Federica Mingolla su Itaca nel Sole in Valle dell’Orco
Due settime fa Federica Mingolla è tornata su Itaca nel Sole, la storica via al Caporal in Valle dell’Orco aperta da Gian Piero Motti e Guido Morello con l’uso dell’arrampicata artificiale, e poi liberata nel 2003 da Cristian Brenna che, trovando l’ispirazione con Marzio Nardi, è riuscito per primo a decifrare i due difficili tiri sullo Scudo superiore.
Federica Mingolla ha un debole per la Valle dell’Orco ed un legame profondo con questa linea, infatti l’aveva provata per la prima volta nel 2016 insieme al suo grande amico Adriano Trombetta, che le aveva trasmesso tutto l’amore per quell’arrampicata così particolare sul ruvido granito piemontese.
All’epoca Federica non era riuscita a salire i tiri chiavi in libera, poi con la scomparsa di Adriano le è comprensibilmente passata anche la voglia di riprovare la via. Fino a poco tempo fa, quando con Andrea Migliano è riuscita a risolvere il tiro di 8a. Poi, una settimana più tardi, ha salito in libera anche il tiro successivo, quello di 8b. Per essere precisi: non ha salito tutti i tiri in libera in giornata, bensì in due momenti separati. Ma a Federica evidentemente basta già così, come ci ha spiegato: " A me bastava risolvere le lunghezze e sinceramente non ho mai pensato di farle insieme. Non la vedo come una prestazione sportiva questa, e non ho pensato al grado, ma al grosso significato che questa via ha per me." Ecco il suo racconto.
ITACA NEL SOLE di Federica Mingolla
Era il 2016 quando per la prima volta il Tromba, Adriano Trombetta, mi portò a provare lo "Specchio". Era per me un periodo di continua scoperta ed evoluzione nel mio mondo dell’arrampicata, la mia attenzione si stava spostando sempre di più dalle pareti indoor e l’allenamento rivolto alle gare all’arrampicata su roccia ed in particolare a quella su granito.
La Valle dell’Orco si apriva davanti ai miei occhi di sognatrice nel momento di maggiore entusiasmo che abbia mai vissuto e mi svelava tutte le sue bellezze, tra cui anche Itaca. Avevo da poco scalato sul Caporal Il Lungo Cammino dei Comanches e Tomahawk Dance, due vie di grande impegno e di rara bellezza che mi hanno chiesto tanto, e ho iniziato a cambiare il mio modo di scalare e di approcciarmi all’arrampicata nel momento in cui ho iniziato a sentire il granito sotto i piedi e ai polpastrelli. Nel giro di poco tempo ho visto la mia mentalità crescere, il mio corpo entrare in simbiosi con quel mondo di pietra liscia e verticale e Adriano, vedendo il mio entusiasmo alle stelle, aveva deciso di portarmi a conoscere Itaca.
Itaca è stata la via simbolo del Nuovo Mattino, nonché uno degli ultimi viaggi di Gian Piero Motti che nel 1975 prende coraggio e decide di salire quegli specchi inviolati che sono l’anima del Caporal. Finalmente anche l’ultima linea, la più estetica tra tutte, era stata salita e si sa, quando un viaggio finisce lascia un vuoto e tanta malinconia, bisogna saper ripartire prendendo tutto il buono di quello che è stato, il Nuovo Mattino stava cedendo il passo a nuove idee e nuove etiche. Per Motti, troppe cose erano cambiate e non si dava pace, quindi conclusosi il suo viaggio, arrivato ad Itaca, decise di andarsene e non ritornare più.
Quella prima volta me la ricordo bene, eravamo sotto la prima lunghezza di 8a dello Specchio, faceva molto freddo e Adriano era emozionatissimo all’idea che io avrei potuto scalarla in libera al primo tentativo. Io pensavo fosse matto! Non andò così infatti, ma ci mancò veramente poco, all’ultimo movimento difficile che richiede un piccolo lancio al terrazzino dove poi termina la lunghezza ho deciso di cedere e di lasciarmi andare penzoloni sulla corda, vedevo l’abisso del Caporal sotto di me e gli occhi di Adriano rassegnarsi per la sconfitta.
Non passò nemmeno una settimana che mi convinse ad andare a provare il secondo tiro dello Specchio, l’8b, per me anche detto Il Mostro. Lì iniziò per me il calvario, tutto quello che pensavo di avere appreso dalla scalata in fessura e sul granito si vanificò in quei 15 metri di muro verticale e senza appigli.
Non mi davo pace e in quelle poche ore trascorse sulla piccola cengia continuai a fare tentativi, appendendomi ai chiodi sperando di riuscire a trovare una soluzione di continuità da uno all’altro, invano. Adriano mi teneva la corda e mi rassicurava, premuroso, che avrei capito come fare un giorno o l’altro, forse semplicemente non era ancora arrivato quel momento.
E non arrivò mai, almeno per i successivi 3 anni, in cui tornai su Itaca solo altre due volte ma senza nessun risultato, solo altre sconfitte ed un caldo torrido che mi annebbiava ancora più le idee su come risolvere la sequenza. Poi Adriano se ne andò e con lui anche la mia voglia di crederci.
Non ho mai smesso di pensare a quella parete dorata e perfettamente liscia, le due lunghezze liberate da Cristian Brenna insieme a Marzio Nardi, e ripetute soltanto da Nicolas Favresse, mi tornavano in mente e ne parlavo con esasperata esaltazione a molte mie serate, invocando il mio amico e ricordandolo sorridente nel posto che lui amava di più.
Quest’anno Andrea Migliano, un altro amico nonché compagno di mille avventure, tra cui vorrei citare l’ultimo viaggio che abbiamo fatto insieme in America, mi ha ricordato di quanto quest’inverno povero di neve abbia creato le condizioni ideali per andare a scalare al Caporal.
Ebbene, dal giorno del nostro incontro le sue parole iniziarono a bussarmi prepotenti tutte le mattine in cui vedevo il sole brillare nel cielo e mi tornava in mente Itaca. Mi sentivo bene nonostante la stagione comunque sempre più improntata sullo sci e al ghiaccio, piuttosto che agli allenamenti in arrampicata. Ma soprattutto, cosa più importante di tutte, mi si era riaccesa la fiamma.
Ed eccomi finalmente di nuovo sotto allo Specchio, con un grande amico e la voglia di rimettermi in gioco, la paura di essere respinta è tanta ma questa volta sento che qualcosa è diverso. Dopo soli due tentativi riesco a realizzare il lancio del primo muro di 8a e la gioia è tantissima perché non ho mai avuto sensazioni così belle come in quel momento. Mi sento viva, per la prima volta dopo tanto tempo so che è possibile!
La settimana dopo ritorniamo, questa volta la mia attenzione è per il muro di 8b, il Mostro, il fessurino quasi sempre cieco che non ti permette di respirare perché ogni respiro equivale a perdere l’equilibrio. E quindi lo affronto come in apnea, mi immergo in quel tunnel di appigli e incastri precari e trovo finalmente quella soluzione di continuità che non avevo trovato 3 anni prima.
Mi sembra chiaro. Difficile, ma chiaro. Provo a fare un secondo giro con la corda dall’alto e salgo fluida concatenando i movimenti ma senza ben capire ancora come mettere la corda nei rinvii perché l’equilibrio si sa, è molto precario. Eppure succede… Non subito perché il viaggio deve essere vissuto ancora un po' ed era ancora troppo presto. Al terzo tentativo sfilo la corda e parto guerriera, sono presuntuosa e bramo la cima, quindi vengo punita, sbaglio a prendere l’ultimo appiglio della sequenza difficile e cado.
Non ho più energie e lo so bene, sorrido ad Andrea che sembra quasi più dispiaciuto di me e gli spiego che è stato un mio errore di arroganza, che ci vuole tempo e ci avrei ritentato il giorno seguente.
Il giorno dopo, il 20 marzo, ho scritto la parola fine sul mio diario di viaggio, sono arrivata ad Itaca ed è stato tanto bello quanto assurdo riuscire a salire anche quella lunghezza con un’innaturale semplicità quando fino a qualche anno prima mi era sembrata completamente estranea e impossibile. D’altronde i viaggi più sono lunghi e tortuosi, più ti insegnano e ti rimangono impressi nella mente.
Io questo viaggio me lo ricorderò per sempre come anche la persona con cui ho sognato di partire, poi si sa, anche se i programmi cambiano bisogna saper andare avanti, e il viaggio continua…
Federica ringrazia: La Sportiva, Petzl, adidas eyewear e Sherpa Mountain Shop
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