Porsi domande e accogliere l'inaspettato ai tempi del coronavirus
Piccole rocce emergono tra gli alberi di tek (pino silvestre) a poche centinaia di metri da casa. A febbraio erano assolutamente insignificanti. Ora scopro che ognuna ha un nome: la Píza, el Crúnscell, el Crún de l’Iseo, el Crun…
Sono modesti luoghi elevati, dai quali si gode una vasta e bella visuale sulla vallata. Con il trascorrere dei giorni gli occhi individuano nuovi segni inaspettati: antiche vie nascoste tra fioriture d’erica, tracce dei selvatici, vecchie miniere, pietre colorate da mineralizzazioni a rame, frammenti di talco e pietra ollare. Un microcosmo che si è svelato con le prime restrizioni alla circolazione in tempi di virus.
Nel periodo di reclusione, fuori dall’uscio, mi fermo incantato ad osservare una falsa ortica purpurea (Lamium purpureum) che spunta da una crepa nel muro, con i suoi delicati fiori labiati color rosa-porpora. Mentre i rumori dell’uomo scompaiono, il registro sonoro degli abitanti del bosco e della montagna si fa assordante.
Stormir di fronde e il canto degli uccelli pervadono gli spazi. E’ un tripudio di canti, lunghi e profondi fischi si alternano con suoni veloci, melodiosi o ripetitivi. Tutto sembra invitarci ad ascoltare, a fare attenzione!
Perché durante le nostre libere scalate prima del lock down tutto questo si percepiva a fatica?
Perché la frenesia del nostro fitness ondivago all’aperto anestetizzava la possibilità di cogliere ogni sfumatura, di immergerci nella profonda geografia dei luoghi?
Non ho risposte, ma la sensazione che la limitazione aiuti a raccogliere, a trattenere dentro a un setaccio tutte le più piccole cose che prima andavamo ignorando si rafforza ogni mattina.
Forse è l’occasione per imparare qualcosa? Cambiare o sovvertire le regole del gioco quando, finalmente, lasceremo alle spalle questo momento drammatico? Un’opportunità per tornare in ascolto, riprendere il contatto con tutti quei dettagli insignificanti che abbiamo sempre ignorato, renderli importanti, anche solo per il fatto che ora li sappiamo notare ed osservare. In tal modo le nostre montagne acquisterebbero un rinnovato interesse, trasformandosi in un inesauribile laboratorio di esperienze e di conoscenza sensibile.
Lo stop forzato ci sta mostrando quanti trasferimenti inutili, quanti spostamenti non necessari erano nella nostra quotidianità.
Guardare alle cime con uno sguardo nuovo, interrogarle con una diversa creatività e rompere le vecchie cornici sarà una grande opportunità. Per riscoprire l’importanza di perdersi, di accogliere l’inaspettato e far posto a nuove splendide occasioni per indagare ed esplorare, liberi da tutto ciò che ci ha trattenuto in basso. Libertà che, si sa, è anzitutto una forma di disciplina.
Quel che stiamo vivendo sta cambiando la graduatoria delle priorità. Perché in futuro non pensare ad un prolungamento dell’attenzione a salvarsi che stiamo sperimentando? Trasportandola dentro i luoghi “selvaggi”, approcciati con teste diverse, quando tutto sarà finito?
Passato il “casino” un nuovo valore esemplare potrà farci ripartire con un pensiero diverso?
Michele Comi - Guida alpina Valmalenco