Superpanza a Finale, la prima salita ricordata da Alessandro Grillo
Impossibile non notare quell’enorme pancione roccioso, quando da Feglino si scende verso il mare.
Quel Polifemo di pietra ti guarda con un occhio impertinente, in alto sulla sinistra. Effettivamente un po’ mal posto, ma pure i ciclopi strabici possono non essere perfetti. Certo è una bella sfiga, nascere di pietra, con un occhio solo e pure strabico. Comunque lo nominammo "Superpanza". Ora che c’era il nome, dovevano esserci anche i primi scalatori.
Il "Guru Calcagnida", alias Gianni Calcagno, aveva pure lui preso di mira lo strapiombone. E questo era il pericolo più grave. Velocissimi e senza nulla dire, io e Torio andammo a dare un’occhiata.
Solita lotta con la vegetazione spinosissima e arrivammo sulla destra di un pilastro che formava diedro con la parete.
Superato il passaggio, ci fermammo su di un piccolo pianerottolo proprio sotto la grande pancia. Fuori chiodi e staffe e iniziammo la danza: artificiale a go go. Il mio compagno si alzò per una ventina di metri, poi, esausto, scese. Lasciammo il materiale sul posto e ritornammo a valle. Passarono le domeniche. Il mio compagno aveva impegni con il lavoro di cava e con la famiglia.
Calcagninda, pressante, mi chiedeva se ci eravamo decisi a fare la via, poiché altrimenti... ci avrebbe pensato lui. Quasi alla disperazione, senza compagni di cordata affidabili, avevo interpellato qualche arrampicatore, ma con scarsi risultati. Arrampicare a Finale, a quei tempi, incuteva timore, figuriamoci poi per aprire una via in strapiombo e di più tiri.
Per fortuna accettò l’invito un amico di Novi, Giancarlo Croci. Una ventosissima domenica di marzo del ’75 ci vide lottare tutto il giorno sui tre tiri finali. Artificiale sino all’uscita del pancione, una bella placca a buchi più semplice del previsto e un ostico diedrino finale completarono l’opera. In quel momento ne fui fiero.
Ricordo la discesa, davvero problematica per le corde corte e per il terribile vento. Dovemmo appendere la ferraglia alle funi per non vederle svolazzare orizzontalmente.
Ma quella prima salita, dopo l’esaltazione iniziale, mi portò dei dispiaceri: da una parte Torio s’incavolò moltissimo perché non lo avevo atteso e lo avevo tradito con uno "straniero", dall’altra arrivarono le critiche di Calcagninda che, durante la prima ripetizione, estrasse un pò di chiodi che ritenne superflui.
Effettivamente lasciammo dei chiodi in eccesso, soprattutto per fare presto a causa di quel vento che ci stordiva. Veniva da pieno sud, umido e freddo. Cosa strana per quei posti, in genere battuti dalla tramontana. Se un chiodo non era "buono", non lo estraevo, ma cercavo di metterne uno migliore accanto. Era materiale artigianale, fatto proprio nell’officina di Giancarlo, e lui non si pose minimamente il problema di recuperarne l’eccesso.
Accuse di tradimento e vigliaccheria, per l’eccessivo abuso di mezzi artificiali, mi piombarono addosso in un istante. Il morale finì sotto i piedi, o meglio sotto le Adidas. I sensi di colpa cominciarono a turbare le mie notti.
Sognavo di essere appeso a orridi strapiombi, con il vento che mi sbatacchiava a destra e manca, mentre Torio, dal basso, mi strattonava con la corda urlandomi: "Ingrato" e Calcagninda, appollaiato su di uno spuntone, ghignava mefistofelico.
Quanto casino, per aver voluto aprire una via a tutti i costi. Dovevo riscattarmi al più presto. Fortunatamente l’occasione si presentò sulla vicina parete del Pianarella.
Il testo è tratto dal libro Racconti in verticale, Le mani edizioni (2013)
SCHEDA: Via Superpanza, Finale Ligure