Sul Cerro Mariposa, l'avventura patagonica di Luca Schiera e Paolo Marazzi
C'è un alpinismo immortale, che ci sarà sempre. E' quello che ricorda quei sogni avventurosi che i ragazzini da sempre fanno. Quei sogni che nascono (magari succede ancora adesso) leggendo le pagine scritte da Jack London o, perché no, da Salgari o Verne ma anche Bonatti. Quelle pagine che raccontano di foreste, di posti inaccessibili, di lupi, di pirati e di tigri di Mompracem ma anche di lughi o pareti inaccessibili. Insomma quei sogni di avventura e di esplorazione che, a guardar bene, stanno alla base di qualsiasi alpinismo in ogni luogo ed epoca. Ecco questo modo di andare per monti e terre lontane ci viene in mente pensando all'avventura vissuta da Luca Schiera e Paolo Marazzi per scalare la parete est del Cerro Mariposa, sperduta montagna nella sperduta valle del Rio Turbio, dell'ancora lontanissima Patagonia. Un viaggio che ha spaziato dal farsi largo nella foresta con il machete, alla navigazione in barca sul fiume, al vagare per pareti e montagne. Va detto che l'esperienza dei due giovani ma già espertissimi alpinisti dei Ragni di Lecco fa il paio (come stile e ambiente selvaggio) con quella vissuta lo scorso febbraio sul Cerro Murallón da altri tre loro sodali (David Bacci, Matteo Bernasconi e Matteo Della Bordella). Come dire che questo giovane alpinismo dei nostri tempi a ben guardare sta interpretando l'avventura nel senso più completo. Ne siamo ancora più convinti ora che sono tornati e Luca Schiara ci ha raccontato un po' com'è andata...
Produci consuma crepa al Cerro Mariposa di Luca Schiera
Dalle informazioni avute da Thomas Tivadar, e dai canadesi che l'avevano tentata, il cerro Mariposa sembrava l’obiettivo migliore, in effetti è la parete più ripida e pulita della zona. Siamo riusciti a salirla quando ormai stavamo solo aspettando un miglioramento meteo per tornare a casa, al ritorno abbiamo disceso il torrente con tutto il materiale su dei canotti gonfiabili per 40 km. La via l’abbiamo salita in un giorno e mezzo, le condizioni della parete erano pessime e abbiamo visto da molto vicino un paio di scariche, ma era la nostra unica possibilità. L’abbiamo chiamata: Produci consuma crepa, alta 900m fino al 6c A2.
Io e Paolo Marazzi, insieme a tutta l’attrezzatura per stare dieci giorni in parete, siamo partiti a metà febbraio da casa con l’idea di tentare di salire il cerro Mariposa. Non avevamo molte informazioni, se non che è situato in una stretta valle dopo un lago alpino pieno di icebergs, dentro una remota valle in Patagonia al confine fra Argentina e Cile.
Arrivati a Bariloche abbiamo scoperto che delle forti piogge hanno allagato l’intera valle come non succedeva da molti anni. Abbiamo quindi aspettato dieci giorni per potere attraversare il fiume e iniziare l’avvicinamento a cavallo durato un giorno. Dopo abbiamo trasportato tutto il materiale in spalla, aprendoci una via nella foresta pluviale con un macete, fino alla capanna di legno che è diventata il nostro campo base.
Poi ha ripreso a piovere. Per tre settimane circa il tempo era stabilmente brutto. In un paio di momenti di tempo buono abbiamo tentato di salire una parete di 800m, ma arrivati a pochi tiri dalla cima le fessure intasate di erba e fango ci hanno rallentato fino a fermarci. In un altro giorno di bel tempo abbiamo salito slegati una parete non difficile ma molto bella, dalla cui cima abbiamo potuto vedere il vero motivo per cui siamo andati la: la parete della Mariposa.
A tempo (e speranze) ormai scaduto però è arrivata la nostra occasione: quattro giorni di bel tempo. Siamo partiti nel pomeriggio appena la pressione ha iniziato a salire, attraversato il lago con i canotti e arrivati alla sera sotto la parete. Dove non c’erano cascate di acqua, era completamente bagnata.
Il giorno successivo prima dell’alba eravamo già in parete, nella mattina abbiamo superato i tiri più delicati, e incerti, sui tetti dei primi tiri. A metà parete delle scariche di sassi causate dalla neve in fusione in cima ci hanno convinti a spostarci più velocemente possibile, al riparo sotto la headwall strapiombante. Completamente bagnati abbiamo scelto la giusta linea di fessure che porta in cima, l’unica, e abbiamo continuato con la luce delle frontali. Dopo16 ore consecutive siamo arrivati in cima alle 2 di notte del giorno dopo.
Il tempo era ancora stabile e da quel momento abbiamo iniziato la lunga discesa. Prima in doppia dalla via, poi abbiamo riattraversato il lago e per sera eravamo di nuovo al campo. Il giorno dopo abbiamo riportato tutta l’attrezzatura fino all’inizio della valle e all’alba del quinto giorno eravamo in riva al fiume. Abbiamo caricato circa un centinaio di kg di materiale sui due canotti, siamo entrati in acqua e in mezzo alle rapide abbiamo disceso il nostro primo torrente fino al lago Puelo, nei pressi di El Bolson.
Grazie al gruppo Ragni di Lecco e CAAI
di Luca Schiera