Caterina Bassi e Martino Quintavalla ripetono Elettroshock al Picco Luigi Amedeo in Val Masino

Il report di Caterina Bassi della doppia ripetizione quest'estate, da parte sua e del suo compagno di vita e cordata Martino Quintavalla, di Elettroshock alla parete Sud-Est del Picco Luigi Amedeo, in Val Masino.
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Caterina Bassi sale Elettroshock al Picco Luigi Amedeo in Val Masino
Saverio Monti

Elettroshock, aperta nel 1989 da Tarcisio Fazzini, Sabina Gianola e Norberto Riva percorre la parete Sud-Est del Picco Luigi Amedeo, in val Torrone (Val Masino) con una magnifica sequenza di placche e fessure. La via, considerata per molti anni un riferimento per l’alta difficoltà non solo tra le montagne della Val Masino ma di tutte le Alpi Centrali, è stata liberata nel 1994 da Oto Bajana e Martin Heuger, con difficoltà massime di 8a. Dopo la prima solitaria effettuata nel 2000 da Luca Maspes, è stata percorsa in libera da Simone Pedeferri nel 2004. La via è stata richiodata nel 2019 da Luca Schiera e Giacomo Mauri. Quest'estate Caterina Bassi e Martino Quintavalla si sono aggiudicati una rara ripetizione in libera, e quella di Caterina rappresenta anche la prima libera femminile.

Io e Martino abbiamo salito per la prima volta Elettroshock nell’estate del 2020, arrugginiti dopo il lockdown della primavera, tanto che ricordo che iniziai a sentirmi a mio agio sulla parete solo dopo tre o quattro tiri. Sin da quella prima volta, in cui scalammo la via azzerando i passi più difficili, il mio sogno nel cassetto era quello di poterla percorrere interamente in libera prima o poi. Nel corso di quell’estate facemmo il lungo avvicinamento di circa tre ore dal fondovalle ancora una volta per provare il secondo tiro (un 7b+ molto boulderoso e morfologico) e il quarto tiro (attorno all’8a) per capire se la salita in libera fosse possibile. Il secondo tiro, in particolare, mi sembrò un vero e proprio rebus: mi mostrò con chiarezza quanto i gradi in arrampicata a volte sembrino senza senso e quanto fossi debole nel boulder. Andò un pochino meglio sul quarto tiro, più di resistenza, anche se la possibilità di mettere insieme tutti i movimenti mi sembrò davvero remota, anche a causa della rottura di un grosso appiglio ("la bambolina", cit. Simone Pedeferri), avvenuta diversi anni fa, dopo la quale nessuno aveva più salito il tiro in libera.

Quella seconda visita mi fece capire che avrei dovuto allenarmi in modo strutturato per avere una possibilità di salire in libera la via. Per questa ragione ho sottoscritto un piano di allenamento con Lattice Training nel corso degli ultimi due anni e, per la prima volta, ho dedicato i mesi invernali al boulder. Questo mi ha permesso di incrementare il livello di forza, di espandere il mio repertorio di movimenti e di fare pratica con sequenze caratterizzate da una bassa percentuale di successo.

Siamo tornati sulla via a fine estate-inizio autunno del 2021 e, nel corso di alcuni tentativi, siamo riusciti a salire in libera il secondo e il quarto tiro. Abbiamo quindi iniziato a provare il sesto, per il quale Oto Bajana e Martin Heuger, per evitare un pendolo, avevano stabilito una variante stimata intorno al 7c. Il 2021 si è concluso senza che io riuscissi a salire quel sesto tiro, per la precisione senza nemmeno che io riuscissi a fare alcuni dei singoli movimenti: nonostante fossi riuscita a fare i passi di placca considerati i più difficili, anche a causa della probabile rottura di un cristallo, quelli iniziali, molto morfologici, continuavano a costituire per me un vero scoglio.

L’incertezza della situazione e la conseguente paura di fallire su un progetto nel quale avevo investito molto, mi hanno spinto, nel febbraio di quest’anno, ad iscrivermi al corso online di allenamento mentale Strongmind sulla paura in arrampicata, fondato da Hazel Findlay. Il corso mi ha permesso di incamminarmi sul difficile percorso di passaggio da una forma mentis orientata al risultato ad una orientata all’apprendimento, grazie alla quale ho cominciato a considerare un successo il fatto di imparare qualcosa, piuttosto che il raggiungimento di un risultato in sé.

Questo cambio di impostazione mentale è stato fondamentale per decifrare la prima sequenza di quel sesto tiro senza perdere le speranze. Infatti, nel corso di giugno di quest’anno, nonostante diversi tentativi in cui mi avvicinavo sempre di più alla soluzione, non sono riuscita a capire come fare quella sequenza sino all’ultimo tentativo prima della salita in libera. Malgrado alcuni momenti di disperazione - come Martino ben sa - una forma mentis più orientata all’apprendimento mi ha permesso di rimanere concentrata sullo scovare soluzioni alternative e di tenere a bada quella vocina dentro la mia testa che diceva "ho speso due anni su una via che non sarò mai in grado di fare in libera."

I due giorni della libera sono stati delle vere e proprie montagne russe a livello emotivo. Dopo il lungo avvicinamento, abbiamo attaccato la via intorno alle due del pomeriggio, in modo tale da scalare all’ombra. Io ho incontrato il primo vero ostacolo al quarto tiro, sul quale sono caduta per ben tre volte: in quel momento mi sono resa conto che la mia mente era già proiettata nel futuro, in particolare sul sesto tiro, e questo mi impediva di essere completamente presente e di disporre quindi di tutte le risorse di cui avevo bisogno per chiudere quel tiro. Il realizzare questo fatto e il supporto di Martino sono stati fondamentali: mi sono quindi concentrata sul fare un movimento per volta e, finalmente, mi sono ritrovata in catena.

Abbiamo quindi proseguito sino al sesto tiro, sul quale sono partita abbastanza priva di aspettative e imponendomi di pensare ad un movimento alla volta: con mia sorpresa sono riuscita subito a fare il passo morfologico iniziale, che tanto mi aveva fatto penare, e anche i successivi ostici passi di placca. Mi sono quindi ritrovata alla fine della parte più difficile del tiro con davanti "solo" 30 metri di scalata più semplice ma abbastanza fisica: ho scalato quella seconda parte lentamente, sfruttando i riposi per concentrarmi sul respiro affinché la paura di fallire dopo aver fatto i passi più duri non prendesse il sopravvento e non mi portasse a commettere qualche errore. Ci siamo quindi ritrovati in cima al sesto tiro, alla fine dei tiri più difficili della via, intorno alle otto di sera, molto stanchi anche perché lo stile che abbiamo scelto di usare per questa salita (salire entrambi da primi i tiri sopra il 7b) rende tutto molto più laborioso.

Abbiamo quindi montato la nostra lussuosa portaledge gonfiabile e abbiamo cenato con dei gustosi panini, guardando con preoccupazione il radar meteo, che prometteva un temporale (fortunatamente non pervenuto). Dopo una notte pressoché insonne, durante la quale ho avuto molto tempo per ammirare le stelle e i satelliti che si muovevano a gran velocità sopra di noi, abbiamo ricominciato a scalare molto presto la mattina successiva.

Nonostante la seconda parte della via sia molto più semplice, ancora una volta è stato fondamentale concentrarmi totalmente sul presente: la stanchezza del giorno prima si faceva parecchio sentire e, in particolare, su due tiri ho dovuto dare fondo a tutte le mie risorse per venirne a capo, anche perché sentivo che, probabilmente, non avrei avuto le energie per fare più di un tentativo.
Ci siamo ritrovati in cima intorno a mezzogiorno, molto contenti e anche un po’ increduli che fosse davvero tutto finito. Mi sono resa conto di come, quel momento che avevo tanto voluto e sognato, il momento del successo, in fin dei conti scomparisse e fosse fondamentalmente irrilevante rispetto al viaggio che io e Martino avevamo appena concluso.

Un aspetto del quale sono particolarmente orgogliosa è la capacità che abbiamo avuto di supportarci a vicenda in questo viaggio. Il fatto di dover arrampicare al nostro meglio e, allo stesso tempo, supportare l’altro nell’arrampicare al suo meglio non è stato per nulla facile: per fare questo è infatti necessario un continuo spostamento dell’attenzione da se stessi all’altro. Tuttavia questo processo ha anche avuto per me il positivo effetto collaterale di aiutarmi a mettere le cose in prospettiva: fare in libera Elettroshock non era l’unica cosa che contava e il fatto di dovermi prendere cura anche dell’esperienza di Martino è stato un buon promemoria.

La mutua partecipazione emotiva è la cosa alla quale attribuisco più valore nella mia arrampicata: questa intensa partecipazione all’esperienza dell’altro consuma energia e, a volte, può costituire un peso. Tuttavia non ci rinuncerei per nulla al mondo, perché è ciò che per me rende l’esperienza davvero degna di essere vissuta. Sono molto grata della partecipazione emotiva che ho potuto vivere con Martino e, in questo senso, il fatto di essere entrambi riusciti a percorrere la via in libera lo stesso giorno, è stato un vero regalo!

di Caterina Bassi

Caterina ringrazia: Crazy Idea, Edelrid, Sherpa Mountain Shop




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