Caterina Bassi a Cadarese chiude The Doors
Prima di tutto una premessa. Quello che trovate di seguito non è il racconto di una prestazione (quelli veramente bravi un tiro come The Doors lo chiudono in pochi tentativi), bensì di un viaggio tutto personale.
Ho provato per la prima volta The Doors in top rope qualche anno fa per capire che, allora, era completamente fuori portata. A fine maggio di quest’anno mi ci sono invece riavvicinata con più convinzione. Il tiro mi è subito sembrato bellissimo e molto particolare per la varietà dei movimenti: è un tiro di fessura, ma propone anche movimenti più tipici dell’arrampicata "normale". Sin da subito mi sono accorta che i movimenti erano non solo bellissimi ma anche alla mia portata, sebbene molto duri. In particolare la prima parte, con i suoi larghi incastri di dita, era davvero ostica. Avevo la sensazione di poter cadere in qualsiasi momento e non riuscivo a rendere la sequenza ripetibile come solitamente succede quando provo un tiro in falesia.
Nonostante le difficoltà, nel corso del mese di giugno sono riuscita a realizzare dei buoni link. Nel frattempo, però, ho cominciato a sviluppare una vera e propria ossessione, come non mi era mai successo. Le settimane di giugno sono trascorse tutte nello stesso modo: lavoro, consultazione delle previsioni del tempo, organizzazione degli allenamenti e delle uscite in falesia in modo tale da non arrivare stanca a provare il tiro, infinita ripetizione mentale dei movimenti.
Insomma, cercavo di avere il controllo su tutto, comprese le cose che non potevo controllare. Nonostante fossi consapevole del fatto che il super controllo avesse come unico effetto quello di assorbire energie, ero completamente bloccata. Vedevo il problema ma non riuscivo ad uscirne. Non facevo altro che pensare al momento in cui avrei potuto tornare a provare il tiro e non riuscivo più a godermi quel "resto" che è così prezioso: le persone a cui voglio bene, le semplici corse serali sopra casa dopo una giornata di lavoro, così liberatorie, una passeggiata con un amica. Più agivo in questo modo e più perdevo il gusto di scalare su The Doors: il tiro mi appariva come un nemico e il mio unico pensiero era quello di chiuderlo, non di scalarlo.
Nel frattempo tutti i miei incubi hanno cominciato a realizzarsi: sono infatti caduta almeno cinque volte sull’ultimo movimento, ogni volta un centimetro più in alto, e nell’ultima di queste cadute mi sono distorta una caviglia. All’inizio mi sono sentita come se tutte le sfortune del mondo fossero capitate a me. In realtà, dopo un paio di giorni, il riposo forzato mi ha permesso di mettere un po’ di sana distanza e di iniziare a fare quello in cui sono meno brava: "lasciar andare".
Quando un mese dopo sono tornata a Cadarese mi sembrava di pesare cento chili meno. Sono di nuovo caduta sull’ultimo movimento ma la frustrazione di un mese prima è stata sostituita dalla gioia di essere riuscita a superare la paura di cadere nello stesso punto in cui mi ero infortunata. Un paio di giorni dopo, con il vento da Nord, sono finalmente riuscita a chiudere il tiro.
In fin dei conti credo che la distorsione alla caviglia sia stata una cosa "positiva" perché mi ha permesso di scardinare l’approccio che spesso ho quando affronto una salita per me difficile, ovvero intestardirmi e controllare ogni particolare. In questo caso ho dovuto fare una piccola rivoluzione: accettare semplicemente quello che accadeva.
Tra le cose che ho dovuto accettare con una caviglia distorta c’è stata anche la bicicletta, che solitamente odio, consigliatami dalla fisioterapista. Proprio durante una salita in bicicletta sopra casa mi è capitato di vedere un gatto, magrissimo, che gironzolava nel bosco vicino alla strada, molto lontano dalle case del paese. Il fatto mi è sembrato strano e insieme al mio ragazzo, Martino, siamo tornati più sere, armati di scatolette di cibo, per vedere se ci fosse ancora. Per quattro giorni abbiamo trovato il gatto puntuale all’appuntamento e il quinto giorno Martino è riuscito, con scatto felino, a rinchiuderlo nella gabbietta. Come dice Andrea Camilleri, "non siamo noi a scegliere un animale per compagno, ma è lui che sceglie noi e oltretutto fa in modo che ci si continui a cullare nell’illusione di aver agito di nostra libera iniziativa". Grazie quindi alla mia caviglia distorta e alla bicicletta, ora abbiamo un gatto, Zorro, che è già diventato il re della casa.
So che ci saranno altre occasioni (arrampicatorie e non) in cui la mia tendenza a controllare tutto si ripresenterà. Il viaggio su The Doors, però, mi ha insegnato che "lasciare andare" è una concreta possibilità che spero in futuro di saper cogliere senza esservi costretta da un infortunio. In fin dei conti è proprio il "lasciar andare" che mi permette di raggiungere con più leggerezza i miei obiettivi e, soprattutto, di godermi il viaggio.
di Caterina Bassi
Caterina Bassi ringrazia Sherpa Mountain Shop