Novità dalla Val d’Adige: 4 multipitch sul Monte Cimo, Brentino

Ultime novità dal Monte Cimo in Val Adige a cura di Matteo Rivadossi, che insieme a vari compagni di cordata ha aperto ' Transgemica' e 'Z di Zorro' alle Pale Basse, e 'Pandemenza' alla Pala del Boral. Le tre vie di più tiri si aggiungono a 'Proposta Indecente' alla Pala del Boral, aperta nel 2003 e mai pubblicata finora.
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In apertura su L6 di 'Transgemica', Pale Basse - Monte Cimo, Val d'Adige (Matteo Rivadossi, Davide Dallera, Cristina Oldrati, Davide Iotti marzo/aprile 2024)
Matteo Rivadossi

Concluso il piacevole capitolo Ceraino, con quattro belle viette a più tiri scritte nel settore classico dello splendido Verdon veronese (Gli Ormonauti, Belli e Dannati, La Tigre del Ribaltabile, Lo Spaventapassere), mi sono ritrovato in piena tossicodipendenza da Val d’Adige: da quel mix psichedelico di roccia da sballo, di appicchi selvaggi sospesi sul rumore della statale o della autostrada del Brennero. Godendo di quel magico tepore in bilico tra afa e tramontana, dell’imbarazzo della folla o della solitudine, degli ultimi gradi regalati come delle spettinate di quelli storici…

Di certo la Valle è più frequentata ora per le vie che chiamerei social (plaisir è troppo inflazionato) che non negli ultimi quarant’anni, per prime le severe multipitch sportive nate sulle pale del Monte Cimo per mano di pochi esploratori a partire dal 1983. Tra i primi Alberto Rampini e Sergio Coltri seguiti da pochi altri che, con le loro vere proprie opere d’arte, all’epoca regalarono alla Valle un primato italiano anche numerico capace di spaventare la blasonata Valle del Sarca.

Nomi come Te lo do io il Verdon, Piastrine Selvagge o Capitani Coraggiosi ancora oggi evocativi di un’epopea, muovevano testa e pancia. Quando il piacere (scritto in italiano) era respirare la roccia tra uno spit e l’altro, non il contrario. Quando si tornava a casa strigliati ma più ricchi perché anche una via di fondovalle ci aveva insegnato tanto come la montagna.

Ed è proprio ripetendo alcune delle classiche perle di Brentino lo scorso inverno, complice una stagione ghiaccio decisamente sottotono, che la mia fantasia è volata alla ricerca dei pochi spazi liberi, nonché della rara manovalanza disposta a sopportarmi…

Alle Pale Basse, ottimo prologo per i superiori Saas de Mesdì e Pala del Boral, a dicembre 2023 in mezze maniche con Cristina Oldrati e Daniel Ferrari ci siamo divertiti zizzagando sotto l’enorme tetto del settore Mamma Olga: è nata così Z di Zorro, una serie di traversi aerei e originali (stupefacente quello del terzo tiro) su gocce, coralli e concrezioni capaci di regalare un’insospettabile avventura dalle difficoltà contenute. Buon piatto unico o, per i più golosi, appetitoso antipasto da abbinare a una via dei settori superiori.

Sempre alle Pale Basse ma più a destra, a febbraio di quest’anno sono ritornato dopo ben trent’anni sull’imperdibile Gem 85 (Coltri e Laiti, 1985) che dà il nome al settore godendo ancora del suo monumentale diedro. Ma è salendo la parallela e più difficile Limited Edition (Simonini e Coltri, 2018), che ho notato alla sua sinistra una porzione di parete libera accessibile tramite un traverso grigio sospeso sopra i grandi tetti. L’idea di aprire una sorta di variante d’uscita però non mi convinceva: decisi allora di buttarmi su una linea nuova scorta completamente a destra di Gem 85 e di Vuoto a Rendere (Arduini e Maghella, 2019), indipendente fin dalla base: a marzo dopo due tiri molto belli ed articolati, siamo finiti sotto un tetto quasi orizzontale da sei metri. Le velleità di una libera dura ma possibile si sono infrante purtroppo come gli appigli chiave, canne di concrezione purtroppo cedute al primo rintocco... Rimarrà Gemica, una variante cieca per gli appassionati di staffe.

Senza demordere, siamo tornati al traverso sottostante di L2, esposto ma facile, continuandolo a sinistra fino alla grande cengia a galleria che taglia tutta la parete. A questo punto o si accettava di aver aperto una bella variante d’attacco a Gem 85 (combo consigliatissima, mai oltre il 6a+!) o alle altre vie, oppure si provava ad andare a sinistra di Limited per continuare sulla parete libera. Ed è così che in due giornate di aprile con Cristina e Davide Lotti abbiamo salito le canne e le gocce dello splendido traverso ascendente di L4 (forse uno dei tiri più belli di Brentino…) e le due lunghezze verticali seguenti completando Transgemica, un vero e proprio viaggio attraverso tutto il settore. Mi fa piacere aver appreso dai ripetitori che anche a loro sia parso impossibile aver percorso tutta quella strada e quelle emozioni in soli cento metri di parete!

Dalle Pale Basse il passaggio alla Pala del Boral il passo è breve ma faticoso: non vi ritornavo addirittura dal 2003 quando con Alberto Damioli aprii dal basso e in giornata la meritevole ma mai pubblicata Proposta Indecente (di cui troverete adesso la scheda e la relazione). Da S2 della storica Silvia (Rampini e Baroni, 1983), la via affronta un pilastro impegnativo e verticale a cui seguono placche più facili molto lavorate. Difficoltà concentrate in un solo tiro ma roccia da antologia che ripaga un giro. Accontentatevi di tracciato e schizzo perché le immagini sono perse tra le 15 mila diapositive mai riordinate…

A fine aprile di quest’anno la scusa per ritornare in zona è stata regalarci con due cordate di amici una sempre superlativa Girl (Coltri e Laiti, 1986), ripetuta ben 28 anni fa, cioè nell’età in cui saltavamo davvero i fossi per lungo ma senza trovarla comunque una passeggiata…

E anche in questa occasione, scrutando tutto il pilastro libero compreso tra Girl e il gran diedro della XXV Aprile (Rampini e Baroni, 1983), sono stato colto dall’ennesimo attacco di delirio cronico da apritore. Tanto che due settimane dopo, con i pazienti Dandi e Cristina ormai precettati da tempo, inaugureremo il nuovo cantiere di Pandemenza con la prima delle quattro dure giornate di apertura. Innanzitutto per l’avvicinamento, non proprio comodissimo se, carichi come bestie, bisognava salire sempre sotto i 35 minuti correndo poi a manetta in discesa…

Dopo le prime due lavoratissime lunghezze arriviamo ad S2 della XXV Aprile carichi di dubbi e aspettative: la chiave per raggiungere il centro del pilastro, nostro obbiettivo, sarà un fotogenico traverso esposto proprio a sinistra della sosta. La fiducia cieca viene ripagata oltre da un diedro a gocce e da una stupenda placca multicolore da contornare e traversare fino al punto debole del tetto oltre il quale ci attende un bel diedro che, percorso in libera, rappresenta il passo più aleatorio della via. Poi un attimo di calma su placche abbattute fino all’ostico muro finale, un rebus alla ricerca di un’arrampicabilità tutt’altro che scontata. Se ogni tiro fino ad ora è stato diverso dall’altro e caratterizzato da buchi, gocce, canne e fessure del più bel repertorio di Brentino DOC, anche l’ultimo non poteva esimersi: un diedro da sogno, una volta potato, che pare voluto dal destino pur di accompagnarci fuori da questa ultima follia.

Ormai siamo nel bosco, con i piedi che urlano, l’ultimo sorso d’acqua da dividere e la sensazione vivida di essere alla fine di una battaglia, di un viaggio o di un libro nei quali la nostra ossessione e pure l’assordante autostrada paiono sopite.

Non conta più nulla essere arrivati qui trascinandoci un ignobile sacco in parete, rifacendoci tutti i tiri senza fisse, spazzolando dal basso in apertura, tirandoci zolle e terra nera negli occhi e nelle scarpe, aprendoci le nocche a martellate, tagliando decine di piante in libera o diabolicamente aggrovigliate alle doppie, tra i capricci di una tarda primavera mai così piovosa. Ancora una volta resta solo la bellezza di una linea immaginata e poi disegnata da metabolizzare per giorni.

Difficile davvero spiegare ai non addetti ai lavori o ai pontificatori da tastiera cosa stia dietro all’ennesima vietta sportiva che non arriva a 200 metri! Difficile spiegarsi perché da quarant’anni la magia contagiosa di questa roccia possa ancora far sognare.

di Matteo Rivadossi

Rivadossi ringrazia CAMP, Kayland ed Elbec

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