Sulla Valeria: il Bianco, una goulotte e l'armonia del gruppo

Stefano Tedeschi per un giorno sul Petitt Capucin in compagnia di un'allegra brigata (Ballico, Gamberini e Chelini) per conquistar la Valeria... e rimirar il rosso tramontar sul granito del Gran Monte Bianco.
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Sulla Goulotte Valeria (Petit Capucin - Monte Bianco)
Planetmountain
La luce alta, assoluta del Monte Bianco invade il ghiacciaio attorno a noi, definisce le sue perfette geometrie e i profili selvaggi delle mille rosse guglie del Tacul. Un luogo primordiale, di una bellezza accecante si apre al nostro sguardo mentre respiriamo, in affanno, l’ossigeno duro dei 3000 metri. Quattro amici, molto assortiti, si muovono verso il bacino chiuso tra il Pic Adolphe Rey e la Piramide du Tacul. Le condizioni sono formidabili e trame di linee glaciali solcano, come reticoli di luce, i canali di granito.

L'obiettivo è salire la goulotte Valeria, un tracciato elegante, regalo dell'intuito del caro e mai dimenticato amico Giancarlo Grassi. Partiti dai soliti cementosi caselli autostradali di Verona, abbiamo perfezionato la nostra conoscenza durante il viaggio e un inquietante notte trascorsa sul furgone del Luca. Beppe Ballico è un “lagunare” di Mestre, mentre Andrea Gamberini “Nome di battaglia Gambero” proviene da un remoto lembo terrestre che corrisponde al nome di Faenza. Completa il vademecum biologico il terrificante Luca Chelini (creatura ibrida sconosciuto alla scienza ufficiale), e l'ormai decrepito scrivente,ambedue veronesi. Mai si era visto strisciare tra le montagne una simile varietà antropologica (però tra i più simpatici del pianeta).

Il Beppe è uno che vediamo poco, anche perchè è sempre a due o tre chilometri più avanti di noi. L'aspetto di questa creatura sembra umano ma è certamente fuggito da un centro di ricerca sperimentale dell'esercito. Si tratta in realtà di un sofisticatissimo cyborg, un ”B.P. 1000 RAMPICATOR” dotato di esoscheletro blindato, guida laser per gli attrezzi e acceleratore fotonico del passo! Andrea è quello più vicino all' ”Homo sapiens sapiens”, tranquillo ed estroverso è lì che suda come un cane e spara battute sui pendii di neve polverosa. Nella sua atrocità il Luca detto Chelini è l'essere più impressionante del gruppo, sfoggia, tra l'altro, un inaudito copricapo sotto cui si scorge qualcosa di difficilmente descrivibile. Infine ecco il martire di turno, il povero Tedeschi, che, già afflitto da rumori cigolanti alle giunture deve anche subire ogni sorta di insulti, epiteti e battutacce che provengono, in maggior parte dal rimbambito del Chelini.

Approdati alla terminale ci infiliamo i soliti stracci e ferraglie con il naso sollevato e gli sguardi stupefatti dalla stupenda linea di luce che, sopra di noi, solca le placche monolitiche del Petit Capucin. Parte il Ballico ululando, nella sua scia di condensazione, bruciando le mani al Luca che deve mollare la corda data la velocità di progressione dello stesso. Alcuni passaggi delicati sulla terminale poi una bellissima lunghezza sul ghiaccio poroso del conoide portano all'inizio della stretta goulotte. Qui i pendio si accentua in una colata a 70/75 gradi che con estetica arrampicata introduce direttamente all'anfiteatro superiore, dove il manto glaciale si infila in uno stretto canale bordato da compatte rocce grigie.

L'arrampicata è elegante, nel suo susseguirsi di movimenti armonici, mentre il ghiaccio areato e plastico garantisce il piacere di ogni movimento. Attorno l'ambiente è grandioso come solo il Monte Bianco sa regalare. La guglia terminale del Pic Adolphe Rey, alla nostra sinistra, è una grande fiamma rossa nel cielo d'acciaio della tarda mattina. Le lunghezze di corda si esauriscono tra bei rigonfiamenti e passaggi delicati nella strettoia di granito. Arrampicare così diventa l'essenza di quella felicità così rara da reperire nell'aridità del quotidiano. Perfino il Chelini, dotato di un rudimentale almanacco verbale, spara idiozie a tutto spiano sfoderando una faccia tagliata da un sorriso esteso da un orecchio all'altro.

La linea gelida che seguiamo termina su un'affilata selletta nevosa tra il Petit Capucin e il Pic Adolphe Rey. L'ultima luce solare ci saluta mentre iniziamo a scendere scivolando sulle corde. Sette lunghe calate ci restituiscono al candore del ghiacciaio. Una volta riuniti, tra urla disumane latrati e altri suoni meno definibili, pacche sulle spalle e strette di mano (il vile Chelini ha tentato di baciarmi sulla bocca) ci sentiamo veramente una piccola famiglia (ADAMS).

Recuperato l'armamentario ci avviamo, nella luce ormai crepuscolare dell'imminente tramonto, verso il rifugio e il “drammatico” colle del Flamboux” condanna e patibolo dei disgraziati che già sfiancati e supercotti devono superarne la pendenza e il dislivello. In cima all'odiato, perfido colle, l'ultima luce ci aggredisce spingendo la sua estensione cromatica sino al fluido rosso violaceo che ridipinge le guglie e le magiche ondulazioni della neve in un crescendo grandioso. La cupola sommitale del Bianco troneggia alta nel cielo serale, idealmente la salutiamo sapendo che torneremo presto a sognare nel cuore del suo regno.

Stefano Tedeschi

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