Coffee Break #23 - Montagne marginali

Quanto ci siamo allontanati dalla natura, quanto abbiamo spezzato il rapporto anche con il mondo animale? E come si ripercuote tutto ciò sul nostro percepire/andare in montagna? Daniela Zangrando con il suo Coffee Break parte esplorando una galleria di tipi e di climber per approdare a considerazione che perlomeno dovrebbero metterci in guardia.
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Coffee break #23 - Montagne marginali
© archive Alberto Tadiello

Da entusiasta dell’allenamento, mi capita di trovarmi di tanto in tanto durante la stagione invernale in qualche palestra artificiale.

Radio. Prima un mix anni Novanta, quattro hit senza interruzioni pubblicitarie. Poi di seguito Icona Pop con I love it, OneRepublic con Kids, Dj Snake con Let Me Love You. Per caricarsi al meglio. A chiudere A million reasons di Lady Gaga. Ottima sia per una “smagnesata” che per fasi di recupero post tiro o di riscaldamento – a seconda delle necessità del climber.

A destra una coppietta di neofiti. Corda nuova, sacco sfavillante. Proverei quel 6b che ha già su la corda, quel “Mi spiezzo ma non mi piego” con le prese gialle. Amore, vai. Sghisa, sghisa. Alè. Quattro strattoni, un arlecchino di appigli e appoggi degno del Martedì Grasso, e su. Venga amore! Venga! Fai come Chris Sharma, lancia di destro che sei arrivata. Lei scende soddisfattissima. Lui ne è fiero. Si siedono sulla panca. Bisogna anche saper riposare. Una barretta da 70 grammi, gusto cioccolato, con una dose di ben 26 grammi di proteine è quello che ci vuole. Ricca, profilo nutrizionale perfetto. L’ha detto anche Toni Rampegon. Lui queste cose le sa.

Sale le scale un padre con i due pargoli. Imbraghi in mano. Uno sbuffo pronto tra le labbra. Dai, veloci. Il bambino indossa svogliatamente le scarpette. Fa due tre passi lamentandosi del male ai piedi, poi sale. Il padre si gratta la maglietta, annoiato, pensando alla moglie che nel frattempo è andata a dare un occhio ai saldi nel negozio accanto. Calato il primo, si rivolge al secondo. Vuoi provare anche tu? No, non hai voglia? Ok, allora guardiamo un po’ quelli che arrampicano e poi andiamo. Cinque minuti dopo, ricongiunti con la signora, sono tutti e quattro all’uscita.

Torso nudo. Aderenza indubbiamente migliore rispetto alla maglietta tecnica traspirante che aveva sfoggiato fino poco prima. Punta il 7a in strapiombo. Finalmente un fuoriclasse! Tronco d’acciaio. Trattiene leggermente il respiro e si guarda attorno. Continuando a farsi ammirare, parla con il compagno. Lasciami pure lasco, se volo volo lungo. Si passa la mano sugli addominali. Mi alleno cinque volte a settimana, a volte anche sei. Mi sto concentrando sugli obliqui. Plank e addominali alla sbarra con rotazione. Non ne fai? Male. Pensa che quando prendo quel monodito a Erto sento proprio l’obliquo interno che si contrae. Dai vecio, se vuoi poi ti spiego.


Qualche giorno fa ho letto un saggio di John Berger titolato “Perché guardiamo gli animali?”. Non mi ha interessato subito. L’ho ripreso solo di fronte a questa galleria di personaggi. L’ho rimasticato pensando alle montagne.

Perché se è vero che l’uomo aveva in origine un rapporto stretto con gli animali – che costituivano il primo cerchio che aveva attorno – e che da principio andarono a formare un immaginario in cui rivestivano il ruolo di messaggeri e di promesse, questo è trasponibile alla natura e alla montagna. Animali custodi di segreti, intermediari tra l’uomo e le proprie origini. Esseri che «venivano da oltre orizzonte. Erano a casa laggiù e qui. Allo stesso modo, erano mortali e immortali. Il sangue di un animale scorreva come quello umano, la sua specie era imperitura e ogni leone era il Leone, ogni bue era il Bue.» E non era forse ogni montagna la Montagna, depositaria di sapere e di venerazione, di paura e di metafora?

Berger rinviene un momento di rottura decisivo nel rapporto uomo-animale nella creazione degli zoo – e in tutto ciò che ne consegue, dallo spopolare dell’immagine del cucciolo su calendari, libri e web alla notevole presenza di peluche e giocattoli a forma animale con pretesa di verosimiglianza a discapito del loro valore simbolico precedente. Da quel momento in avanti l’animale è stato reso completamente marginale. Senza più alcun bisogno reale, – il cibo arriva puntualmente e l’accoppiamento viene stabilito da calcoli esterni – privato delle relazioni tra specie, non ha assolutamente nulla a parte la propria passività o la propria iperattività. Ed è a tal punto condizionato da questa molteplicità di fattori da considerare a sua volta marginale qualsiasi evento gli si verifichi attorno. La marginalità diventa dunque totale e lo stato selvaggio diventa uno sfogo dell’immaginazione, buono per la pittura forse, o per il cinema.

E la montagna? Quel museo di personaggi, tutti pronti per una spedizione sugli Ottomila, è la dimostrazione palese anche della sua scomparsa. O meglio della sua scomparsa dalla vita di tutti i giorni. E lo è l’Hotel Rigopiano. Così come il ponte tibetano sulla “Strada del Re”. O i bus che arrivano stracolmi di turisti al Rifugio Auronzo per gustare visioni da cartolina. Ognuno di voi avrà in mente una situazione analoga. Il rinvenimento preciso di un punto di rottura, lo rinvio ad altro luogo.

Consiglio comunque di prestare attenzione. Una tale signora Carter, vincitrice del concorso “Esaudisci il tuo desiderio” aveva detto di voler baciare e coccolare un leone. Ma è finita all’ospedale sotto shock e con svariate ferite alla gola, inferte da una leonessa che i guardiani avevano definito perfettamente inoffensiva.

Non vorrei che tale Torso d’Acciaio, partito per la spedizione della vita, si ritrovasse poi impaurito nel bosco di fianco a casa, dopo aver snobbato con aria di sufficienza una freccia di vernice rossa su un albero che gli indicava la via ed essersi perso al tramontare del sole. E – nonostante la dotazione alpinistica di indiscutibile pregio – avesse dimenticato una lampada frontale o una banale candela, e fosse costretto a chiamare i soccorsi. Perché, per quanto la regressione sia inarrestabile, forse la montagna resta ancora, per qualche misterioso aspetto, la Montagna, e, in quanto tale, si fa beffa di GPS, connessioni 4G, addominali di grido, varie ed eventuali.

di Daniela Zangrando

Il volume a cui si fa riferimento è John Berger, Why look at animals?, Penguin Books, London 2009; trad.it., Perché guardiamo gli animali? Dodici inviti a riscoprire l’uomo attraverso le altre specie viventi, il Saggiatore S.r.l., Milano 2016.


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