Bhagirathi, il report della via di Nardi e Delle Monache
Daniele Nardi racconta l'esperienza vissuta con Roberto Delle Monache lo scorso settembre durante l'apertura de “Il seme della follia... (fa l'albero della saggezza)”, la loro nuova via tra il Bhagirathi III e IV (Garhwal, Himalaya, India).
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Su Il seme della follia... (fa l'albero della saggezza) aperta nel settembre del 2011 da daniele Nardi e Roberto Delle Monache sul Bhagirathi.
archivio R. Delle Monache / D. Nardi
“Il seme della follia... (fa l'albero della saggezza)” sale la sezione di parete tra i versanti Ovest del Bhagirathi III e IV raggiungendo la cresta sommitale, che unisce le due cime, a circa 200m dalla vetta del Bhagirathi III (6457m). Il tutto per 1250m di sviluppo e 1018m di dislivello di ghiaccio e misto con difficoltà proposte di WI5+, M6/7, A2/A3.
La via - che ha il primo tiro e forse anche il secondo in comune con la linea aperta nel 2010 dalla spedizione francese del GEAN, guidata da Christophe Moulin e Frédéric Gentet, per poi salire decisamente più a destra sul “bordo del Bhagirathi III - non hanno raggiunto la cima per le condizioni meteo inclementi, dopo il secondo bivacco hanno impiegato 14 ore per scendere lungo la parete est.
La salita è stata in qualche modo un “ripiego”, visto che il progetto era quello di ripetere Impossible Star (1300m, 6c A3+ 60°) la via aperta nel 1984 dagli spagnoli Juan C. Aldeuger, Sergio Martinez, José L. Moreno e Juan Thomás sulla parete Ovest del Bhagirathi III
IL SEME DELLA FOLLIA - Garhwal Indiano, tra Bhagirathi III e IV
di Daniele Nardi e Roberto Delle Monache.
Io e Roberto ci siamo conosciuti dieci anni fa sotto la Maiella in Abruzzo. Era uno di quei giorni di allenamento in vista della partenza per il Gasherbrum II. Noi eravamo i più giovani e nella spedizione c'era anche Silvio “Gnaro” Mondinelli. La spedizione per noi due andò male, Roberto fu costretto a fermarsi a 7300m ed io ancor prima. Oggi, seduto sul divano davanti al monitor del Mac, a qualche giorno dal rientro dalla spedizione in India cerco di fare un bilancio di ciò che ho vissuto nei giorni appena trascorsi. I numeri non sono sufficienti per raccontare l'esperienza ma danno una indicazione delle difficoltà incontrate, “Il seme della follia... (fa l'albero della saggezza)”, WI5+, M6/7, A2/A3, 1250m di sviluppo, 1018m di dislivello, 2 bivacchi in parete, 1 per l'avvicinamento, 52 ore di scalata e circa 14 per scendere per un totale di 66 ore e 4 giorni di impegno complessivo. Quando mi allontano da questi numeri, compaiono le emozioni ed il coinvolgimento totale che ho vissuto in quei quattro lunghi e straordinari giorni di alpinismo con il compagno di cordata perfetto.
Passate due settimane di maltempo abbiamo dovuto decidere di rinunciare allo sperone di roccia che ci eravamo prefissi di scalare, la via dei Catalani chiamata “Impossible star”. Avevamo già installato un campo deposito trasportando tutto il materiale da big-wall. In uno dei viaggi abbiamo visto quella linea di misto che ci ha colpiti. Nel mio bilancio emotivo rimangono ricordi intensi, fatti di sinergie, forza, tranquillità e grande impegno. Abbiamo condiviso una esperienza che va al di là della tecnica e lo stile in questo senso ci ha aiutato. Abbiamo trascorso ore a battere i denti nei bivacchi, non ci siamo risparmiati nell'essere utili l'uno all'altro, a caricarci sulle spalle quei chili in più per alleggerire il primo di cordata.
Sui pendii finali è caduta una slavina della durata di tre minuti. Roberto è rimasto ancorato alla parete senza battere ciglio. Le emozioni continuavano a turbinare nella neve che dopo aver investito lui hanno investito me una quindicina di metri più in basso in sosta. Forse ci siamo presi qualche rischio di troppo, ma a quel punto non avevamo altre scelte ed il cambiamento meteo non ci ha aiutato. Abbiamo stretto il nodo della corda e senza protezioni intermedie ne siamo usciti.
Non è importante se la via è difficile o facile, ma è l'esperienza che ci ha lasciato più ricchi e che ci ha fatto crescere dentro più consapevoli di ciò che siamo. Portiamo con noi qualcosa che sarà difficile spiegare fino in fondo, forse non lo vogliamo neanche. Abbiamo traversato i Bhagirathi salendo dalla parete ovest e scendendo per la parete est. Una parete est sconosciuta e verticale. Abbiamo salito una via mai scalata affrontando le difficoltà che man mano raggiungevamo. Questa in sintesi l'esperienza straordinaria che conserveremo nel nostro scrigno.
La parete può essere suddivisa in 4 sezioni. Tutte e quattro più o meno simmetriche per lunghezza, circa 300m, mentre sono molto differenti per difficoltà tecnica. La prima sezione è un pendio tra i 45 ed i 55 gradi su neve dura a volte ghiacciata. L' affrontiamo slegati fino a portarci sulla sinistra della strettoia iniziale dove siamo protetti dalle slavine e dove posizioniamo la sosta zero (S0).
La seconda sezione invece ha una pendenza media di circa 70/75 gradi con delle pance a 85/90 gradi. La difficoltà sta nella neve che non permette di proteggersi agevolmente. Non troviamo ghiaccio se non in rare occasioni, siamo costretti a proteggerci sui tratti di granito. In un paio di tratti l'arrampicata si fa molto delicata e impegnativa. Un tiro in particolare (L3) ci mette in difficoltà. Usciamo dalla seconda sezione con una conserva mal assicurata ed un tiro lunghissimo di traverso a destra ma su pendenze più contenute (L5, L6).
Arriviamo alla base della terza sezione e quindi al punto di bivacco (B1). Abbiamo atteso un paio di ore per far sì che le temperature si abbassassero e poi decidiamo di continuare. I primi due tiri sono i più duri (L7, L8). Inizialmente proviamo a fare un unico tiro di 60 metri. La scalata si presenta delicata con un primo rivolo nevoso largo pochi centimetri e verticale. Poi uno strapiombo che abbiamo affrontato in artificiale per arrivare al tratto più duro e di difficile interpretazione. Bisogna scavalcare un secondo strapiombo, breve ma con roccia di dubbia tenuta per arrivare alla base di un diedro di una decina di metri molto aggettante. Un primo tentativo mi richiede tre ore per superarlo. Salgo il diedro in artificiale con tratti in libera ma mentre si fa notte e comincia a nevicare riesco a raggiungere piantando due chiodi a foglia il bordo del diedro. Il primo chiodo a cui ero agganciato però viene via lasciandomi cadere nel vuoto per 8/10m. Decidiamo di fermarci per la notte (quota 5725m B1).
La mattina successiva ripartiamo e decido di non uscire dal diedro ma di provare a traversare verso sinistra. La neve sulla parete “snice” sembra essere abbastanza compatta. Faccio una sosta intermedia spezzando il tiro sotto il secondo strapiombo e recupero Roby (L7). Riparto (L8) e allungo la protezione sul dado che ha tenuto il volo la sera prima e con dei movimenti di misto riesco a superare lo spigolo per portarmi su neve migliore. I movimenti sono delicati per arrivare alla fessura in alto dietro lo spigolo dove riesco a proteggere bene ed a piazzare una bella sosta a friend. Il nono tiro non è difficilissimo ma continua ad essere in un ambiente decisamente delicato. Rischio un volo molto brutto per il distacco di una placca di ghiaccio. Poco più sopra riesco a piazzare una sosta e recupero il sacco con il cordino ausiliario. Qui Roby mi dà il cambio. Effettua un tiro molto bello (L10) che porta in direzione di una placca rocciosa verticale con neve troppo soffice per essere scalata. Devia a destra su una goulotte di ghiaccio molto buono e fa sosta sotto un altro strapiombo. Questa sorta di masso gigante che ci sbarra la strada è l'undicesimo tiro (L11).
Roby prova prima a salire verso destra, libera la base del risalto dalla neve polverosa. A destra però la fessura che solca il masso è troppo stretta. Prova a sinistra e piazza un primo friend rosso a cui si appende cominciando a salire in artificiale usando delle fettucce in Dynema che ci ha fornito Salewa. La progressione è forzatamente lenta, nevica e già da un po' sono cominciate a scendere le prime slavine dall'alto. Dopo un po' piazza una piccozza nella fessura e due friend contrapposti ad una lama staccata e con un movimento molto duro scavalca lo strapiombo con uno spostamento verso destra. Continua a traversare per uscire dietro uno spigolo. L'eccessiva neve lo costringe ad un lavoro esagerato per preparare una sosta degna di questo nome. Il tiro successivo (L11) non è difficile ma è impossibile da proteggere. Dopo 15/20 m non riesce ancora a mettere nulla mentre una slavina della durata di tre minuti lo investe. La slavina si riversa anche su di me e sulla sosta. Al termine del dodicesimo tiro non abbiamo altra scelta che provare a procedere senza mettere protezioni. Continuiamo a nuotare nella neve tracciando su pendii di 60/70 gradi e cercando i punti più adatti per proseguire.
Siamo nella quarta sezione. Risaliamo i canali di scolo delle slavine, non c'è altro modo di progredire, la neve è troppo farinosa. Sappiamo perfettamente che a questo punto non possiamo far altro che uscire verso l'alto, ma a volte ci prende l'angoscia che questa neve non ce lo permetta. Deviamo molto a destra e saliamo molto sopra il colle vicino al Bhagirathi IV a 6000m. Più tardi passo io di nuovo davanti. E' notte ormai già da tempo, la neve e la nebbia non ci permettono di vedere molto intorno a noi. A 5 metri dalla cresta tuttavia riesco ad intuire che sono arrivato. Devo prima scavare con le mani, poi battere con le ginocchia e poi ancora issarmi ficcando tutte le braccia nella neve. Per fare quegli ultimi 5 metri impiego mezz'ora. La nostra fortuna è stata che le cornici guardavano dall'altro lato. In cresta mi metto cavalcioni ed aiuto Roby a salire. Facciamo qualche metro rinunciando al Bhagirathi III e dirigendoci verso il lontano Bhagirathi IV. Siamo a 6178m e sono le 22 e 30. Vogliamo provare a continuare anche di notte ma siamo esausti e la neve non ci permette di continuare. Senza parlare, in un punto che sembra adatto, mi sposto sul lato est della parete e comincio a scavare una truna per bivaccare.
Il bivacco si rivela più scomodo del previsto e non riusciamo a toglierci gli scarponi, cosa che ci costerà una bella bollita agli alluci. Continua a nevicare e ci bagniamo completamente. Per la cena abbiamo un pacchetto di crackers a testa ed una barretta in due. Il giorno dopo tra le nuvole riusciamo ad intravedere una via di discesa alternativa alla discesa di Prezelj e compagni sulla parete ovest che però parte dal Bhagirathi IV. Continuare su questa cresta è impossibile e al primo risalto roccioso attrezziamo una sosta e cominciamo a scendere sulla parete est. Dopo alcune doppie verticali e strapiombanti cominciamo a traversare verso sinistra per andare a recuperare la cresta che scende dal Bhagirathi IV ma sulla parete est. Con qualche doppia corta e disarrampicando raggiungiamo la cresta da dove scendiamo velocemente di quota.
Ci resta da aggirare tutto il gruppo montuoso per raggiungere il campo base. Impieghiamo in tutto tra le 14 e le 16 ore ed arriviamo al campo base alle 22,00. Il cuoco e l'ufficiale di collegamento ci abbracciano e piangono. Passiamo la notte a massaggiarci piedi e mani ed a parlare. Alle 5 di mattina decidiamo di andare a dormire. Come dice Roby, tre giorni di grande avventura e di grandi emozioni da ricordare per tutta una vita.
di Daniele Nardi
Un grazie a chi ha reso possibile questa spedizione: Radio Monte Carlo, Salewa, Philips, Margutta, Sport85, MixInTime, Utopia2000, Grivel, Peace ed al programma ClimbYourself.com che ci ha aiutato a tirar fuori il meglio di noi.
>> I video di Il seme della follia... (fa l'albero della saggezza) - Bhagirathi
La via - che ha il primo tiro e forse anche il secondo in comune con la linea aperta nel 2010 dalla spedizione francese del GEAN, guidata da Christophe Moulin e Frédéric Gentet, per poi salire decisamente più a destra sul “bordo del Bhagirathi III - non hanno raggiunto la cima per le condizioni meteo inclementi, dopo il secondo bivacco hanno impiegato 14 ore per scendere lungo la parete est.
La salita è stata in qualche modo un “ripiego”, visto che il progetto era quello di ripetere Impossible Star (1300m, 6c A3+ 60°) la via aperta nel 1984 dagli spagnoli Juan C. Aldeuger, Sergio Martinez, José L. Moreno e Juan Thomás sulla parete Ovest del Bhagirathi III
IL SEME DELLA FOLLIA - Garhwal Indiano, tra Bhagirathi III e IV
di Daniele Nardi e Roberto Delle Monache.
Io e Roberto ci siamo conosciuti dieci anni fa sotto la Maiella in Abruzzo. Era uno di quei giorni di allenamento in vista della partenza per il Gasherbrum II. Noi eravamo i più giovani e nella spedizione c'era anche Silvio “Gnaro” Mondinelli. La spedizione per noi due andò male, Roberto fu costretto a fermarsi a 7300m ed io ancor prima. Oggi, seduto sul divano davanti al monitor del Mac, a qualche giorno dal rientro dalla spedizione in India cerco di fare un bilancio di ciò che ho vissuto nei giorni appena trascorsi. I numeri non sono sufficienti per raccontare l'esperienza ma danno una indicazione delle difficoltà incontrate, “Il seme della follia... (fa l'albero della saggezza)”, WI5+, M6/7, A2/A3, 1250m di sviluppo, 1018m di dislivello, 2 bivacchi in parete, 1 per l'avvicinamento, 52 ore di scalata e circa 14 per scendere per un totale di 66 ore e 4 giorni di impegno complessivo. Quando mi allontano da questi numeri, compaiono le emozioni ed il coinvolgimento totale che ho vissuto in quei quattro lunghi e straordinari giorni di alpinismo con il compagno di cordata perfetto.
Passate due settimane di maltempo abbiamo dovuto decidere di rinunciare allo sperone di roccia che ci eravamo prefissi di scalare, la via dei Catalani chiamata “Impossible star”. Avevamo già installato un campo deposito trasportando tutto il materiale da big-wall. In uno dei viaggi abbiamo visto quella linea di misto che ci ha colpiti. Nel mio bilancio emotivo rimangono ricordi intensi, fatti di sinergie, forza, tranquillità e grande impegno. Abbiamo condiviso una esperienza che va al di là della tecnica e lo stile in questo senso ci ha aiutato. Abbiamo trascorso ore a battere i denti nei bivacchi, non ci siamo risparmiati nell'essere utili l'uno all'altro, a caricarci sulle spalle quei chili in più per alleggerire il primo di cordata.
Sui pendii finali è caduta una slavina della durata di tre minuti. Roberto è rimasto ancorato alla parete senza battere ciglio. Le emozioni continuavano a turbinare nella neve che dopo aver investito lui hanno investito me una quindicina di metri più in basso in sosta. Forse ci siamo presi qualche rischio di troppo, ma a quel punto non avevamo altre scelte ed il cambiamento meteo non ci ha aiutato. Abbiamo stretto il nodo della corda e senza protezioni intermedie ne siamo usciti.
Non è importante se la via è difficile o facile, ma è l'esperienza che ci ha lasciato più ricchi e che ci ha fatto crescere dentro più consapevoli di ciò che siamo. Portiamo con noi qualcosa che sarà difficile spiegare fino in fondo, forse non lo vogliamo neanche. Abbiamo traversato i Bhagirathi salendo dalla parete ovest e scendendo per la parete est. Una parete est sconosciuta e verticale. Abbiamo salito una via mai scalata affrontando le difficoltà che man mano raggiungevamo. Questa in sintesi l'esperienza straordinaria che conserveremo nel nostro scrigno.
La parete può essere suddivisa in 4 sezioni. Tutte e quattro più o meno simmetriche per lunghezza, circa 300m, mentre sono molto differenti per difficoltà tecnica. La prima sezione è un pendio tra i 45 ed i 55 gradi su neve dura a volte ghiacciata. L' affrontiamo slegati fino a portarci sulla sinistra della strettoia iniziale dove siamo protetti dalle slavine e dove posizioniamo la sosta zero (S0).
La seconda sezione invece ha una pendenza media di circa 70/75 gradi con delle pance a 85/90 gradi. La difficoltà sta nella neve che non permette di proteggersi agevolmente. Non troviamo ghiaccio se non in rare occasioni, siamo costretti a proteggerci sui tratti di granito. In un paio di tratti l'arrampicata si fa molto delicata e impegnativa. Un tiro in particolare (L3) ci mette in difficoltà. Usciamo dalla seconda sezione con una conserva mal assicurata ed un tiro lunghissimo di traverso a destra ma su pendenze più contenute (L5, L6).
Arriviamo alla base della terza sezione e quindi al punto di bivacco (B1). Abbiamo atteso un paio di ore per far sì che le temperature si abbassassero e poi decidiamo di continuare. I primi due tiri sono i più duri (L7, L8). Inizialmente proviamo a fare un unico tiro di 60 metri. La scalata si presenta delicata con un primo rivolo nevoso largo pochi centimetri e verticale. Poi uno strapiombo che abbiamo affrontato in artificiale per arrivare al tratto più duro e di difficile interpretazione. Bisogna scavalcare un secondo strapiombo, breve ma con roccia di dubbia tenuta per arrivare alla base di un diedro di una decina di metri molto aggettante. Un primo tentativo mi richiede tre ore per superarlo. Salgo il diedro in artificiale con tratti in libera ma mentre si fa notte e comincia a nevicare riesco a raggiungere piantando due chiodi a foglia il bordo del diedro. Il primo chiodo a cui ero agganciato però viene via lasciandomi cadere nel vuoto per 8/10m. Decidiamo di fermarci per la notte (quota 5725m B1).
La mattina successiva ripartiamo e decido di non uscire dal diedro ma di provare a traversare verso sinistra. La neve sulla parete “snice” sembra essere abbastanza compatta. Faccio una sosta intermedia spezzando il tiro sotto il secondo strapiombo e recupero Roby (L7). Riparto (L8) e allungo la protezione sul dado che ha tenuto il volo la sera prima e con dei movimenti di misto riesco a superare lo spigolo per portarmi su neve migliore. I movimenti sono delicati per arrivare alla fessura in alto dietro lo spigolo dove riesco a proteggere bene ed a piazzare una bella sosta a friend. Il nono tiro non è difficilissimo ma continua ad essere in un ambiente decisamente delicato. Rischio un volo molto brutto per il distacco di una placca di ghiaccio. Poco più sopra riesco a piazzare una sosta e recupero il sacco con il cordino ausiliario. Qui Roby mi dà il cambio. Effettua un tiro molto bello (L10) che porta in direzione di una placca rocciosa verticale con neve troppo soffice per essere scalata. Devia a destra su una goulotte di ghiaccio molto buono e fa sosta sotto un altro strapiombo. Questa sorta di masso gigante che ci sbarra la strada è l'undicesimo tiro (L11).
Roby prova prima a salire verso destra, libera la base del risalto dalla neve polverosa. A destra però la fessura che solca il masso è troppo stretta. Prova a sinistra e piazza un primo friend rosso a cui si appende cominciando a salire in artificiale usando delle fettucce in Dynema che ci ha fornito Salewa. La progressione è forzatamente lenta, nevica e già da un po' sono cominciate a scendere le prime slavine dall'alto. Dopo un po' piazza una piccozza nella fessura e due friend contrapposti ad una lama staccata e con un movimento molto duro scavalca lo strapiombo con uno spostamento verso destra. Continua a traversare per uscire dietro uno spigolo. L'eccessiva neve lo costringe ad un lavoro esagerato per preparare una sosta degna di questo nome. Il tiro successivo (L11) non è difficile ma è impossibile da proteggere. Dopo 15/20 m non riesce ancora a mettere nulla mentre una slavina della durata di tre minuti lo investe. La slavina si riversa anche su di me e sulla sosta. Al termine del dodicesimo tiro non abbiamo altra scelta che provare a procedere senza mettere protezioni. Continuiamo a nuotare nella neve tracciando su pendii di 60/70 gradi e cercando i punti più adatti per proseguire.
Siamo nella quarta sezione. Risaliamo i canali di scolo delle slavine, non c'è altro modo di progredire, la neve è troppo farinosa. Sappiamo perfettamente che a questo punto non possiamo far altro che uscire verso l'alto, ma a volte ci prende l'angoscia che questa neve non ce lo permetta. Deviamo molto a destra e saliamo molto sopra il colle vicino al Bhagirathi IV a 6000m. Più tardi passo io di nuovo davanti. E' notte ormai già da tempo, la neve e la nebbia non ci permettono di vedere molto intorno a noi. A 5 metri dalla cresta tuttavia riesco ad intuire che sono arrivato. Devo prima scavare con le mani, poi battere con le ginocchia e poi ancora issarmi ficcando tutte le braccia nella neve. Per fare quegli ultimi 5 metri impiego mezz'ora. La nostra fortuna è stata che le cornici guardavano dall'altro lato. In cresta mi metto cavalcioni ed aiuto Roby a salire. Facciamo qualche metro rinunciando al Bhagirathi III e dirigendoci verso il lontano Bhagirathi IV. Siamo a 6178m e sono le 22 e 30. Vogliamo provare a continuare anche di notte ma siamo esausti e la neve non ci permette di continuare. Senza parlare, in un punto che sembra adatto, mi sposto sul lato est della parete e comincio a scavare una truna per bivaccare.
Il bivacco si rivela più scomodo del previsto e non riusciamo a toglierci gli scarponi, cosa che ci costerà una bella bollita agli alluci. Continua a nevicare e ci bagniamo completamente. Per la cena abbiamo un pacchetto di crackers a testa ed una barretta in due. Il giorno dopo tra le nuvole riusciamo ad intravedere una via di discesa alternativa alla discesa di Prezelj e compagni sulla parete ovest che però parte dal Bhagirathi IV. Continuare su questa cresta è impossibile e al primo risalto roccioso attrezziamo una sosta e cominciamo a scendere sulla parete est. Dopo alcune doppie verticali e strapiombanti cominciamo a traversare verso sinistra per andare a recuperare la cresta che scende dal Bhagirathi IV ma sulla parete est. Con qualche doppia corta e disarrampicando raggiungiamo la cresta da dove scendiamo velocemente di quota.
Ci resta da aggirare tutto il gruppo montuoso per raggiungere il campo base. Impieghiamo in tutto tra le 14 e le 16 ore ed arriviamo al campo base alle 22,00. Il cuoco e l'ufficiale di collegamento ci abbracciano e piangono. Passiamo la notte a massaggiarci piedi e mani ed a parlare. Alle 5 di mattina decidiamo di andare a dormire. Come dice Roby, tre giorni di grande avventura e di grandi emozioni da ricordare per tutta una vita.
di Daniele Nardi
Un grazie a chi ha reso possibile questa spedizione: Radio Monte Carlo, Salewa, Philips, Margutta, Sport85, MixInTime, Utopia2000, Grivel, Peace ed al programma ClimbYourself.com che ci ha aiutato a tirar fuori il meglio di noi.
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