Hansjörg Auer - riflessioni sull’alpinismo in Patagonia
Bisogna dire che per certi versi il maggior afflusso di alpinisti in Patagonia è una cosa normale, fa parte dello sviluppo delle cose e non è necessariamente una cosa negativa, anzi. Ma quello che Hansjörg ha visto e sentito quest’anno l'ha particolarmente preoccupato... la sua è una testimonianza importante da ascoltare e sulla quale riflettere.
PATAGONIA di Hansjörg Auer
L'alpinismo è un’entità dinamica. In evoluzione costante, e questa è una buona cosa. Fondamentalmente non m’interessa la direzione in cui si sviluppa questo sport, finché gli alpinisti rispettano alcune regole di base. Tuttavia, vedo l’attuale sviluppo in Patagonia in maniera molto critica. L’arrampicata in Patagonia si sta spostando sempre di più da montagne che in passato erano molto temute verso costumi simili a quelle che in uso a Chamonix.
Non voglio assolutamente predicare o dare una falsa impressione quando si tratta di quantificare il rischio da affrontare. So anche di essere probabilmente la persona sbagliata per parlare di rischio. Mi piace troppo muovermi su questo scottante terreno, e dopo tutte le mie salite in free solo sono sicuro che mi credete.
Fino ad ora sono stato in Patagonia cinque volte. Una di queste nella Valle Chochamo ed una volta sulle Torri del Paine. A parte la Valle Chochamo e la mia recente nuova via sull'Aguja Guillaumet, non sono mai riuscito a tornare da una via senza essere colpito da una tempesta, di neve o pioggia. Dunque: o mi muovo sempre nel momento sbagliato, oppure le condizioni patagoniche semplicemente esistono ancora quelle insidiose condizioni meteo, per cui in pochi minuti si passa dalla T-shirt ad un serio guscio in Gore-tex. Dove nel giro di pochi minuti diventa semplicemente impossibile salire un tiro di V grado.
Purtroppo l’ho potuto sperimentare ancora una volta anche in questa stagione. Durante il nostro tentativo di Traversata del Cerro Torre siamo stati sopresi, al bivacco del Cerro Standhardt, da una tempesta non annunciata dai meteorologi. La situazione è stata davvero brutta. Solo grazie all’esperienza pluriennale del nostro team (composto da Thomas Huber, Much Mayr e Mario Walder) e con moltissima fortuna siamo riusciti a scendere in doppia lungo la parete, e sopravvivere.
Poi quando arrivi a El Chalten e davanti ad una bistecca e una birra senti i progetti di qualche alpinista, ti viene la nausea. Senza alcuna esperienza parlano di volere correre su per l' "accogliente" Via dei Ragni sulla parete ovest del Cerro Torre. Ovviamente la via non presenta difficoltà estreme, ma si trova in una delle zone più appartate e questo fatto deve pur essere preso in considerazione. Oppure parlano di altre vie “poi non così male” che in Dolomiti farebbero parte delle assolute classiche. Inoltre ci sono anche commenti come "comunque ci sarà un sacco di gente sulla via." E’ chiaro che così si cambiano i confini e si potrebbe pensare che anche il rischio si riduca, ma ciò nonostante qui non si fanno regali, ci vuole capacità alpinistica, resistenza e l’esperienza necessaria. Certo, con il bel tempo e senza vento tutto andrà bene. Ma cosa succede quando improvvisamente, e del tutto inaspettatamente, arriva la tempesta Patagonica? Non esistono elicotteri, il salvataggio effettuato da altri alpinisti è possibile soltanto in parte e tutti i sentieri che portano a El Chalten sono molto, molto lunghi.
Ho paura che la gente interpreti le linee rosse negli schizzi delle vie come in una guida d’arrampicata per Finale o Arco. Non voglio assolutamente denigrare il lavoro di Rolando Garibotti e Dörte Pietron, ma attraverso la nuova guida le vie vengono servite troppo facilmente agli inesperti. E nello stesso tempo credo che sia stato tolto molto al feeling Patagonico. Tutto quel lavoro di preparazione e discussione prima della via, ora manca. Ed è esattamente questo lavoro che potrebbe evitare potenziali errori e incidenti. Dibattere e conoscere la materia significa più sicurezza.
E’ così che succede che in cima al Fitz Roy si trovano persone che, salite lungo la via Affaniseff, improvvisamente desiderano calarsi lungo la via Tehuelche, una via per la quale ci vogliono anni di esperienza per rimuovere una corda bloccata, o addirittura trovarne l’uscita quando si arriva da sopra. Queste persone non sanno nemmeno dove si trova la "discesa normale". Ed è così anche che alcuni alpinisti, per salire in cima al Cerro Torre, devono salire la Via dei Ragni in artificiale, A0 sui chiodi da ghiaccio. Incredibile!
Naturalmente questi sono soltanto casi isolati. La maggior parte degli alpinisti ha anni di esperienza in montagna e si sa muovere in Patagonia. Ma soltanto attraverso la descrizione dei singoli casi possiamo puntare ad un cambio di mentalità.
Con queste mie parole non voglio mettere nessuno in cattiva luce o darne una visione in qualche modo negativa. Il mio obiettivo è dimostrare che in Patagonia esistono ancora dei bruschi cambi climatici, che la parete ovest del Cerro Torre si trova in una delle zone più remote, che in Patagonia non esiste l’elisoccorso, e che in pochi minuti continuare una salita o una discesa possono trasformarsi in puro inferno. L’ho già vissuto sulla mia pelle in passato un paio di volte e non lo auguro a nessuno.
Hansjörg Auer
Trollo y Trollin
Aguja Guillaumet parete est
Prima salita: Hansjörg Auer, Mario Walder 20/02/2013
Difficoltà: M6+, 75°, 500m
Bella via di misto, salita in libera e clean. Una ottima scelta per quando è troppo freddo per salire le vie di roccia e le condizioni per le altre vie sono proibitive.
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