Battesimo sul Monte Bianco

Punta Lachenal al Mont Blanc du Tacul per la Goulotte Pellissier, una prima volta per Matteo Tommasini Degna insieme a Massimo Datrino...
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Matteo Tommasini Degna in uscita (Goulotte Pellissier, Punta Lachenal, Mont Blanc du Tacul)
Planetmountain
“Cosa facciamo domani” chiedo a Massimo, la guida con la quale appena ci conosciamo, ma con cui, per la sua fama, per i frangenti in cui ci siamo conosciuti e per quel legame che stabilisce la corda, mi sento molto sereno. Il desiderio e quello di fare un po’ di montagna vera: ghiaccio, misto, magari un avvicinamento con gli sci, e poi una bella sciata, il tutto in quota. “Potremmo fare una goulotte nuova alla Punta Lachenal nel gruppo del Mont Blanc du Tacul a quota 3600m, che anche io non ho mai fatto” mi risponde. Il programma è fantastico, non sto nella pelle, a dormire presto, ma un dormiveglia leggero per l’emozione.

La mattina pronti per le 07.00, bisogna andare a Chamonix, a prendere la prima funivia, 08,15 circa, e li i compagni d’oltralpe mi fanno capire che stiamo proprio indietro rispetto a loro, come cultura della montagna, come approccio. C’è subito una certa coda, tranquilla, ma la gente è parecchia, tutta attrezzata seria, che va a far ghiaccio ci saranno oltre 20 cordate, poi c’è chi scia fuori pista, chi fa telemark, ma tutti hanno un aspetto, di frequentatori della montagna nelle sue forme, e piuttosto rispettosi, quasi nessuno va con lo spirito della giostra che ormai contraddistingue le nostre piste, nessuno mostra un capo di abbigliamento o gli sci nuovi, qui si va in montagna!

Massimo incontra e conosce diversi alpinisti, hanno l’aria d'essere colleghi, e parlano di cose serie con una complicità particolare, loro, che qui ci vivono. La giornata è tersa, si fa fatica a trovare una nuvoletta, e non fa freddo, si sta bene in tutti i sensi. Arrivati in cima all'Aiguille du Midi, Massimo mi fa vedere e indica, “ quello è il Monte Bianco, poi il Cervino, il Rosa… è un panorama mozzafiato, ma sono troppo preso e concentrato su quello che dovremo fare, uno stato di leggero trans, aiutato dai 3800 che amplificano tutto. Entriamo in una galleria artificiale, poi, un corridoio di passaggio sulla neve esposto in cresta con una fune per tenersi, subito dopo ci mettiamo gli sci e in poche curve siamo alla base della goulotte.

Pochi attimi prima di noi una cordata di tre Francesi, guida più due clienti, attacca la via, peccato, qualche bel “tocco” di neve e ghiaccio l’hanno tirato giù, e anche un bel sassone che Massimo ha poi stoppato di piede, soffrendo un po’. Ci cambiamo gli scarponi, indossiamo i ramponi, tutto molto agevolmente, non c’è ne vento ne freddo particolare, ho un po’ paura di tutti questi cambi, preparativi: perdere o dimenticare qualcosa è facile, è una gita complessa, ricca, completa e un dettaglio sbagliato la può disturbare, quindi cerco di curare i particolari, mi mangio una mela e un pezzetto di parmigiano.

Il primo tiro ha una prima parte di neve dura ripida, e poi ghiaccio, duro, bello compatto, tac, tac, le picche sono dentro, crinch, crinch i ramponi mordono. Da lì in poi non mi sono molto guardato intorno, il cervello era completamente impegnato per cercare l’efficienza, e l’armonia nei movimenti. I cambi di mano, usare possibilmente gli stessi buchi fatti da Massimo, e essere silenzioso, la salita è bellissima, quel giusto di difficoltà che tiene alto l’impegno, ma ti permette di godere dell’armonia dei movimenti. Se poi riesci a staccare quei neuroni che sentono la fatica sui gastrocnemi (i muscoli ‘gemelli’ del polpaccio) ancora meglio. Si perché i movimenti non sono molto vari, tranne quando il canalino di roccia si restringe e riesci a spaccare un pò e usare i piedi in modo diverso.

Si fa anche un tiro lungo di 60 metri circa, con un pezzo di conserva, lo prendo come un atto di fiducia, in realtà se scivolo, probabilmente Massimo mi tiene alzando una spalla. Poi un pezzetto di roccia, che non deve essere proprio banale perché Massimo ci parla un pochino, un paio di friend e via. Sbuchiamo a una sosta in cresta che per me è mozzafiato. La fatica fatta sul ghiaccio nel canalino, la quota e lo spettacolo sono esilaranti, arriva l’euforia. Qualche passaggio di cresta, in cui mi sento elegante (l’importante è sentirsi…) ed è finita: siamo in cima. In pochi attimi camminiamo sulla neve dura e… deglutisco, quando mi rendo conto di dover scendere da un pendio che a me pare decisamente troppo ripido. Da solo avrei fatto una doppia, senz’altro sarei sceso scalinando. Massimo mi fa: “Tranquillo, faccia a valle poggia tutta la pianta e tutte le punte dei ramponi”, ci provo, ma diverse volte mi interrompo, respiro profondo, mi rendo conto che da solo scivolerei e farei un paio di cento metri sulla schiena, ma dietro c’è chi mi tiene al guinzaglio. Tenuto fisicamente, senza mezzi meccanici, solo di, sensibilità, forza ed esperienza. Questo ha del fantastico e cosa darei per saperlo fare.

Siamo agli sci, cambio scarpe, sigarettina per Massimo e via per la discesa sulla Mer de Glace, altro mondo fantastico, scendi in mezzo ai crepacci, credo che siano alti quei 10-20 metri che si vedono e invece Massimo mi dice che li ci sono spessori molto importanti di ghiaccio. Allora, aiutato dall’alto livello di endorfine, percepisci che lì c’è una vita che ha visto i dinosauri, lì ci sono millenni di storia, poi il letto del ghiacciaio sceso di 100 metri in un secolo ti fa capire con un po’ d’angoscia che forse certi uomini del Texas stanno distruggendo tutto.

Incontriamo una coppia di pazzi che aveva l’aria di aver preso poco più del campetto scuola, con giacchina a vento attillata sui fianchi, chiedono informazioni un po’ impauriti, Massimo gli parla con calma con l’aria di quello che ne ha tirati fuori tanti e non vorrebbe tirarne fuori altri due. Per fortuna c’è un sacco di gente e seguendo le tracce è tutto facile e ottimale.

Non c’è molto tempo, i quadricipiti gridano pietà e perdono, sotto un discreto zaino, scendo a perder quota. In fondo, ciliegina, una scalinata massacrante per arrivare al trenino che ci porta a Chamonix. Lotto con fatica per non essere superato da una francese con relativa guida, insieme facevano un secolo e mezzo, ma caspita se camminavano.

Matteo Tommasini Degna

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