Scialpinismo nelle montagne del Mar Nero, Kaçkar Dagi

Il racconto di Anna Picard della sua settimana di scialpinismo nelle montagne del Kaçkar Dagi in Turchia.
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A parte un topino che scorazza sulla neve per niente spaventato dalla nostra presenza, non incontriamo anima viva, abbiamo la montagna tutta per noi e in discesa ci divertiamo a filmarci ridendo felici come bambini
Anne Picard
"The seat next to me remained empty…Anne where are you, we are worried"

Così, con questa invocazione preoccupata, inizia la mia nuova avventura in Turchia. Parto prestissimo da Bolzano arrivando con largo anticipo a Monaco dove mi aspetta l’aereo per Istanbul, ma purtroppo il decollo viene ritardata e così, in Turchia, perdo il volo interno per Erzurum. E adesso? Fortunatamente si tratta della la stessa compagnia aerea e quindi hanno l’obbligo a trovarmi un imbarco per il giorno seguente sul primo volo disponibile e a procurarmi una sistemazione in albergo per la notte. Potrebbe sembrare una situazione risolvibile con il minimo disguido ed invece i contrattempi non finiscono qui. Infatti si rende necessario recuperare il bagaglio perché nel malaugurato caso, del tutto possibile, che il mio materiale dovesse restare in deposito ad Istanbul, dovrei dichiarare la mia avventura sci alpinistica definitivamente conclusa. Ma nel tentativo di recuperare i bagagli dallo scalo internazionale e fare il check-in per i voli interni accade di tutto, tanto che mi viene il sospetto di essere l’ inconsapevole vittima di una ripresa delle Candid Camera. Se all’inizio sembra andare tutto nella giusta direzione avendo trovato una sistemazione in albergo e recuperato il bagaglio, a causa dei mille passaggi che i mie documenti subiscono tra i vari addetti nei tanti desk, il mio nuovo boarding pass viene perso, stesso destino tocca alla prenotazione dell’albergo e perfino al mio il passaporto. Io nel frattempo finisco in mezzo ad una comitiva di trenta arabi alterati, per usare un eufemismo, che come me hanno perso il volo. Alla fine, per fortuna o volontà divina, vengono recuperati tutti i documenti – boarding pass dal cestino delle immondizie – e con un pulmino strapieno di turchi e bagagli che mi arrivano in testa al primo semaforo rosso, si parte per l’albergo in centro dove mi ritrovo fra gli stessi arabi ancora, per dirla tutta, incazzati e in tutta quella confusione riesco perfino ad afferrare una cena. Dopo una notte troppo breve arrivo senza altri intoppi ad Erzurum dove però non mi aspetta nessuno! Con una telefonata riesco a chiarire la situazione: il resto del gruppo sta caricando la macchina e passeranno a prendermi più tardi, non mi resta che mettermi al sole a guardare il panorama, un altipiano brullo a 1800m con montagne innevate a 360 gradi.

E finalmente ecco i miei compagni d’avventura arrivano: Vedat, con il quale ero in Cappadoccia due anni fa, che mi saluta calorosamente e mi presenta Joe e Nigel, suoi amici inglesi residenti in Turchia da tanti anni che avevo conosciuto solo via mail nella fase di preparazione del viaggio. Carichiamo il mio materiale e mezz’ora dopo siamo a 2500m presso gli impianti di Palandöken, le montagne di casa di Erzurum. Prepariamo gli zaini, ci cambiamo e si parte per la prima salita di affiatamento. Saliamo tranquilli lungo il bordo pista ma non passiamo inosservati. Qualcuno ci ferma, ci da il benvenuto in Turchia e chiede il funzionamento degli attacchi, delle pelli ecc.. Qualcun altro addirittura chiede di poterci fare una foto, evidentemente siamo molto esotici! Dopo un primo tratto riusciamo a deviare dalla pista per raggiungere un pendio che ci porta in vetta a 3250m con un bel panorama su una distesa di montagne bianche più basse e alle spalle la città con la catena delle Kaçkar o Black Sea Mountains che fanno da cornice. Una discesa divertente su neve soffice riportata e così, troppo presto, siamo di nuovo giù alla partenza dove invece la neve è inconsistente a causa del calore, tecnicamente una pappa! Incontriamo qui un gruppo di donne con il chador che anche loro, gentilmente, ci danno il benvenuto e vogliono sapere da dove veniamo. Non c’è che dire, quello turco è certamente un popolo accogliente e curioso.

Mi guardo in giro e sono un po’ preoccupata, non c’è molta neve come mi aveva anticipato Vedat nelle settimane precedenti alla partenza e sui versanti a sud la copertura comincia a 2500m, molto in alto. Prevedo lunghe salite con gli sci in spalla, ma per fortuna questa si rivelerà una paura infondata.

Torniamo in città per un pranzo a base di kebab e per fare la spesa: compriamo una quantità infinita di frutta secca e leccornie locali da utilizzare durante le gite e un po’ di birre e frutta per il terzo tempo. Alle 16 siamo pronti per partire per Yaylalar, la nostra base d’appoggio per l’intera settimana. Superando un passo di 2100m scendiamo verso un grande lago artificiale e la strada si riduce da quattro a due corsie e al bivio per la cittadina di Yusufeli troviamo grandi lavori in corso: un tunnel, una strada nuova…Mi domando a cosa possa servire tutto questo visto che il governo turco ha deciso che per la produzione di energia elettrica verrà costruita in quest’area una diga sul fiume Çoruh con conseguente lago artificiale che sommergerà Yusufeli (20.000 anime). Vedat ci racconta che qui lui organizzava numerose settimane di rafting poiché il fiume offre rapide tra le più belle del mondo che arrivavano anche al grado V di difficoltà ma adesso non ci vuole più andare poiché il confronto con la situazione attuale rende tutto troppo triste. Yusufeli è una cittadina vivace a 500m di altitudine con un microclima particolare, ci sono bellissimi orti e frutteti lungo il fiume che noi riusciremo ad ammirare solo al ritorno perché nel frattempo è calata la notte. Procediamo quindi al buio su una strada che, una volta fuori città, diventa sterrata e purtroppo foriamo una gomma. La squadra si fa subito compatta ed efficiente: fuori le pile frontali e in 15 minuti abbiamo scaricato, cambiato la ruota e ricaricato la macchina. Un piccolo inconveniente che ha invece avuto il merito di creare il giusto clima tra noi. Mezz’ora dopo arriviamo a Yaylalar dove troviamo subito la nostra pensione Çamyuva. I gestori ci accolgono con grande cortesia e ci invitano subito a tavola per la cena, avendo così il tempo di preparare le camere. Abbiamo prenotato con due mesi d’anticipo ma la casa è piena ed inoltre trovare una sistemazione per una donna crea qualche problema. Per Joe e Nigel la camera è pronta ma per me si renderanno necessari alcuni spostamenti. L’ospitalità turca impone di far spazio all’ospite straniero, ne ho già avuto esperienza e quindi a farne le spese sarà un accompagnatore turco del gruppo dei Belgi ospiti della casa, il quale viene trasferito d’ufficio sul divano, liberando così una camera con bagno e doccia calda tutta mia! Vedat sarà meno fortunato e finirà nella dependance estiva senza riscaldamento.

La mattina dopo ci svegliamo con la neve che viene giù fitta come da previsioni meteo. Consumiamo una colazione fantastica nella miglior tradizione turca e con calma ci prepariamo. Siccome la visibilità è scarsa decidiamo per un giro di ricognizione con gli sci nel fondovalle, tanto per orientarci un po’ sperando che la visibilità migliori per riuscire a vedere qualcosa in più. Dopo aver percorso circa 6 km e un dislivello di soli 300m, con qualche chilo di zoccolo di neve formatosi sotto gli sci, arriviamo all’ultimo villaggio in fondo alla valle Olunglar, dove d’inverno abitano solo tre persone che gestiscono un’altra piccola pensione. La strada normalmente è percorribile in macchina, ma ora è chiusa e resterà così sino a quando, tre giorni dopo, verrà chiamato lo spazzaneve per permettere a cinque americani di scendere. Superato il villaggio continuiamo sulla destra orografica ma il pendio si fa più ripido e a causa della scarsa visibilità non vediamo cosa abbiamo sopra la testa, inoltre i numerosi blocchi di neve dura che sono scivolati dai pendii circostanti ci fanno intuire la presenza di canaloni ripidi. Visto che siamo in fase ricognitiva decidiamo di creare un blocco di slittamento per farci un’idea di come sia strutturato il manto nevoso. Il risultato dell’osservazione è che in un metro di neve sono presenti almeno nove strati compatti ben legati e isotermi che poggiano su 20 cm di brina di fondo coperta da uno stenterello di ghiaccio. Saltando più volte sul blocco riusciamo a provocarne il distacco così come ci aspettavamo. Decidiamo che può bastare e quasi spingendo in discesa torniamo a Olunglar dove ci fermiamo a bere una tazza di tè nero. Questa pianta viene coltivata proprio in questa regione, sul versante nord della catena e lo troviamo sempre pronto ovunque in grandi quantità e sempre molto buono.

Il giorno successivo ci svegliamo con un bel sole ma gli inglesi con la loro tipica flemma non hanno fretta, impegnarsi va bene ma prima di tutto sono in ferie! Dopo la colazione partiamo puntando verso un bosco posto direttamente dietro il villaggio. Non esistono mappe dettagliate della zona e quindi ci muoviamo per tentativi avendo a disposizione una fotocopia di una mappa disegnato a mano (!) e l’ausilio di Google Earth. Il bosco scelto però ha poca neve e si fa sempre più ripido, rischiamo di fare danni agli sci e senza sci si scivola. Ma dalla nostra posizione vediamo partire una traccia dalla parte alta del villaggio, un sentiero che si addentra in una stretta gola e quindi decidiamo di scendere e riprovare da quella parte. Seguendo il fiume e attraversandolo un paio di volte, riusciamo a risalire la valle che finalmente si apre dopo aver superato un ultimo ripido pendio con numerose svolte. Davanti a noi il panorama si fa spettacolare. Sulla cresta erbosa sopra di noi scorgiamo il gruppo di Belgi che hanno faticosamente risalito una valletta parallela e per fortuna decidono di scendono dal medesimo versante, lasciandoci il pendio di neve vergine per una entusiasmante sciata. E’ già tardi, la falsa partenza ci ha fatto perdere almeno un’ ora, le nuvole stanno scendendo come da previsione e decidiamo di fermarci a 2500m. In salita abbiamo aperto traccia io e Vedat, in discesa va in avanscoperta Nigel con le sue curve eleganti da telemark. Più o meno alle tre del pomeriggio tutti rientrano nella guesthouse: noi, il gruppone di Belgi con le loro due guide e i tre tedeschi che sono qui per preparare un servizio per una rivista.

Il giorno seguente ci svegliamo con 15 cm di neve fresca caduta in paese durante la notte e una mattina che si presenta di nuovo limpida. In programma c’è la salita ad un passo quotato a 3150m fra Beytepe e Kanucar Tepesi. Una salita facile e sicura che ci garantisce una bella sciata e un bel panorama su Kaçkar che con i suoi 3900m è la montagna più che dà il nome al gruppo montuoso che fa parte del sistema dei Tauri. Come ogni giorno, anche oggi attraversiamo il paese e come ogni giorno incontriamo cani sempre diversi, per fortuna mansueti, che ogni tanto ci accompagnano per un pezzo, invitandoci a giocare. L’attraversamento del paese ci permette di scoprire dettagli sempre nuovi: qualche casa armena in pietra abbandonata in mezzo alle case turche di legno, la stalla isolata con lo sterco delle mucche, un paio di sci rudimentali, i vestiti pesanti appesi a fianco della porta, pitture particolari ed un cartello buffo per il quale scatta immediatamente la voglia di immortalarci insieme con un "selfie" di gruppo. Con la neve fresca sono l’unica che non accumula zoccolo sotto gli sci e quasi automaticamente mi trovo a battere la traccia per tutta la salita. A parte un topino che scorazza sulla neve per niente spaventato dalla nostra presenza, non incontriamo anima viva, abbiamo la montagna tutta per noi e in discesa ci divertiamo a filmarci ridendo felici come bambini.

Ancora un altro giorno variabile, il meteo dà mezza giornata di bel tempo e poi in peggioramento. Avevo tentato di convincere i compagni a partire un’ora prima ma niente da fare e così mi ritrovo alle otto meno un quarto fuori dalla pensione con lo zaino in spalla e con Vedat che ride sotto i baffi perché dei due inglesi non c’è nessuna traccia. Mi consolo con i quattro gatti che si crogiolano sulla panca al sole e finalmente dopo un quart’ora si parte. Viste le previsioni stiamo più vicini al villaggio e subito dopo un ponticello cominciamo a salire. Entriamo nella valle percorrendo un versante con pendenza costante fino in cima, ideale per una salita con ampi zig-zag ma che in discesa presenta divertenti tratti un po’ più ripidi. Visto che ho tanta fretta, i miei compagni mi lasciano andare, ma il brutto tempo arriva prima di me. A 50m dalla cima, a quasi 3000m, decido di fermarmi e faccio appena in tempo a prepararmi per la discesa quando la bufera ci investe. La visibilità è ancora sufficiente per divertirsi, anche se sta già nevicando. Gli altri gruppi arrivano alla base tutti più tardi e bagnati fino alle mutande. Visto che avevano pulito la strada sono andati a Olgunlar in macchina ma hanno dovuto fermarsi alla prima curva fuori dal paese per mettere le catene perché era tutto ghiacciato, accumulando così un notevole ritardo sulla tabella di marcia e finendo tutti sotto la bufera. La sera scambiamo foto e filmati e vediamo le foto dei tedeschi che oggi hanno percorso lo stesso passo che noi abbiamo raggiunto il giorno precedente: le loro foto fanno sembrare quella una gita spettacolare, proprio da rivista patinata.

Il giorno seguente sarà il nostro turno per provare la stradina ghiacciata. Vedat non è minimamente preoccupato poiché è abituato a guidare su strade sconnesse e poi la macchina monta pneumatici invernali. Purtroppo non si tratta del suo solido Land Rover ma di una Fiat Doblò con gomme termiche consumate. Tuttavia l’abilità dell’autista è il punto di forza della nostra dotazione tecnica ed in retromarcia riesce a superare senza problemi e con facilità la temibile rampa fuori dal paese. Vedat ci accompagna a Olgunlar ma decide di non salire con noi a causa delle vesciche sui talloni che ormai sono delle piaghe aperte e gli impediscono di calzare gli scarponi. Comincio a sentire lo scarso allenamento di quest’anno e le cinque gite di fila nelle gambe. Nigel si fa avanti ed è fortunato, oggi siamo preceduti dagli americani che quindi ci battono la traccia. Nel canalone però scegliamo il lato destro per salire mentre loro optano per quello sinistro e questo li obbligherà ad attraversare in un altro punto costringendoli a perdere il vantaggio conquistato. Purtroppo è una valle chiusa, contornata da pareti rocciosi e canaloni ripidi coronati da bei cornicioni da vento. I canaloni sono molto invitanti ma qui un errore di valutazione lo si paga caro poiché il soccorso organizzato esiste ma viene al più presto il giorno dopo. Ci accontentiamo quindi di un’altra bella sciata in neve fresca divertendomi nel canalone a forma di half pipe. Troppo presto arriviamo in vista del paese dove vediamo Vedat in mutande che prendere il sole sulla neve! Ci invita a seguire il suo esempio ma noi abbiamo tutti e tre la pelle chiara, neanche morta! (pudore a parte, anche se il muezzin chiama solo due volte al giorno, siamo pur sempre in una valle con popolazione musulmana praticante). Troviamo anche noi delle sedie e ci rilassiamo al sole, per poi decidere di concludere la giornata con una bella ricerca ARTVA!

Ultimo giorno. Joe e Nigel partono per l’ultima gita mentre Vedat ed io, dopo averli accompagnati in macchina fino a Olunglar, ci dirigiamo nella direzione opposta per andare a visitare una chiesa georgiana del ‘900 che si trova a metà strada fra Yaylalar e Yusufeli. La chiesa è chiusa ed è in uso come moschea, ma il contadino che ha una piccola pensione lì vicino custodisce la chiave e ci permette di entrare a visitarla. Gli affreschi sono stati coperti quindi resta soltanto l’architettura da ammirare: un vero cattedrale nel deserto. Vedat conosce il contadino per averlo incontrato durante un trekking estivo e l’uomo ci invita per un tè e poiché l’ospitalità non si può rifiutare mi trovo alle undici a consumare una seconda colazione per la quale il padrone di casa ci preparerà perfino una specialità locale, il muhlama una specie di fonduta molto buona ma molto consistente. La digeriremo con una bella battaglia di palle di neve andando a cercare Joe e Nigel che troviamo già sulle sedie a prendere sole.

Partenza all’alba per il viaggio di ritorno, con il consenso degli inglesi questa volta. Abbiamo preferito restare a dormire a Yaylalar alla guesthouse dove la gentilezza dei gestori ci ha reso il soggiorno molto piacevole, piuttosto che spostarci in città avvantaggiarci nell’orario. Portiamo giù anche i nostri rifiuti perché in paese non c’è un servizio di raccolta e smaltimento e si rischia che tutto venga bruciato o peggio buttato nel fiume. Quindi li portiamo fino a Yusufeli dove ci sono i cassonetti sulle strade. Scendendo vediamo lo splendore della valle che all’andata avevamo percorso al buio e ancor più ci rattrista l’idea del futuro che il governo turco ha in mente per questa zona sacrificata per la crescita economica del paese. Le montagne intorno al passo che precede Erzurum sono molto più bianche rispetto al nostro arrivo, ma non durerà molto, una settimana calda è in arrivo. Ci aspetta un volo interno parallelo alla costa con ottima visibilità che ci permette di scorgere in lontananza, a quasi 700km verso nordest, l’Elbrus. Arrivati ad Istanbul Joe e Nigel salutano e corrono verso il transfer, hanno un volo subito verso sud. Vedat resta in città per concordarsi con dei clienti per una settimana di rafting ed io, al contrario all’andata, ho una lunga attesa per il volo per Monaco. Vedat mi propone un giro in città, non sono molto convinta ma alla fine decido di provare per poi finire prontamente in una manifestazione, come due anni fa. Vedat chiama un amico per chiedere cosa stia succedendo: Erdogan è in città per parlare alla gente, siamo in piena campagna elettorale e lui ha appena messo al bando Twitter e YouTube. La situazione è esplosiva, meglio stare alla larga! Saluto Vedat e faccio ritorno in aeroporto: Istanbul proprio non mi vuole ma prima o poi ce la farò a visitarla!


INFORMAZIONI UTILI

Periodo migliore: Le Kaçkar Mountains sono note per il brutto tempo e le precipitazioni abbondanti. A gennaio e febbraio fa molto freddo ed è molto frequentato da chi pratica heliski sul versante NO della catena, con base a Çamlihemşin, un paesino raggiungibile da Ayder. Ma quando la nebbia viene su dal mare si spostano a Yaylalar. Le distanze da NO sono troppo lunghe per raggiungere le montagne a piedi. In aprile è troppo caldo è piovoso, marzo è il mese con il tempo migliore ed è il mese più adatto allo sci alpinismo. Quest’anno era relativamente mite con poca neve, normalmente la copertura è migliore. Trekking e MTB: da metà agosto a metà settembre. Esiste una mappa turistica poco dettagliata con i percorsi mtb e trekking, ma sono percorsi difficili ed è facile perdersi. Si trovano numerose pensioni semplici sparpagliate sul territorio. Ci sono alcuni siti attrezzati per il campeggio ma la presenza dell’orso bruno impone di prendere le dovute precauzioni.

L’aeroporto più vicino è Erzurum, calcolare minimo 3 ore ad Istanbul per ritardi (io ho avuto un ritardo sia all’andata che al ritorno), la dogana e la distanza fra i due terminal. Attenzione, ci sono voli anche dall’aeroporto nuovo ma i collegamenti sono meno frequenti ed è fuori città. Se si vola con Turkish Airlines il trasporto degli sci è gratis ma dirlo quando si prenota il biglietto. Bagagli permessi 30 kg. Idealmente conviene pernottare ad Erzurum o arrivare con il primo volo e sfruttare il primo giorno per sciare a Palandöken (buoni alberghi alla partenza del comprensorio).

Trasporto: Noi avevamo un Fiat Doblò a nolo. Assicurarsi che la macchina sia fornita di gomme termiche e catene. Le barre portasci non erano in dotazione ma sono state fornite dal nostro amico turco Vedat. Ci avevano dato la macchina praticamente con il serbatoio vuoto, una cosa non troppo simpatica. La strada dopo Yusufeli è sterrata ma tenuta bene ed è in genere abbastanza larga. Evitare di guidarla al buio, noi abbiamo forato, qualcun altro ci ha lasciato il fondo della macchina. Calcolare circa 4 ore da Erzurum fino a Yaylalar (ca. 180 km).

Pernottamento e rifornimenti:
Pansion Çamyuva a Yaylalar (tel. +90 534 452 14 31 o +90 466 826 2071), full pension 100 TL
Olgunlar Pansion, Olgunlar
La pensione fornisce colazione e cena, pranzo se si rientra presto o un pranzo al sacco da portare via. Hanno anche un minimarket dove si trova Coca Cola, patatine e birra.
Le camere sono riscaldate e dotate di bagno e doccia con acqua calda, in soggiorno c’è Wifi ad uso gratuito. Colazione a buffet, cena varia ed abbondante, tutto di ottima qualità. Tè a volontà tutto il giorno.
Ad Erzurum si trovano vari negozi per comprare frutta secca, frutta fresca al mercato, birra al supermercato Migros e naturalmente anche un Kebab non può mancare! Tutt’altra cosa dei panini che vengono spacciati per Kebab in Italia!

In montagna c’è buona copertura telefonica e segnale internet. Numero di emergenza 112, ma i soccorsi arrivano il giorno dopo, se va bene. Come già detto non esistono mappe dettagliate della zona ma può essere utile l’uso di Google Earth.
Meteo: noi abbiamo trovato abbastanza affidabile www.mountain_forecast.com/peaks

LOGISTICA
Ci sono varie agenzie locali che forniscono la logistica ma i loro accompagnatori non sciano.
Gli unici che ho trovato in grado di fornire accompagnatori "guide" sono: www.skiararat.com e www.alpinturkey.com Attenzione, anche se hanno tanta esperienza e riconoscimenti a livello nazionale, in Turchia non ci sono guide UIAGM.
Noi ci siamo organizzati con Vedat Vural che avevo conosciuto in un precedente viaggio di sci alpinismo come uno dei pochi sci alpinisti turchi. Vedat ha una attività, Alternatif Outdoor (www.alternatifoutdoor.com) a Mügla, ma organizza attività in tutta la Turchia e anche fuori. Lui è qualificato per rafting, kayak e seakayak, ma organizza anche giri di mtb e trekking. Parla bene l’inglese e un po’ di tedesco, ma non l’italiano e racconta con entusiasmo e passione le tante cose che sa della cultura del suo paese, con un occhio a riguardo per l’ambiente. E’ un ottimo e allegro compagno di viaggio, la logistica era perfetta e lui ha una buona preparazione sci alpinistica ma non è una guida alpina, bisogna essere autonomi nella valutazione del terreno e del pericolo di valanga.




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