Federica Mingolla ripete la Via della Cattedrale in Marmolada
Dopo la sua ripetizione di Chimera Verticale in Civetta all’inizio di agosto abbiamo scritto che probabilmente non sarebbe stata l’ultima volta che avremmo sentito parlare di una salita di Federica Mingolla in Dolomiti quest’estate, e ora prontamente arriva la notizia che la climber torinese ha ripetuto la Via della cattedrale in Marmolada. Si tratta di quel capolavoro di 800 metri aperto nel 1983 da Graziano Maffei, Mariano Frizzera e Paolo Leoni con difficoltà fino a 6+ ed A4 senza spit, poi liberata nel 2004 con difficoltà fino a 8a+ da Pietro dal Prà insieme a Michele Guerrini. Negli ultimi anni questa via sulla parete Sud della Punta Rocca è diventata un punto di riferimento con diverse salite tra cui citiamo quella di Florian Riegler (2009, prima ripetizione), Hansjörg Auer e Much Mayr (2009, prima a-vista), Jacopo Larcher e Barbara Zangerl (2016, prima femminile). Non poteva quindi sfuggire all’attenzione della Mingolla che, con la prima femminile della Via del Pesce nel 2016, evidentemente ha un feeling speciale con la “parete d’argento” delle Dolomiti.
Federica, sei tornata alla sud dell Marmolada. Come mai?
Sono andata lì per curiosità, avevo sentito parlare così tanto della via. Con Nicolò Geremia ci siamo presi quattro giorni per salirla, alla fine ci siamo riusciti in tre. Non mi aspettavo di salirla così velocemente!
Com’è andata?
Il primo giorno abbiamo attaccato tardi, aveva piovuto ed abbiamo aspettato che si asciugasse un po’ la parete. Abbiamo salito i primi 6 tiri, arrampicando a tiri alternati, io sui tiri difficili ero da seconda. Poi ha iniziato a grandinare e siamo scesi.
Il giorno dopo?
Il giorno dopo ci siamo detti “perché non vediamo cosa riusciamo a fare?”. Così ci siamo organizzati per fare un bivacco in parete e siamo saliti con il saccone. Questa volta ci siamo invertiti i ruoli: ho fatto io in libera i tiri difficili che avevo fatto da seconda il giorno prima e ho salito a-vista il tiro di 7c
Prima della cengia dove volevate bivaccare c’è però il tiro chiave di 8a+.
Sì. Un tiro bellissimo, a forma di S. In realtà non sapevo se era un tiro lunghissimo, oppure se bisognasse spezzarlo in due sotto il tetto. La prima parte non l’ho fatto a-vista e mi sono fermata sotto il tetto alla sosta intermedia perché appunto non sapevo che bisognava salirlo come tiro unico. Dopo essere ripartita ho fatto la seconda parte del tiro a-vista.
L’hai subito rifatto?
Beh no, in quel momento abbiamo continuato sugli altri tiri più facili per raggiungere la cengia. Durante la notte, in bivacco, c’è stato un freddo della Madonna, non ho mai avuto cosi tanto freddo in vita mia! Il giorno dopo abbiamo proseguito per la cima. Attorno a noi tutto era bianco, purtroppo le nuvole erano bassissime.
Poi vi siete calati lungo la via?
Giusto, e mentre ci stavamo calando ho deciso di fare un giro sul tiro chiave, solo per vedere come sarebbe andata. Sono salita sono arrivata in continuità all’uscita del secondo pezzo, un blocco difficile dai rovesci, ma le corde facevano semplicemente troppo attrito.
E quindi?
Ho spento il cervello. Mi sono tirata su, ho fatto un tallonaggio altissimo e sono riuscita a fare il ribaltamento. L’urlo enorme era di disperazione e felicità!
Avresti potuto ovviare il problema dell’attrito?
Forse sì. Dopo ho saputo da Pietro (dal Prà ndr) che per la libera lui aveva usato una corda per tutta la prima parte, e la seconda corda per la seconda parte…
Poi sei scesa. Non pensi di tornare prima o poi e fare tutta la via nel suo ordine logico?
Onestamente, a me non cambia molto l’idea di salire il tiro chiave di nuovo salendo tutta la via dal basso fino in cima. L’importante è che sia riuscita a liberarlo, e anche se non fossi riuscita, sarebbe comunque stata una ripetizione, ma non in libera. Questo è il mio punto di vista, ognuno è libero ovviamente di vederla come vuole.
Domanda scontata, com’è la via?
Bellissima! Ogni tiro ha il suo perché, non ti annoi mai. Placche verdoniane sono seguite da sezioni stile tre Cime di Lavaredo, con rocce a piccoli cubetti dove devi stare attento che non si rompano, poi ha delle gocce, spalmi… Il tutto con un bel vuoto sotto il sedere. È stupenda! Ho cercato di immaginarmi l’apertura all’inizio degli anni ’80 attraverso quel tetto, in artificiale, pazzesco. E complimenti anche a Pietro Dal Prà per aver riportato alla luce questo gioiello.
Soddisfatta?
Molto. Sono andata lì solo per vedere, ero curiosa. Non mi aspettavo niente invece sono riuscita al secondo giro. È un bel test di resistenza, ma anche psicologico. Bisogna ricordarsi che lì sei in montagna, non sei in falesia.
Link: Facebook Federica Mingolla, La Sportiva, Petzl