebbe dovuto essere con noi, eravamo davvero dispiaciuti non aver potuto condividere questa avventura con lui.

Avevamo salito una via di oltre seicento metri di sviluppo, ma per scendere abbiamo lasciato solo due cordini su spuntone e clessidra, una fettuccia su un albero, tre chiodi e due nuts, questo grazie alla scelta di disarrampicare nei tratti più facili. Cercare di lasciare la montagna più pulita possibile dopo il passaggio, rimane sempre un punto fondamentale del mio modo di salire e scendere le montagne.

di Emanuele Andreozzi

Si ringrazia Elbec e GrandeGrimpe per il supporto

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