In Valsugana tre nuove vie, un unico percorso della mente. Di Francesco Leardi
Era l’autunno del 2022 e iniziò, anzi si rigenerò una delle tante storie del Pubel dopo un gioco di sguardi tra le pieghe della parete. Era uno dei progetti rimasti nella mente e così nacque “Il gioco degli equilibri” ma, alla fine della storia, la solita dipendenza dalle mie camminate tra le corrugate valli mi lasciò un ulteriore cicatrice.
Percorrere un qualsiasi sentiero della Val Brenta o della Valsugana è come tuffarsi nel passato. Occorre avere occhi, fantasia, cuore e, perché no, affrontare con sacrificio lunghe salite. I dislivelli sono sempre importanti perché dal Brenta alle sommità sono minimo dagli 800 ai 1000 metri ed oltre, ma a prescindere dal valore sportivo ciò che rapisce il pensiero e ti pone davanti ad infiniti interrogativi è come l’uomo abbia potuto addomesticare il territorio con la fitta rete di sentieri che percorrono valli e crinali e come si svolgesse la vita in quelle contrade abbarbicate sui ripidi fianchi della montagna.
Orbene quando nel nostro ambiente di arrampicatori le vocine parlano di nuovi sogni occorre prestare molta attenzione, talvolta con malcelata indifferenza ma sempre con deferenza per carpire spunti che possiamo fare nostri per lo meno a livello mentale se non materiale. Così la mente si affolla di tutti questi fantasmi che non sono altro che placche, spigoli, pilastri, spazi verticali con immaginarie linee di progressione.
Insomma ho fatto un giro di perlustrazione in un territorio che già conoscevo e avevo percorso altre volte ma che oggi ho guardato con occhi diversi, meravigliandomi della mia precedente superficialità. Chissà se questo fantasma nella e della mente prenderà forma, e siccome le montagne e le pareti non sono mie ho voluto condividere questi miei pensieri con il popolo dei benpensanti verticalisti.
D’altronde le voci di corridoio che ho afferrato mi hanno dato nuova vitalità e interessi che pensavo di avere accantonato, ma gli orizzonti non hanno mai limite. Scendo a valle guardando dentro me stesso, interrogandomi sul tempo che sfugge e tento di convertirlo affannosamente in continue emozioni.
Il sole è sceso dietro il crinale e la valle è ormai in ombra. Solo il mio fantasma è rimasto al sole sbeffeggiando il tempo e l’immaginario che gli ho tributato. Era il primo gennaio e scrissi il racconto che avete appena letto, senza immaginare lo sviluppo che avrebbe avuto. Avevamo appena finito di chiodare “Il gioco degli equilibri” al pilastro del generale al Pubel che era stato parte dei fantasmi della mente e come un fantasma era stato fagocitato dalla realtà degli eventi.
E così altre linee affiorarono dalla mia mente, mantelli bianchi sgualciti appoggiati a versanti di montagne selvagge e solitarie. Decisi a priori che il progetto che si stava creando avrebbe avuto il nome “Il fantasma della mente” perché sempre e comunque i desideri sono fluttuanti come fantasmi. Poi emerge sempre e comunque la realtà!
Scrissi così alla fine di questa storia un piccolo racconto che non voleva narrare il dettaglio della salita ma tutto ciò che gli ruota intorno, perché salire una parete non è altro, come ho scritto, che un piccolo dettaglio di un gigantesco quadro.
Il mondo vicino
Abbiamo iniziato a camminare con il fantasma nella mente verso una sommità che non è quella del monte ma quella degli ideali mai sopiti. Siamo ritornati al mondo vicino, dimenticando le paure con cui il fantasma ci aveva tenuto prigionieri.
Aeora zea pronta a pasta? (Allora è pronta la pasta?) chiedo in un veneto genovesizzato.
A go za magnà! (tradotto:l’ho già mangiata)
Ma da dove ariveo? (tradotto: Ma da dove venite?)
Abbiamo finito di chiodare una nuova via sulla parete del Monte Cornone! Vergognandomi rinuncio alla parlata veneta!
Ghe xe speso dei tosi che va xo pal sentiero pan dar in faesia (tradotto: Ci sono spesso i ragazzi che vanno giù per il sentiero per andare in falesia). E mi indica il cartello. Gli spiego che abbiamo fatto un arrampicata diversa, su una parete più alta.
Gheto visto ea Civeta? (tradotto: Hai visto la Civetta?). Al che mi sovviene una perplessità perché la civetta di giorno ben difficilmente si riesce a vederla. Esterno il dubbio che mi viene prontamente fugato e cioè la civetta era una postazione militare dove era posizionata una teleferica che collegava il fronte di guerra alla Val Brenta. Ora capisco i ruderi visti in uscita dalla via perché erano posizionati su quel "nido d’aquila" a picco sulla tormentata vallata sottostante.
Frazione di Biasia. Tre abitanti, tre ottantenni ognuno nella sua casa che attendono il dolce scorrere del tempo, ammirano la neve cadere e il sole scioglierla, seguono il fluire del sole dal suo nascere fino al tramonto. I colori delle stagioni abbelliscono questo territorio che è un mondo al di fuori del mondo dove tutto segue il ciclo della natura, ed è sorprendente quanta serenità diffonda questo ambiente.
Occhi limpidi, portamento signorile il Toni, così si chiama il nostro caro ottantenne, comincia a parlare dei sentieri nascosti che portano al Cornone che i miei occhi e la mia fantasia avevano intuito cercando una conferma che in quel momento avevo ottenuto. La luna sta sorgendo conferendo al momento una atmosfera di intimità particolare.
Mi rendo conto che l’aprire una via su una parete in questi luoghi così solitari non è che un mero e minuscolo tassello di un mosaico che completa un mondo, una storia nella storia, insomma un insieme emozionale che coinvolge la mente tanto da mettere spesso se non sempre in secondo piano gesti e motivi tecnici.
Sono sempre stato convinto delle potenzialità della mente per l’apprendimento che non deve mai venire meno e più che mai in questa occasione e da questo mondo "parallelo" ho potuto imparare tanto. Cerchiamo mondi lontani, destinazioni che riteniamo sperdute senza capire che il mondo vicino a noi ha aspetti sempre nuovi e stimolanti conservando e celando quell’ignoto del quale dobbiamo nutrirci.
Guardo con aria stupefatta questo meraviglioso uomo che mi parla con gli occhi della bellezza del suo vivere, della solitudine che solitudine non è, della soddisfazione per la "partia di ciacoe" (tradotto "del momento di dialogo") che gli abbiamo regalato. O forse Lui ha donato a noi!
Il mondo vicino è qua, su questo ripiano al sole della sera e tutta questa atmosfera mi fa pensare che il "fantasma della mente" ormai è tracciata per suggerirmi che la realtà di una trasformazione ha allontanato, almeno per questo magico momento, il mondo verticale con le sue paure.
Il 18 Febbraio in una fredda giornata folletti e fantasmi ci hanno accolto alla sommità del pilastro con un piccolo dono e questo è il momento finale di una storia che si ripeterà, perché so che si ripeterà!
Non c’e’ due senza tre ovvero il sogno realizzato
Talvolta guardiamo con distacco e supponenza le pareti dal finestrino della macchina, ma solo talvolta perché a forza di passarci sotto si insinuano in noi curiosità e immaginazione. Così è stato per Fausto passando sulla SP47 della Valsugana che è una di quelle percorrenze che destano gli animi degli apritori di vie. E così nei ritagli di tempo come tutti noi abbiamo sempre fatto si cerca un approccio alla parete per dare un occhiata. L’occhiata passa velocemente dalla analisi al desiderio di azione, trasferendo agli amici sensazioni e propositi.
Come ben si sa, aprire una via in Val Brenta e in particolare modo nella zona del Sasso Rosso è una faccenda complessa e lo sa bene il buon Alessio Roverato che ha passato giorni e giorni sulle vertiginose pareti e prima di lui il buon Massarotto, Mauro Moretto, Bepi Lago e diversi altri, ma in realtà non così tanti, proprio per i motivi precedentemente dichiarati; soprattutto come noi ben sapevamo consapevoli delle difficoltà arrampicatorie e logistiche riscontrate al Pubel e al Cornone.
Così è iniziato in primavera il progetto, prima Fausto con Jimmy e il sottoscritto, spettatore alla base perché indisposto. Poi la questione piano piano è andata avanti cercando un accesso alla sommità dall’alto facendo un vero e proprio accerchiamento dei torrioni, prima a sinistra e poi da destra.
Come in tutte le situazioni di nostra intuizione, con molto rispetto abbiamo cominciato a impadronirci del territorio, a scoprire tracce e liste rocciose che ci hanno permesso di arrivare sulla cima di quello che abbiano battezzato alla fine della storia Torre Mirella; il tutto sempre continuando ad attrezzare faticosamente la via a periodi alterni. L’altra torre chiamata contestualmente alla Mirella è stata chiamata Giulia. E qua mi fermo!
Questa strategia ci ha consentito di scendere lungo la parete e ispezionare le criticità rocciose e garantirci una via di fuga. Taluni superficialmente potrebbero pensare che questo tipo di strategia è scorretta ma personalmente ritengo che le decine di ore necessarie, tradotte in mesi di impegno, all’attrezzatura di un itinerario siano la giustificazione più valida; chiodare in Val Brenta è assai impegnativo per la qualità della roccia non sempre eccelsa e le linee di salita mai evidenti. Non trascurando i rischi ai quali si va incontro.
Chi salirà dopo di noi troverà in Il sogno di But Spider un itinerario almeno sicuro, dove potrà certamente divertirsi giungendo su una guglia vertiginosa al cospetto delle pareti del Sasso Rosso.Queste fanno parte di un'altra importante storia!
Le vie nuove sono solo porzioni di momenti personali, non solo miei ma condivisi con i miei compagni di cordata.
di Francesco Leardi C.A.A.I. Orientale