Ricordando Patrick Berhault. L'intervista ad Alessandro Grillo

Intervista ad Alessandro Grillo di Maurizio Oviglia per ricordare il fuoriclasse alpinista ed arrampicatore francese Patrick Berhault, scomparso il 28/04/2004. Segue la prima intervista a Giovanni Massari.
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Patrick Berhault volteggiando su Coralie al Monte Cucco, Finale Ligure
archivio Alessandro Grillo

Dopo Giovannino Massari, ricordare Patrick Berhault spetta di diritto ad uno dei suoi più grandi amici, Alessandro Grillo. Con lui ho cercato di tracciare un profilo umano di questo personaggio, al di là delle sue imprese. Perdonate se qualche aneddoto che racconta Alessandro è un po’ lungo d leggere, ma vale la pena, e son cose raccontate con il cuore! (Maurizio Oviglia).


Ciao Alessandro ci puoi raccontare come è nata la tua amicizia con Patrick Berhault?

Penso che nella vita nulla avvenga a caso, e pure quando incontri una persona ti rendi subito conto quando c’è qualche cosa che ti coinvolge, che ti dà l’idea di essere di fronte ad alcunché di familiare, amichevole. Ma il più delle volte, tutto rimane nella formalità, nel banale.

Negli anni ’70, dalla Rivista della Montagna, con la quale collaboravo, mi arrivò una richiesta di fare un’intervista ad un arrampicatore francese, tal Patrick Berhault. Si diceva fosse molto bravo e che facesse cose fantastiche assieme ad un altro tal Patrick.

In quel tempo abitava con la mamma a Nizza. Telefonai e presi un appuntamento. Mi venne incontro un ragazzo mingherlino, ciabatte, pantaloncini e canottiera, con un sorriso accattivante. Cappelli lunghi, lineamenti gentili. Per un po’ si parlò delle solite cose, allenamenti, gradi, le più belle e difficili salite, ma via via il discorso scivolò sul personale, sugli aspetti della vita, sulla sua irrefrenabile passione per i monti e per l’arrampicata.

Con quel suo modo pacato e sorridente mi raccontò episodi della sua giovane esistenza che lo avevano provato. La fuga dal servizio militare, che non riusciva a sopportare, le conseguenze. I rapporti con la famiglia, la vicinanza della madre.

Mi raccontò di una spaventosa caduta da un canalone (sul Pelvoux nel 1978, ndr) per ben 800 mt. Le conseguenze furono terribili, rottura del bacino, di una gamba, distacco di un polmone, ferite ovunque, denti rotti. Il compagno drammaticamente colpito non riusciva più a muoversi. Ma la sua forza, la sua determinazione lo fecero strisciare per ore sino al rifugio. Si salvò e salvò il compagno che i soccorritori trovarono in ipotermia, quasi sepolto nel ghiaccio.

Ricordo che, quasi sorridendo, mi disse: "Sai i canaloni di ghiaccio è meglio attaccarli al mattino presto, non alle 11." Era velocissimo e così il suo compagno, ma il sole, quel giorno, arrivò per primo sul cornicione di vetta. Dopo qualche mese si stava nuovamente allenando. Il compagno smise di andare in montagna.

Molti ricordano Patrick come una persona molto umana e sensibile. Che importanza avevano l’amicizia e la condivisione nella sua vita?
Era una persona dolce, educata, di buonissime maniere. E anche se non un adone, per i suoi modi gentili, piaceva moltissimo alle ragazze. Si, sensibile ai fatti della vita lo era, ma sempre immerso nel suo mondo fatto di visioni, di progetti.

L’amicizia era amicizia nobile e come disse un tale, detto Anonimo, la vera amicizia non consiste nell’essere inseparabili, ma di essere in grado di separarsi senza che nulla cambi. E così ogni tanto veniva a trovarmi in quel di Feglino, al punto che una camera della mia casa si chiamò la camera di Patrick, e tutt’ora si chiama così.

Patrick condivideva la vita con una gentile e minuta ragazza, riservata e dolcissima, si chiama Cristianne. Ebbe due figlie, Coralie, che è la mia figlioccia e Flore. Ad un certo momento della sua vita, si trasferì in un paesino al centro della Francia. Piatto come il palmo di una mano. Non un roccione degno di tal nome nel raggio di 100 km. Voleva fare il contadino. Ma il richiamo della montagna era troppo forte, d'altronde era Guida Alpina e Professore dell’Ensa. Ritornò a Chamonix e la sua vita cambiò.

Si raccontano varie storie di Patrick a Finale Ligure. In particolare quella del tetto di Coralie. Ci puoi raccontare come andò quella volta?
Già, il tetto di Coralie. Coralie, come ho detto, è il nome della sua prima figliola. Facemmo un battesimo intimo ma in grande stile, in una chiesetta a Montecarlo, con pranzo in riva al mare. Fu un giorno bellissimo. Ma bisognava fare qualcosa di più.

Era la metà degli anni ’80 e il finalese , arrampicatoriamente parlando, stava esplodendo. Era conosciuto ma non ancora conosciutissimo. Mi venne in mente di fare qualcosa di eclatante, mai fatto prima di allora.. una clamorosa arrampicata in notturna. Ne parlai con Patrick che ovviamente si dichiarò entusiasta.

Avevo individuato un posto magico, un grande tetto orizzontale a 70 mt da terra, sulla parte destra di Monte Cucco, in una zona conosciuta come l’anfiteatro. Con Nicola Ivaldo attrezzammo la via con chiodi normali e realizzammo un’ottima sosta all’uscita dello strapiombo. Ora si trattava di preparare tutto il resto. Convinsi un amico, direttore in Rai, a mandare una troupe per fare la ripresa televisiva. Dopo domande e contro domande arrivò l’ok. Invitammo ovviamente le autorità regionali a presenziare, ma costoro preferirono fermarsi a mangiar pesce, ovviamente gratis, in un ristorante di Finale. Reperimmo, sempre a nostre spese, un proiettore potente che potesse illuminare la parete e lo trovammo a… Piacenza. Un gruppo di amici partì nel pomeriggio della sera della manifestazione.

Un gruppo di feglinesi, Gianni Bonora in testa, si incaricò assieme a me e a Simonetti di disboscare il terreno sotto la parete, che era di proprietà privata. Al padrone ovviamente non dicemmo nulla, poiché era un anziano contadino che non vedeva di buon occhio arrampicata ed arrampicatori e che sicuramente ci avrebbe negato il permesso.

Per farla breve sotto la parete arrivarono circa 1500 persone. Guido Grappiolo alle luci, Patrick e Nico Ivaldo attori dell’impresa. Operatori Rai appesi alla parete. Io presentavo l’evento con tanto di microfono e la tiravo per le lunghe in attesa del trionfale arrivo dell’assessore, che però non arrivò. Ben presto la gente si stufò delle mie scempiaggini, iniziò a fischiare ed a urlare. Patrick si era spazientito, Nico voleva abbandonare la scena. Precipitosamente diedi il via alle operazioni e Patrick iniziò a danzare nel cuore della notte avvolto da un cerchio di luce cangiante.

Il superamento del tetto fu un fatto di estetica arrampicatoria mai visto. La "dance escalade" di Berhault lasciò tutti a bocca aperta, tra applausi e uuuuuhhh di stupore. Gli scalatori discesero osannati con una spettacolare calata nel vuoto di 70 mt. Un successone mai visto. A me manco una pacca sulle spalle.

Due giorni dopo, in compenso, fui convocato con Simonetti negli uffici della Forestale con una caterva di accuse a non finire, che andavano dalla violazione di proprietà privata, al taglio non autorizzato e fuori stagione di alberi. La galera era garantita. Fortunatamente il tutto finì con una multa salata, il taglio e la raccolta di legna per il proprietario ed il mio allontanamento per almeno un paio di anni da monte Cucco. Ma per quell’evento valse la pena e Coralie rimase giustamente immortalata in quel tetto.

E il Corno Stella?
Il giardino segreto di Patrick, ma non tanto. Dai, lasciami raccontare della via che ho aperto sul suo giardino in suo ricordo. Un giorno di settembre del 1998, mi trovavo con Patrick sul Corno Stella per un particolare servizio fotografico. Avevamo portato dei vestiti d’epoca e un paio di scarponi chiodati. Da sopra il "mauvais pas" cominciai a fotografare Patrick che saliva slegato e in costume dell’ottocento e con scarponi chiodati: il leggendario passaggio che nel 1903 permise a Jean Plent, con Andrea Ghigo, di condurre Victor de Cessole sull’inviolata vetta del Corno Stella, sino allora dichiarato “ inaccessibles”. De Cessole dirà poi: "non mi ricordo di avere mai affrontato sulle Alpi un passaggio così scabroso, la denominazione di "mauvais pas" gli può essere tranquillamente attribuito. Jean Plent è stato incredibilmente coraggioso e abile, oserei dire audace".

La sera era splendida, la luce magica. Guardando in alto avevamo individuato un bell’itinerario e ne volevamo memorizzare il logico susseguirsi dei passaggi. Una decina di metri a sinistra, rispetto ai diedri della via “Avenida”, salivano delle rocce scure lavoratissime. Seguiva poi una bella placca, che terminava sotto uno strapiombo a sinistra di un piccolo diedro. Sopra, rocce lisce portavano alla base della grande placca grigia, un netto triangolo che si allargava nella parete a forma di cuore. Con due lunghezze si sarebbe arrivati alla famosa e curiosa vena di quarzo che attraversa, ascendente da destra a sinistra, tutta la parete sud e sud ovest del Corno.

Il giorno volgeva al termine, le rocce assumevano ora un caldo color rosso bruno e la vena di quarzo brillava per il suo candore. Patrick sognava: "sarebbe bello fare una via seguendo integralmente la vena".   Sopra vi sono dei grandi tetti scuri e l’Amico, amante di questo tipo di strutture mi disse "di lì andiamo su diritti" e scherzando, vista la mia espressione perplessa, con il motivetto che aveva caratterizzato tante nostre vie, aggiunse "Qual’è il problema, tu chioda che poi io fa!" E giù una sonora risata. Il Corno Stella, soprattutto la sua splendida parete sud, è percorso da numerosissimi itinerari, ma molte vie oramai esistono solo sulla carta. In posto attrezzatura scarsa e vecchia, descrizioni sommarie. Per chi ama l’avventura, questo è il terreno ideale.

In un certo senso è un peccato, poiché l’ambiente, la qualità della roccia, la posizione isolata, ne fanno una montagna particolarissima e degna di essere salita. Nel suo articolo sul Corno Patrick scrive "Au cœur du massif sauvage de l’Argentera, se dresse un sommet semblable à une immense lame de couteau et affublé d’un nom poétique: le Corno Stella, le Corne de l’Etoile".

Passò l’inverno, a giugno Patrick mi telefonò per informarmi che aveva realizzato il suo primo sogno. Durante uno stage di aspiranti Guide dell’ENSA, di cui era professore, nel giugno ’99 era nata la Via Lattea. Ora dovevamo realizzare il nostro percorso, dentro il "cuore" del Corno. Passò qualche anno, Patrick era impegnato con la sua professione di Guida d’alta montagna, il lavoro all’ENSA, le conferenze, i suoi progetti. Io ero sempre più preso e stressato dai miei impegni professionali.

C’incontrammo ancora a Finale, a casa mia, e naturalmente si parlò anche del Corno, il suo giardino segreto, e della nostra via. Ci sentimmo per gli auguri di Natale 2003, aveva ancora un progetto da realizzare. Li conoscevo e li odiavo questi suoi progetti. Ricordo che gli dissi: "Patrick ora basta con questa roba, andiamo in Sardegna, sul calcare più bello del Mondo, al caldo e poi….c’è ancora la nostra via sul Corno."   Mi rispose: "…sì… sì… finisco questo progetto, sai mi motiva moltissimo, poi… Sardegna e Corno…un grande abbraccio a tutti, buon Natale ….. buon Anno".

Una sera di aprile suonò il telefono, una voce amica, rotta dall’emozione, pronunciò in fretta tre parole che non avrei mai voluto sentire: "Patrick è caduto." Rimasi pietrificato, incredulo, svuotato. Non poteva, non doveva essere vero, il mio Amico, il mio Fratello, non c’era più. Non ci sarebbe stato più il suo sorriso, la sua dolcezza, la sua modestia, la sua passione. Non mi era mai importato troppo della sua eccelsa capacità alpinistica, delle sue imprese, dei suoi progetti. L’abisso di tristezza e dolore che si era improvvisamente aperto sotto i piedi di Cristiane, Coralie, la mia figlioccia, Flore, dei suoi Genitori, di tutti i suoi amici e di tutti coloro che l’avevano conosciuto, era incolmabile, incomprensibile. Dolore vero, di quello che ti prende allo stomaco, che ti svuota la testa, che ti fa odiare monti, pareti, vie, alpinisti, climber. Ma il tempo passa inesorabile , non cancella ma lenisce la “maledetta passione” che piano, piano ritorna.

Estate 2006, sono quasi "vecchio", pieno di acciacchi, ma tant’è mi alleno, cammino, arrampico, metto a punto un programma di preparazione per over... 60! A luglio la decisione: la via sul Corno deve essere realizzata. Chiamo Nando Dotti, detto "Grande Mago". Ha tecnica, tenacia e un buon fisico, anche se provato dalla montagna. Una parte di un suo piede è rimasta sul Monte Bianco durante una tempesta. Anche per lui i tendini danno segni di usura, ma la testa è di quelle giuste. In Sardegna ci siamo divertiti, ma sul Corno sarà diverso.

Zaini pesantissimi, pietraie interminabili… fatica, roba da giovani. Espongo il mio sogno a Nando, che peraltro conosceva Patrick solo di fama e per via dei miei racconti. Senza preamboli mi dice: "Quando si va?!" A fine luglio iniziammo la via, il 22 settembre tornammo per ripulire il tratto finale da lame instabili ed attrezzare la discesa.

Non è stata una grande impresa, è stato solo un atto di riconoscenza a chi ci ha dato tanto nella vita. Abbiamo lasciato lassù il giardino segreto di Patrick, ma con qualcosa di nuovo, la realizzazione di un sogno pietrificato. Ciao Spirito Libero, forse tornerò ancora, ma gli anni avanzano e il Corno è lassù, sempre più in alto, inaccessibile. Ora la mia vita è più ricca e più serena. Spero di avere onorato l’Amico in modo degno e di aver garantito, a chi vorrà percorrere questo itinerario, attimi di vera felicità alpina.

Uno degli aspetti ancora poco chiari e più chiacchierati fu il rapporto tra i due Patrick, tra lui ed Edlinger. E’ vero che la competizione tra di loro fu in realtà tutta una montatura della stampa e che in realtà erano molto amici?
Ma nooo, erano amicissimi. La notorietà e gli sponsor divisero le loro strade, ma dopo tanti anni di distacco, la Grande Traversata delle Alpi la iniziarono assieme. E poi ricordi ciò che disse quel tal Anonimo sulla vera amicizia?

Il famoso "Manifesto dei 19" contro le gare di arrampicata, a cui Patrick rimase sempre fedele, non ritrattando mai come altri firmatari. Cosa temeva Patrick dalle gare di arrampicata?
Credimi, Patrick lo conoscevo intimamente come pochi altri, centinaia di arrampicate assieme, così come le lunghe notti all’Alpamajo, all’Aconcagua. Della competizione non gliene fregava un bel niente!

Ci puoi ricordare il Patrick degli ultimi anni, quello alpinista, oltre che professionista della montagna?
Un periodo non troppo sereno.

Oggi Patrick avrebbe 63 anni. Cosa farebbe, secondo te, se solo quella cornice non avesse ceduto?
Io credo che continuerebbe a portarmi ad arrampicare.


Alessandro Grillo, classe 1940, è considerato uno dei pionieri di Finale Ligure. Una sua biografia è consultabile a questo link: www.vielunghefinale.com/alessandro-grillo




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