Arrampicata e paralpinismo in Algeria. Di Marco Milanese
Il ribollire dello shisha risuona in tutto il campo, uomini affascinanti lasciano trasparire solo gli occhi dai loro turbanti e solo i piedi dalle loro tuniche. La loro pelle è nera ma la sabbia a volte la colora quasi di bianco. Noi siamo già nelle tende, domani ci aspetta un'altra giornata sulle aride pareti del Sahara algerino.
I giorni qui hanno un tempo diverso, le persone si muovono lente, le cose da fare sono poche. La sabbia è ovunque. Le pareti rocciose si alternano a qualche duna, un’infinità di torri svettano da canyon che appaiono dal nulla e pareti, che assomigliano a quelle dolomitiche, si perdono all'orizzonte.
Alla fine della gola dove siamo accampati vivono due famiglie in baracche fatte di mattoni, rami e immondizia. Il governo ha proposto loro di andare a vivere in città, a circa 2 ore di macchina, ma loro hanno rifiutato. Vivono completamente isolati, solo il figlio adolescente viene a farci visita assieme a capre, pecore, asini e galline. Non c'è gas, non c'è elettricità nè acqua nelle vicinanze. Vivono nel nulla, con nulla.
Noi scaliamo, saltiamo, esploriamo questi luoghi dal fascino preistorico dove contano veramente poche cose. Siamo i primi, a quanto pare, ad aver scalato e saltato a Essendilene, vicino a Djanet, a sud dell'Algeria. Altri hanno scalato, usando qualche spit (prontamente rubato da ignoti) ma non in questo canyon.
Questi luoghi aiutano a capire l'impermanenza delle cose, i disegni di 10.000 anni fa avevano giraffe ed elefanti perché qua c'era la savana, ora solo sabbia. Queste pitture rupestri sono testimoni dei grandi cambiamenti che ha vissuto il nostro pianeta, ma raccontano anche la tenacia dell’uomo, che riesce ad arrivare anche nei luoghi più inospitali della Terra e, con la flessibilità che lo caratterizza, ad adattarsi facilmente alle modificazioni ambientali.
A parte qualche raro arbusto e qualche albero non c'è vegetazione per chilometri, tuttavua la vista di alcuni oleandri in fiore ci fanno sembrare questo luogo vivo. Dietro l'angolo, a circa un'ora di cammino c'è l'acqua, una pozza sufficientemente grande ci da la possibilità di fare un tuffo… nel Sahara! Incredibile.
Arrivando qua abbiamo notato diverse tende di beduini e una base militare gigantesca, siamo d'altronde vicino al confine con Niger e al Mali, zone non proprio sicure.
Il fascino dell'immobile lascia spazio ad uccelli, lucertole giganti, simil-marmotte, scorpioni e serpenti che danno l'idea invece che questo luogo sia mutevole. La roccia è sporca, sabbiosa, tuttavia varie fessure danno la parvenza che i nostri amici meccanici tengano, quindi riusciamo a salire in cima a diverse torri e ad un estetico pilastro che ci regala un volo breve ma intenso dentro un canyon.
Un arco naturale di roccia apparso dal nulla diventa il nostro piccolo parco giochi, nel rispetto di questo luogo, non usiamo ancoraggi fissi, non lasciamo niente in parete. Lo stile che preferisco è questo, salire puliti e scendere volando.
Io scalo slegato l'arco per poi calarmi in centro per farmi scattare una bella foto, per fissare uno dei tanti momenti indimenticabili di questo viaggio. Gli altri intanto salgono lungo un camino che sembra scomparire nella parete ma invece prosegue al suo interno, riuscendo infine a sbucarne in cima. Torniamo al campo tutti ingialliti dallo sfregamento con la parete sabbiosa, dopo una scalata sembra più di essere stati in grotta che in parete.
La possibilità di essere i primi a saltare in Algeria ha il fascino dell'esplorazione, come gli alpinisti degli anni ‘50, qui scegliamo la via più semplice per arrivare sulle cime, la via normale, tra salti di roccia e canali, mentre altre volte cerchiamo appositamente le difficoltà per gioire dell'arrampicata più vera.
È difficile capire perché le persone vivano qui, tuttavia amano questa vita spoglia, hanno offerto loro case e istruzione gratis e loro hanno rifiutato, come ultimi baluardi di resistenza alla modernità, al progresso che spesso sembra togliere piuttosto che aggiungere e migliorare. Appaiono ai nostri occhi persone arretrate, semplici, ma forse sono solo testimoni di un'intelligenza diversa che ci sfugge.
Anche io con i miei sei compagni di avventura inglesi cerchiamo di capire questa semplicità, ma il fatto che non ci sia acqua rende tutto più sporco e difficile, le gole secche dopo una scalata e un salto con il paracadute (inizio forse di un nuovo capitolo per il mondo alpinistico) trovano poco ristoro, ma gli occhi sono pieni, pieni dell'immensità del nulla sahariano.
Grazie a Tim Howell e Marc Lambert per aver ideato questo viaggio. A Terakaft, l’agenzia algerina che ha organizzato alla perfezione tutta la logistica. E a tutti gli amici inglesi con cui abbiamo fatto questa esplorazione.
di Marco Milanese
Milanese ringrazia: The North Face, DF-sportspecialist, Atair canopies, Phoenix-fly, Monvic, Echo/neutra