La grande Trilogia del Masino per Luca Schiera e Paolo Marazzi
Un’idea nata nove anni fa poi rimasta per molto tempo in testa come una cosa troppo lontana dalla realtà per essere concretizzata. Non sapevo se sarebbe stato possibile passare da una parete all’altra e non conoscevo sistemi per arrampicare in velocità, fra l’altro non avevo nemmeno ripetuto tutte e tre le vie.
Il motivo della scelta è semplice, e chi conosce la zona non ha dubbi: sono sulle pareti più simboliche per l’arrampicata in alta val Masino e sono diventate le tre classiche difficili per eccellenza. Sono state aperte da Tarcisio e Ottavio Fazzini, Sabina Gianola e Norberto Riva, fra il 1988 e 1989, poco prima della nascita sia mia che di Paolino.
Elettroshock è stata l’ultima, poco prima della morte di Tarcisio, è una via fisica e diretta che collega lunghe lame e fessure fino alla cuspide del Picco Luigi Amedeo, in val Torrone, una fra le prime usando il trapano in Masino.
La Spada è stata la prima a raggiungere la Foglia del Qualido, una lastra di roccia alta sessanta metri appoggiata alla parete verticale ben visile anche dal fondovalle, la parte alta sale su placche ripide con difficoltà crescenti, è sicuramente la più ripetuta delle tre, forse solo per l’avvicinamento più breve perché non ha nulla di più facile.
Delta Minox si trova sul pilastro dello Scingino, mille metri sopra i Bagni di Masino, in una zona più isolata. Gli unici frequentatori della zona dopo l’abbandono degli alpeggi sono le rare cordate che salgono per ripeterla. La roccia è la migliore che si può trovare nel Masino, ripida ma lavorata, un capolavoro di bellezza e di coraggio nell’apertura.
Tutte e tre le vie sono conosciute per la linea diretta ma logica su pareti compatte e per alcuni difficili runout con probabile infortunio, fino al 7a in aderenza, per questo ancora oggi a distanza di trenta anni sono ancora un po’ temute.
A parte nei tratti in fessura, è un tipo di scalata che "sente" il tuo stato d’animo, se sei tranquillo e scali senza preoccuparti di cadere non ci saranno problemi, gli appoggi ci sono sempre anche se non sempre evidenti, se sei teso cerchi inutilmente di stringere gli appigli provando a correggere l’equilibrio probabilmente sbaglierai.
L’anno scorso ho deciso finalmente che avrei dovuto provarci davvero, avevo davanti una intera estate senza viaggi e mi ci sarei potuto dedicare, non avevo mai trovato uno o più soci ma quando ho parlato a Michi del progetto era rimasto subito entusiasta, salvo poi rinunciare per altri impegni.
Serviva una persona di cui ti puoi fidare per arrampicare in conserva su difficoltà sostenute e che sappia muoversi bene su questi terreni. A quel punto con mia grande gioia Paolino Marazzi si è fatto avanti e ho subito colto l’occasione, sapevo che avrebbe avuto la resistenza necessaria per arrivare in fondo e inoltre conosce bene il tipo di arrampicata richiesto.
Per prima cosa avevamo cercato se veramente sarebbe stato possibile passare dalla cima del Qualido alla base dello Scingino. Abbiamo quindi salito La Spada, aggiunto un tiro in traverso per arrivare in cima e scesi in val Livincina, da qui per un passo e prati ripidi fino in val del Ferro e poi ci siamo diretti sotto al Cavalcorto, era sera e non vedevamo grandi possibilità di riuscita, quindi eravamo scesi dal canale.
Altro tentativo dal lato opposto cercando un passaggio, il meglio che avevamo trovato era stato il camino che separa le due cime della montagna, fissando un cordino sul tiro finale il resto da salire slegati.
A questo punto, sapevamo che tutta l’idea era fattibile, almeno in linea teorica, non immaginavamo che ci sarebbe voluto così tanto solo per questo trasferimento (cinque ore a passo sostenuto, senza sentiero). Dopo avere salito anche Elettroshock eravamo pronti per il tentativo.
Purtroppo durante l’estate 2018 aveva piovuto quasi ogni giorno, ce ne serviva almeno uno e mezzo pieno senza rischio temporali, i giorni passavano senza avere buone occasioni fino a settembre. Eravamo decisi a provare ma vista la stagione inoltrata avevamo deciso di fermarci qualche ora in val Qualido a riposare e poi ripartire nella notte.
Tutto procedeva bene, salito il Picco nel pomeriggio, all’alba successiva la cima del Qualido ancora freschi poi il lungo traverso verso il Cavalcorto e quindi arrivati allo Scingino nel primo pomeriggio. Al quinto tiro, quasi a metà via e ormai verso la fine del giro Paolino ha iniziato ad avere le allucinazioni, non ci sembrava il caso di continuare e avevamo deciso di scendere. Eravamo comunque soddisfatti per lo sforzo fatto, mancava poco ma per quell’anno la stagione era finita, prima di rifare un nuovo tentativo sarebbero dovuti passare molti giorni ed era già troppo tardi.
2019 ripartiamo appena possibile, è caduta molta neve a maggio ma appena possibile facciamo un giro su Delta Minox per ripassare i movimenti e capire come salirla il più velocemente possibile tenendoci un buon margine di sicurezza.
Facciamo un giro di allenamento su Qualido e Scingino in giornata e troviamo un nuovo passaggio attraverso il Cavalcorto leggermente più semplice, quindi siamo pronti.
Sono circa una trentina di chilometri a piedi, 12 ore di cui sette senza sentiero su roccette e prati pieni di buche spaccaginocchia, con 3500 metri di dislivello positivo e 1200m di scalata costantemente impegnativa psicologicamente.
Dovremmo essere il più veloci ed efficienti possibile nella prima parte, arrivare ancora perfettamente freschi fino in val del Ferro e motivati sull’ultima via dopo una notte senza dormire.
Conosco a memoria ogni singolo appiglio e appoggio di questi 37 tiri, posso rifare le vie mentalmente passaggio per passaggio, ho solo paura per un paio di tiri in cui rischio seriamente di farmi male in caso di errore.
Ho scalato varie volte giorno e notte consecutivamente ma questa volta è tutto diverso, la difficoltà del giro è che c’è molta distanza a piedi da fare e anche molta arrampicata psicologica con poco margine di errore, su alcune cenge bisogna stare attenti anche camminando.
La domanda che continuavamo a farci era in che stato saremmo arrivati sotto l’ultima via dopo una notte intera senza sonno in continuo movimento. Sapevamo che verso la fine avremmo avuto molti momenti di alti e bassi, ci saremmo supportati a vicenda e finché almeno uno dei due sarebbe rimasto motivato tutto sarebbe andato bene.
Il 16 luglio, dopo una nevicata a bassa quota, partiamo. Abbiamo un giorno sicuramente bello e temporale previsto nel pomeriggio successivo, dovremmo farcela.
Iniziamo a camminare alla mattina da casa a San Martino, poco dopo le 10 partiamo su Elettroshock scalando tutta la via in short fixing con due corde, saliamo fino al decimo tiro scambiandoci una sola volta, poi facciamo gli ultimi due tiri a zigzag e alle 15 facciamo le doppie, dalla cima vediamo il Cavalcorto in lontananza ma sappiamo che nella notte lo raggiungeremo. Scendiamo in val di Zocca e scendiamo di corsa all’Hotel Qualido. Breve pausa per sistemarci e alle 19 partiamo sulla Spada. Scaliamo bene e dopo due ore siamo sotto il penultimo tiro, accendiamo le frontali e un’ora dopo siamo in cima. Sta andando tutto bene, nessun segno di stanchezza e siamo sempre motivati.
Esce la luna che dovrebbe essere quasi piena ma è molto più piccola del normale, poco dopo la rivedo con una forma completamente diversa poi diventa piena, ammetto di avere pensato di avere qualcosa di strano, invece è una eclissi, ci aveva portato fortuna a Rio Turbio. Scendiamo in val del Ferro e facciamo il primo micro sonno, ci sdraiamo per terra e proviamo a dormire ma dopo venti minuti ci rialziamo tremando dal freddo e ripartiamo di corsa per scaldarci. Poco dopo troviamo un riparo migliore e dormiamo seduti per una buona mezz’ora prima di ripartire verso la cengia del Cavalcorto, abbiamo con noi un pezzo di corda per attraversare una breve placca sospesa sul vuoto. Da ieri sera siamo fradici per l’erba alta bagnata, quando arriviamo alla base di Delta Minox siamo in leggero ritardo sulla tabella ma decidiamo di riposare ancora un quarto d’ora per scaldarci e asciugarci un po’ al sole. Ci svegliamo riposati bene e parte Paolino sulla via, uniamo solo alcuni tiri e non facciamo conserva, la corda sulle placche fa troppo attrito e comunque salire a jumar non si fa fatica. A mezzogiorno siamo al piccolo abete alla fine del pilastro, 22 ore dopo la prima cima. Ci fermiamo un po’ di tempo a rilassarci, chiamiamo Norbi (Norberto Riva ndr) che sembra contento quanto noi.
La discesa la prendiamo con calma per non fare errori, nel pomeriggio siamo a casa, 34 ore dopo la partenza.
È di gran lunga la cosa più difficile che ho provato a fare, e quella a cui ho dedicato più energie anche se a conti fatti le abbiamo dedicato solo nove giornate in due stagioni, più vari allenamenti in giro. Ci siamo presi qualche rischio scalando in velocità ma a parte in qualche punto rischiavamo solo qualche volo più lungo del normale (è capitato).
L’obiettivo era semplicemente quello di riuscirci a completare il giro, idealmente toccando le tre cime entro la giornata.
di Luca Schiera
Info: ragnilecco.com