Soldato Blu in Val Salarno

Il racconto e la relazione della via di arrampicata Soldato Blu, aperta sul Cornetto di Salarno in Val Salarno (gruppo dell’Adamello) nel 1985 da Guido Bonvicini e Sandro Zizioli. Una via d’arrampicata storica e piuttosto temuta nel Bresciano, ripetuta di recente da Gianluca Forti e Sandro De Toni e Giovanni Mostarda che forniscono le informazioni aggiornate.
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Cornetto di Salarno in Val Salarno (Adamello)
archivio Gianluca Forti

"Via di grande impegno e sviluppo, attrezzata con 9 spit e 11 chiodi. (…) Conta pochissime ripetizioni. Chiodatura minima anche per le soste, grossi ciuffi d’erba nei primi tiri, decisamente pericolosi."

Così recitava la mia prima guida di arrampicata, a proposito della via Soldato Blu in Val Salarno, grandiosa valle camuna. Questa via è sempre stata nei miei sogni: conosco bene uno dei due apritori, Guido Bonvicini,mentre purtroppo non ho mai conosciuto Sandro Zizioli, uno storico e fortissimo alpinista bresciano.

Non mi è mai interessato il grado; mi interessano le storie che le vie hanno. E Soldato Blu ha una storia curiosa. In 33 anni dall’apertura della via mai nessuno ha stilato una relazione chiara, dettagliata, che togliesse ogni dubbio e magari levasse anche quel velo di terrore che ricopriva questo Soldato, ormai abbandonato a sé stesso. Così il 28 agosto, io e i miei compagni decidiamo che è il giorno. Il meteo preannuncia una giornata indimenticabile, e così sarà.

I miei compagni sono Giovanni Mostarda e Sandro De Toni; il primo si è unito a noi perché, con il consenso degli apritori, ha deciso di sistemare qualche sosta e di richiodare gli ultimi tiri, dove sono presenti ancora gli spit originali dell’apertura. Quanto a Sandro, l'ho conosciuto un anno e mezzo fa. Conoscevo il suo percorso alpinistico e l’avevo cercato proprio per ripetere questa via, visto che nessuno aveva intenzione di accompagnarmi.

Per me Sandro è sempre stato un mito. Seguivo il suo blog (chi non ha mai preso una relazione dal suo sito?) e sognavo di poter scalare con lui. Col tempo e con le vie (quasi tutte selvagge e dure, visto che lui le ha ripetute tutte; e gli rimangono solo i "bastoni"), la nostra cordata si è rafforzata; e il nostro rapporto è diventato un rapporto di amicizia.

Quanto al 28 agosto, partiamo dall’auto alle 5 di mattina. Io, col mio passo da skyrunner tiro i miei soci, e in due ore e venticinque siamo al cospetto della parete. La parete è meravigliosa: un oceano di granito ci sovrasta. Inizio a sentire l’adrenalina che mi scorre nelle vene. Quando parto, non riesco a credere che stia succedendo realmente, e mi emoziono.

Abbiamo deciso che io farò i primi 8 tiri; Sandro farà gli altri. Tiro dopo tiro, prendo sempre più confidenza e mi diverto tanto da trovarla facile. Quando arrivo a S6, vedo sopra di me una placca rossa stupenda. Non vedo l’ora di partire, anche se so che è uno dei tre tiri chiave e che non è particolarmente chiodato. Sandro mi garantisce un chiodo nella fessura prima della lontana sosta; ma il chiodo non c’è. Impreco a Sandro, strizzo i glutei, run out al cardiopalma e sono in sosta.

La mia avventura da capocordata si interrompe un tiro dopo, quando cedo il testimone a Sandro e mi carico sulle spalle il "bambino" di 6 chili dove abbiamo il trapano e tutto il necessario per la riattrezzatura. I due traversi sopra sono veramente duri, ma Sandro - a suo dire molto più lento di una volta - passa. Io faccio una fatica disumana a spalmare i piedi in placca con quello zaino che mi tira sempre più giù, e in qualche modo arrivo in sosta e capisco che il mio sogno si è realizzato. Ho ripetuto Soldato Blu.

Quando cominciamo la discesa, vedo i miei compagni preoccupati. Sono le 18:30: dobbiamo fare più di 10 doppie in tre e faremo buio in parete. Invece io sono in pace con me stesso. Rido e continuo a guardarmi attorno, come se volessi gustarmi ogni secondo di quei momenti, come se non volessi abbandonare quel posto. Mamma e figlio stambecchi controllano all’orizzonte le nostre calate e mi tengono compagnia.

Ora sono stanco anche io. Mi mancano mia moglie e mia figlia. Ho voglia di chiamarle e dire loro che sì, sono riuscito nel mio piccolo sogno. Quando appoggio i piedi per terra mi sono quasi dimenticato di come si cammina e per i primi metri ciondolo con lo zaino pesante sulle già stanche spalle. Arrivati al Prudenzini, vado dritto al telefono. Chiamo mia moglie Laura e con le lacrime le dico che sto bene, che ce l’ho fatta e che, anche se sono stanco, tornerò a casa a dormire per stare con lei.

Dal rifugio a Fabrezza parliamo poco: abbiamo tutti voglia di tornare all’auto, di mollare gli zaini e di sederci. All’auto dico a Sandro, che ha più memoria del sottoscritto, che sarebbe bello relazionare questa via una volta per tutte. In fondo, se ho ripetuto io Soldato Blu, io con i miei impegni di famiglia e di lavoro, anche molti altri la possono salire.

Poi però penso alla società dove viviamo, che prevede che tutto sia sicuro, accessibile, facile per chiunque… E ripercorro l’avvicinamento, il dislivello, le ore in parete, le infinite doppie, il poco cibo e la poca acqua, il successivo rientro, e la fatica fatta. Come dice Sandro la via è una scammellata. E, no, le scammellate non sono per tutti. L'itinerario è lungo; e tutto il contorno non lo rende di certo una passeggiata.

Spero, però, con questa relazione, di contribuire a far rivivere a quel grande Soldato i suoi giorni di gloria. E spero con queste parole di aver alimentato anche in altri la scintilla di quegli alpinisti che inseguono un sogno nonostante una vita normale piena di difficoltà, di sconfitte, di lotte inutili… ma che a volte ti regala giornate come questa.

di Gianluca Forti

SCHEDA: Soldato Blu in Val Salarno




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