Tutto o niente: la Cresta Cassin al Denali
La sud del Denali è forse una delle più grandi pareti alpine da scalare. C’é la difficoltà tecnica della roccia, il ghiaccio, navigare i crepacci, alta quota, logistiche di spedizione. L’ambiente è quello dell’Alaska, siamo al confine con l’Artico, le temperature possono arrivare a -30° o -40°C. I venti cambiano velocemente, possono alzarsi oltre i 120km/h. L’atmosfera vicino all’Artico è più sottile rispetto all’ Ecuador. Dicono che di conseguenza questo seimila si senta come se fosse un settemila per la mancanza di ossigeno. Personalmente non ho un metro di paragone e non saprei con certezza se è così o meno, è stato il mio primo seimila.
Eravamo in due, io ed il mio socio e amico Michele Colturi, aspirante guida alpina di Bormio. Ci siamo conosciuti arrampicando in Italia anni fa, abbiamo sempre mantenuto l’amicizia negli anni. Erano già più di quattro anni che non ci vedevamo, ma abbiamo avuto belle giornate in montagna in passato e questo mi bastava.
Lui dice che l’Alaska è per sognatori. Ed ha ragione. Forse per questo ho fatto cosi tanta fatica a trovare qualcuno che avesse voglia di passare 20-30 giorni su un ghiacciaio, senza garanzie di successo. Volevamo farlo per l’esperienza e non per l’obiettivo.
Il primo obiettivo era capire come i nostri corpi avrebbero reagito alla quota. Abbiamo iniziato percorrendo la normale West Buttress, e siamo tornati indietro all’imbocco del canalone Messner a 5950 mt. Il temporale era arrivato. C’era poca visibilità, sono caduto in un crepaccio fino all’anca bloccato dallo zaino. Il primo tentativo di sciare il canalone di Reinhold Messner era fallito.
Per partire per la Cassin c’era da aspettare la finestra di bel tempo. Spesso si arriva al campo base con grandi idee, ma dopo qualche giorno la montagna ti fa capire che le regole del gioco sono quelle dell’Alaska ed è facile trovare una scusa per tornare al caldo della valle a prendere pizza e birra. Devi riuscire a mantenere la testa a posto, inizi a chiederti se sei capace di farlo e metti in dubbio le tue capacità. C’è chi usa il whisky o giocare a carte, la musica o leggere. Si può anche caminare in giro tra le stradine della piccola cittadella di camp 4, formata da 150 tende provenienti da diversi paesi.
La via Cassin non è particolarmente difficile dal punto di vista tecnico, si scalano diverse sezioni di misto verticale fino al 5.8 e WI4. La vera difficoltà è prendere la decisione di partire ancora dopo aver percorso la via normale.
Non abbiamo avuto il tempo di pensarci troppo, la finestra è arrivata subito, senza avere giorni di riposo, nella mia testa pensavo cosa ci volesse per scalare la parete Sud. Si innalza da 3220mt a 6190mt, sono quasi 3.000mt di verticale dall’attacco alla vetta. I primi 300 metri sono un couloir di ghiaccio da dove si può ancora scendere, dopo di che si segue un’arista di neve inconsistente da dove non si può più tornare in dietro. La vera difficoltà è psicologica. Una volta che inizi devi finire, sperando che il bel tempo ti accompagni. Vai sempre più in alto e sei sempre più esposto, dove una tempesta può diventare un problema.
Il meteo a lungo termine non è affidabile, serve avere una finestra di bel tempo di tre giorni. Il meteo report che ascoltavamo alla radio diceva “40-50 % chance of snow”. Neve che da giorni doveva arrivare e non arrivava. Non volevamo perdere l’opportunità.
La meteorologia ha i suoi limiti, la certezza che vorresti comprare non è più disponibile. All'improvviso diventa tutto più istintivo. Ho sentito storie di orrore, di gente spazzata via dalle creste dal vento con le loro tende e mai più trovati. Pensavo ai Giapponesi Giri Giri Boys sulla Cassin, pensavo a Sue Nott e Karen McNeil sull’Infinite Spur, pensavo ai rangers che dicevano che non vedevano un anno così imprevedibile dal 2001. Ormai sapevo troppo e volevo dimenticare.
Sono riuscito a non farmi influenzare dalle paure. Abbiamo fatto lo zaino in due ore, abbiamo mangiato bevuto ed eravamo pronti per partire alle 6 di sera di lunedì 27 maggio. Abbiamo fatto la Seattle ramp, scendendo con altri due team che volevano scalare la Cassin. La strategia di essere in sei era buona, nel caso si dovesse tirare fuori qualcuno da un crepaccio, ma difficile per prendere decisioni. Ci siamo fatti influenzare dagli altri e così abbiamo perso quattro ore di riposo. Il giorno dopo alle 9 del mattino siamo partiti. Un team ha deciso di non partire, uno dei ragazzi aveva una brutta tosse, lui diceva di avere un edema polmonare. Pensavo venisse mentre si sale e non mentre si scende.
Una volta iniziata la via non c’era più niente. Ci siamo rilassati e goduti la scalata. E’ stato un viaggio interiore tra torri di granito rosso e ghiaccio. Ci siamo trovati da soli in uno dei posti più lontani e selvaggi in cui sia mai stato. Le montagne sono di forme pure, spiccano timide tra le nuvole, i colori erano dal fuoco rosso al blu al viola, senza mai buio. Sentivo che la bellezza può ingannare e nascondere il vero temperamento del Denali. Sei da solo tra gli dei. Non lo sapevo ancora ma questo è uno dei perché continuo a scalare.
Il primo giorno abbiamo arrampicato con bel tempo fino al Hanging Glacier a 4260m. Il giorno successivo abbiamo scalato fino a superare la seconda banda rocciosa a 5060m dove finiscono le difficoltà tecniche.
Il terzo giorno mancavano ancora mille metri da fare, siamo partiti alle sei del mattino. Sono stati i più impegnativi di tutta la salita. La quota ci ha colpito a turni mentre cercavamo di correre il più veloce possibile. Il terreno non era tecnicamente difficile, e la neve ci consentiva di progredire senza problemi. Poi il vento ha iniziato a tirare, le nuvole erano spesse e sempre più vicine, non si vedeva più niente, dovevamo seguire la cresta fino ad arrivare su. Era difficile perdersi, avevamo già fatto la discesa con la bufera la settimana prima, e ci sentivamo capaci di trovare la strada del ritorno. Il 30 maggio alle 5 del pomeriggio abbiamo fatto vetta e cominciato a scendere.
È stato emozionante, è stato un omaggio a questi otto anni di arrampicata e a tutti i miei compagni di corda. Sarebbe stato bello fermarsi e goderci la vetta, ma volevamo essere già lontani da un posto che non era più tanto timido e naive, ma che ci faceva vedere un’altra faccia. Volevo essere già di ritorno alla terra dei vivi.
Dopo aver scalato la Cassin siamo rimasti a camp 4200m ad aspettare che passasse la tempesta. Volevamo fare ancora vetta e scendere con gli sci dal Canalone Messner, ma ha nevicato per tre giorni, abbiamo passato sei giorni ad aspettare un miglioramento delle condizioni di valanghe.
Ha nevicato più di quanto era previsto, ne abbiamo avuto abbastanza, ci siamo sentiti fortunati ad aver realizzato parte dei nostri obiettivi nel nostro primo viaggio sull’Alaska Range. Mi sentivo stupido a dover ancora forzare la nostra fortuna, siamo stati bravi e non ci siamo fatti influenzare dall’ambizione. Meglio finire in bellezza. Così abbiamo deciso di prendere l’aereo per uscire dal ghiacciaio verso Talkeetna.
Tornare è stata una vera festa. Le piccole cose di tutti giorni che la normalità finisce per corrodere sono tornate ad essere importanti. Dormire su un letto, camminare scalzo fuori dal mio camper, sdraiarsi sull’erba. Spero non dover più imparare la vita a cazzotti.
di Hector Silva Peralta
Link: FB Hector Silva Peralta, IG Hector Silva Peralta
CRESTA CASSIN, DENALI
Salita per la prima volta dal 6 - 19 luglio 1961 da una spedizione dei Ragni di Lecco composta da Riccardo Cassin, Luigino Airoldi, Gigi Alippi, Jack Canali, Romano Perego e Annibale Zucchi, questa elegante e difficile linea è una delle più famose ed ambite vie del mondo. Dopo la salita, Cassin ha ricevuto un telegramma di congratulazione dell'allora presidente degli Stati Uniti John Kennedy. La via affronta difficoltà di Alaska Grade 5, 65°, 5.8 AI4, è alta circa 3000m e solitamente viene salita in 3 - 7 giorni.