Dolomiti di Brenta, vie classiche e moderne
Son passati 10 anni dalla pubblicazione del primo volume, quello relativo alla Val d’Ambiéz. Era infatti il 2013 quando davo alle stampe la prima guida del progetto "Dolomiti di Brenta, vie classiche e moderne". Il primo volume espandeva le conoscenze alpinistiche nella valle di casa di Elio Orlandi. Avevo quindi stretto con lui una stretta collaborazione, così stretta che poi l’ho convinto a diventare co-autore. Era giusto infatti che chi aveva dedicato la sua vita a quelle pareti ponesse la sua firma su quell’opera.
La serie di cinque volumi segue la splendida monografia compilata da Gino Buscaini e pubblicata nel 1977 dal CAI/TCI per la collana Monti d’Italia. Da allora le aperture di nuove vie si erano succedute copiose, soprattutto da parte degli alpinisti trentini, veri amanti del gruppo di Brenta.
Un giorno del 2009, scendendo dalla Cima d’Ambiéz con l’amico Gianni, dopo essere saliti per la Via Vienna, proprio Gianni, camminando sul ghiaione, mi si rivolse con: "Perché non fai tu la nuova guida del Brenta? Ci sono tantissime vie nuove e ormai son tanti anni che non c’è una guida aggiornata". Entrammo al Rifugio Agostini e Roberto Cornella, il gestore, ci tirò fuori dal cassetto un malloppo di fotocopie tra schizzi e relazioni. "Questo è frutto, quasi tutto, di Elio Orlandi che qui ha aperto un sacco di itinerari. Se vuoi te lo presento". Poche domeniche dopo ero a camminare con Elio su per il sentiero e mi indicava le cime, le torri e le pareti dove fin da piccolo arrampicava. In rifugio stemmo seduti un po’ di ore a guardare quelle fotocopie, cercando di ordinare e imprimere nella mente tutte quelle informazioni. Salii più volte poi al rifugio, scandagliai ogni anfratto, fotografai ogni parete e riordinai le idee. E mi incontrai ancora e ancora con Elio che fugava ogni mio dubbio e che, vista la mia dedizione e caparbietà, appose quella firma, per me preziosa, su quel libro.
Avevo anche fugato il dubbio se fare una raccolta delle vie più belle o inserire tutte le vie conosciute, compresi i cosiddetti "rumeghi", cioè quegli itinerari in zone impervie o con roccia brutta che difficilmente vedranno una ripetizione. Decisi per la seconda ipotesi, per prima cosa perché in Brenta le vie sono quasi tutte bellissime tanto è bella la roccia, in secondo luogo perché mi sembrava giusto dare dignità a ogni itinerario e, con esso, a ogni alpinista che aveva sognato, studiato e realizzato quella linea.
Mi ritrovai l’anno successivo a lavorare da solo al secondo volume. Elio non se la sentiva di prendersi carico di un lavoro così intenso. Andai a Molveno per inoltrarmi nella Valle delle Seghe, a lambire quell’enorme parete che avevo salito negli anni ’90 per un paio di itinerari: il Croz dell’Altissimo. Una vera cattedrale di 900 metri incombente dai prati sommitali su quel lungo solco. Parlai con altri grandi alpinisti che fecero la storia in quella parete, da Heinz Steinkötter a Marco Furlani, da Edoardo Covi a Marco Pegoretti, da Andrea Zanetti a Tony Zanetti. Il secondo volume parla anche di Massodi, Fontanefredde, Daino e Val Perse, luoghi poco frequentati e per questo affascinanti.
Il senso antiorario che ormai avevo dato al lavoro mi portò a scoprire il mondo settentrionale del Brenta. Quando salendo la Val di Non si guarda in su a sinistra si scorgono grandi boschi che fanno da base a rocce arrotondate. Non ci si immagina che lì, se si entra un poco in quel mondo, più all’interno le rocce diventano più ripide, anzi verticali. E vi è un magnifico specchio d’acqua che le riflette. Sopra il Lago di Tovel ci sono pareti di calcare bellissimo, non molto alte ma in genere con vie di alta difficoltà. Tutte sconosciute. Max Gasperetti mi portò ad arrampicare sullo Spigolo dell’Om, un filo bianco sopra il lago. E poi girai per le creste, andai a Flavona a scoprire Cima Valscura e il Fibbion, da solo o in compagnia di Claudio Kerschbaumer, e vidi da vicino dove la cordata Larcher-Giupponi tracciò una via di 8a+. Andai verso sud a conoscere Marcello Andreolli, un vero signore delle pareti, che mi spiegò in lungo e in largo la Corna Rossa. Mancava ancora qualche pezzo, tutto il massiccio di Vallesinella. Restai strabiliato dalla parete nord del suo Castello, dove un compianto Bepi Loss tracciò nel 1968 una delle vie più difficili dell’intero gruppo. E poi conobbi la "Forza della Natura". Si materializzò in un giovane ragazzo, sempre sorridente ed entusiasta, ma con dei muscoli da far paura. Gianni Canale credo impersonifichi colui che vede nella parete la sua dimensione naturale. Non ha preclusioni, va d’istinto e apre vie, assieme ai suoi amici vecchi e giovani, dove nessuno aveva osato. Franco Cavallaro, Aldo Mazzotti, Gigi Leonardi fanno parte di quella "banda di matti" che mi hanno accolto in serate alcoliche e caciarose, dove l’importanza delle loro vie passava in secondo piano. Ma non si può non restare basiti dalla Via Canale-Mazzotti al Castello di Vallesinella, aperta a chiodi normali su difficoltà fino al IX-.
Era venuto il momento di lavorare al corpo centrale del Brenta, quello per cui il gruppo è famoso in tutto il mondo e dove le cime principali si chiamano Cima Brenta, Brenta Alta e, soprattutto, Campanile Basso. Sentivo la responsabilità di dover rappresentare le vie su queste cime in modo affidabile, vista la frequentazione e la storia che vi aleggia. Mi avvicinai ad altri alpinisti fortissimi, primo tra tutti al compianto Giuliano Stenghel, con cui intrecciai una sincera amicizia. E poi Alessandro Beber, Matteo Faletti, Ermanno Salvaterra, Franco Nicolini. Nomi da affiancare a Paul Preuss, Armando Aste, Bruno Detassis, Marino Stenico, Giorgio Graffer. Insomma mi trovavo a girare per le guglie più importanti, quasi tutte salite da me negli anni precedenti per le vie più classiche. Ma ora la salita la sentivo ancora più ardua e altrettanto pericolosa. Purtroppo, dopo aver visitato ormai tutto, mi ritrovai nel 2018 steso in un letto d’ospedale, con tante ossa rotte, frutto di un’uscita in Vajolet. Dovetti stoppare il lavoro per un po’, ma quando ricominciai a poter usare il computer portai a termine il lavoro. È stato un anno duro ma proficuo, e così nel 2019 feci la presentazione del volume con una grande festa sulla terrazza del Rifugio Brentei. C’erano tutti gli amici del Brenta a raccontare le loro storie e a fissare un momento importante.
Ma mancava un importante tassello, tanto importante quanto definitivo, per poter mettere la parola fine a quel progetto abbozzato nell’ormai lontano 2009. Mancavano i due giganti del Brenta che, al pari delle pareti del massiccio centrale, rappresentano l’anima di quelle rocce. La Cima Tosa e il Crozzon di Brenta "sono" il Brenta. Un altro studio meticoloso, altri incontri, chiacchiere, discussioni. Altre feste e pacche sulle spalle. Ai soliti protagonisti si sono aggiunti nomi di giovani in gamba, come Francesco Salvaterra, Tomas e Silvestro Franchini e, per la parte storica, Matteo Bertolotti. Ho poi chiesto a Elio Orlandi di chiudere il cerchio. E l’ha fatto con una prefazione che mi ha strappato qualche lacrima.
E così vi consegno questa parte della mia vita, fatta di scoperte, conoscenze e amicizie. Di lavoro ma anche di grandi soddisfazioni. E vi invito, tutti, alla presentazione che, assieme ai tanti amici, farò sabato 29 luglio alle 18.00 al Pra’ de la Casa, all’imbocco della Val Brenta, simbolo indiscusso della casa di montagna che ho "preso in affitto" per più di 10 anni.
di Francesco Cappellari
Link: ideamontagna.it
SCHEDA: Via della Soddisfazione, Cima d'Ambiéz, Dolomiti di Brenta
SCHEDA: Via Nadir, Croz dell'Altissimo, Dolomiti di Brenta
SCHEDA: Via Loss - Bonvecchio - Destefani, Castello di Vallesinella, Dolomiti di Brenta
SCHEDA: Via Detassis - Stenico, Cima Brenta, Dolomiti di Brenta