Niccolò Ceria, boulder spaziali a Fontainebleau
Celinette
E’ la linea a destra di Menhir e l’ho vista per caso lo stesso giorno in cui sono andato a provare Menhir, appunto. Prima di allora non ne ero a conoscenza. Molto bello per la scalata e per una pinza in particolare nel mezzo della sequenza. Alto il giusto, con movimenti super fichi!
Orange Juice
Uno dei sassi più nascosti nel bel mezzo di un settore super classico che tutti conoscono, Rocher Canon. Mi è stato consigliato da un amico, altrimenti non l’avrei mai notato in mezzo al caos. Senza o con magnesite il suo aspetto cambia notevolmente ☺
Monaco
Anche questo mi è stato consigliato. Un esempio perfetto per far capire quanto Fontainebleau sia sconfinato e quanto abbia da offrire al di là dei soliti tre posti in cui tutti vanno a scalare: basta allontanarsi qualche chilometro da Bas Cuvier per trovare a bordo strada un bosco incantato, senza anima viva e con roccia non rovinata dall’elevata frequentazione.
JVDC
Uh, uno dei più belli di questo viaggio, a parte la roccia che è forse un po’ troppo sabbiosa. JVDC non l’avevo mai visto in nessuna foto o letto in nessuna guida; poi passeggiando nella zona Nord dell’Elephant mi è capitato davanti agli occhi e rimasi piuttosto colpito dalla conformazione delle prese e dallo sviluppo della linea. Decisi di ritornare qualche giorno dopo per trovarlo asciutto. Il sasso è più alto di quello che sembra ed essendo da solo con un paio di vecchi pad è stata un’esperienza perfetta per concludere quella giornata.
Pierre, Feuille, Ciseaux
Una delle linee migliori che abbia salito in Foresta: linea singola senza null’altro attorno, sequenza di prese incredibili che segue la prua di un sassone in maniera logica e senza altri intoppi, ma più che altro ha la miglior qualità di roccia che si può trovare a Font. Anche qui il fatto di salirlo da solo al crepuscolo mi ha offerto uno dei momenti top del viaggio ☺
Menhir
Anche questo non troppo frequentato, pur essendo salito anni fa da J. Nadiras. Andai a vederlo uno degli ultimi giorni del mio viaggio nel 2015, ma poi non ebbi tempo per tornare con i pad e dovetti rimandare. Quest’anno sarebbe stato uno dei primi sassi da provare, non solo per la bellezza incredibile, ma anche per il fatto che tutte le prese erano confortevoli per la lesione della mia puleggia e quindi non mi avrebbero dato troppa noia.
Saigon
Saigon é stato per me il blocco della luce. Il viaggio a Font era in programma da diverso tempo, ma quando mi infortunai la puleggia e Red Rocks a metà febbraio, iniziai a pensare di dover posticipare nuovamente. Le ultime settimane a Red Rocks le spesi parando Nils sui suoi progetti e due giorni di scalata su sassi facili furono sufficienti a farmi capire che il problema era davvero serio. Riposai altre due settimane e poi decisi di tentare comunque il viaggio a Font. Partii da casa con l’idea di stare soltanto un paio di giorni per testare il dito, invece di trascorrere tutto il mese come prevedevo. Il primo mattino mi svegliai con un’idea super precisa: oggi vado a provare Saigon, se ho male vuol dire che dovrò rientrare a breve, se non ho dolore significa che posso scalare buona parte di tutto il mese.
Non avevo mai visto Saigon prima di quel giorno, se non in alcuni video che mostravano le prensioni super piatte e quindi perfette per il mio problema. Arrivai sotto il blocco e per mia sorpresa non trovai nulla nei dintorni per scaldarmi come volevo. Scaldarsi su un sasso di simile difficoltà non è proprio fantastico, ma a Font è tutto diverso. La scalata è talmente intuitiva e fluida che non cambia tanto dove ti scaldi, specie su uno stile come quello di Saigon. Dopo un’oretta di tentativi, la ruggine accumulata nell’ultimo mese di stop iniziò ad andar via e iniziai ad essere caldo. Un’altra ora ed ero in cima. A quel punto ero certo che sarei riuscito a gestire il problema come volevo, fermandomi l’intero mese in Foresta ☺
di Niccolò Ceria
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