L’arte di salire in alto a Celva, trent’anni dopo. Di Alessandro Larcher
Ciascuna salita, ciascuna ripetizione di una via d’arrampicata, è una piccola grande storia a sé. Ma forse questa storia di famiglia su L’arte di salire in alto a Celva lo è un po’ più delle altre. Non solo per l’evidente e simbolica chiusura del cerchio tra padre e figlio. Ma anche perché la ripetizione del 22enne Alessandro Larcher di “L’arte di salire in alto” a Celva, giusto a trent’anni dalla prima salita che suo papà Rolando, allora 26enne, ha effettuato il 19 gennaio 1992, evoca più significati ed emozioni. Prima di tutto celebra la bellezza immortale di una linea e insieme dell’arrampicata di placca. Secondo, ci permette di ricordare i due chiodatori che ebbero la prima “visione”: Angelo Giovannetti e Roberto Tavonatti. Terzo, ci consente di nominare anche il mitico Camos (alias Bruno Tassi) che seppe vederne non solo la bellezza ma anche la fattibilità e quindi suggerì a Rolando Larcher di provarla. Infine, ci ricorda l’indimenticabile Gigi Mario che, su richiesta di Rolando, tradusse la scritta in giapponese che campeggiava sui fuseaux che all’epoca portava Rolando. Il significato, appunto, era: “L’arte di salire in alto”. Non si poteva dire meglio sia di quella linea sia dell’arrampicata che tutti i climber sognavano e continuano ancora a sognare. All’epoca era una delle prime vie italiane di 8c e, dopo tutto questo tempo, non ha perso nulla del suo fascino e dell’arte e della passione che servono per salirla.
L'ARTE DI SALIRE IN ALTO, 30 ANNI DOPO di Alessandro Larcher
Negli ultimi anni mi sono concentrato nel cercare di salire alcune delle vie dure più importanti e storiche a livello italiano. L’arte di salire in alto nella falesia di Celva, era sicuramente una di queste e forse quella a cui tenevo maggiormente. Esserci riuscito 30 anni dopo la prima salita di mio padre, del 19 gennaio 1992 è stato incredibile!
L’arte è fantastica, una linea perfetta, tutta naturale con dei movimenti che oltre alla preparazione fisica necessitano di una grande sensibilità di piedi.
È una via complessa e completa con passi fisici e sezioni continue, con rovesci, tacche e sul finale sfuggenti buchetti. Salire una via con una storia così importante mi ha fatto provare qualcosa di speciale, un fascino che nonostante i decenni è rimasto intatto e ti cattura.
Un momento magico che mi ha fatto riflettere sul fatto che questa, come anche altre delle vie storiche che ho salito, abbia movimenti e sezioni che sono ancora attuali e che faranno sempre sognare i climbers di qualsiasi generazione!
di Alessandro Larcher
Ringrazio: La Sportiva, Petzl e Visit Trentino