Scialpinismo in Bolivia, esplorando le montagne della Cordillera Real
Perché la Bolivia? Questa è la prima domanda che ci hanno posto tutti quelli che hanno saputo della nostra piccola spedizione. La Bolivia non è meta prediletta degli scialpinisti: non esistono impianti di risalita, poche le relazioni consultabili rispetto agli itinerari percorribili, complicata la logistica, ancora più complicate le eventuali operazioni di soccorso e, ultimo ma non meno importante, le guide alpine boliviane non prevedono un “modulo sci” nella loro formazione e sono poco avvezzi a questo tipo di discese. Insomma, tutti gli ingredienti giusti per una bella avventura!
Iniziamo ad interessarci ed informarci sul clima, le stagioni, su quando potrebbe essere il periodo migliore di innevamento per lo scialpinismo, la geografia, la fattibilità di salite e discese... Scopriamo ben presto che quasi tutte le cime presentano due nomi, uno in spagnolo e uno in aymara, e che, spesso, anche le quote riportate sulle carte non sono precise. Le emozioni si mescolano e le domande si moltiplicano. Ce la faremo? Non abbiamo supporto esterno a parte quello delle nostre famiglie e dei nostri amici, niente sponsor. Non siamo professionisti della montagna ed entrambi abbiamo altri lavori da portare avanti. Abbiamo però dalla nostra la forza di un sogno e l’emozione della scoperta. Questo vale tutti i nostri sacrifici!
Un grandissimo aiuto lo abbiamo avuto dalle splendide persone che fanno parte della “Cordillera Experience” ed un grazie particolare va a Miriam e Daniele che ci hanno dato una mano ad organizzare e pianificare il viaggio. La “Cordillera Experience” è uno dei progetti che orbitano intorno alla missione di Peñas, un piccolo villaggio a circa 4000 metri sul livello del mare appena fuori La Paz: qui Padre Topio (Antonio Zavatarelli) insieme a molti altri volontari, vive e lavora per costruire una possibilità di vita diversa per gli abitanti dell’altipiano.
L’intento sociale della missione è quello di rendere autonomi gli abitanti, in particolare i giovani, sfruttando al meglio ciò che il territorio offre e fornendo formazione e lavoro incentrato sulle attività outdoor. Oltre alla scuola “Carrera de Turismo de Aventura", un corso fuorisede dell’università cattolica boliviana, è stato creato un parco avventura e sono state chiodate le falesie intorno al paese per ampliare l’offerta turistica includendo anche l’arrampicata sportiva.
Il progetto ci piace, l’idea di sostenere la popolazione locale anche, così decidiamo di affidarci a loro e fare di Peñas il nostro campo base una volta arrivati in Sud America, dopo qualche giorno di acclimatamento nella grande città di La Paz.
La collaborazione italo-boliviana prevede due montagne di acclimatamento con una giovanissima guida locale: lui ci accompagna in salita e noi gli diamo qualche consiglio per affinare la sua tecnica di discesa con gli sci. Le sveglie sono violente, nel cuore della notte, quasi non lasciano il tempo di chiudere gli occhi: alle 2 si parte in taxi, nel buio dell’altopiano.
La prima montagna è una “classica” di acclimatamento, il Janq'u Uyu (5512 m). Stiamo bene, saliamo veloci, la nostra guida è simpaticissima e parla anche bergamasco (!).Quante emozioni nel renderci conto di poter sciare a queste quote dall’altra parte del mondo... per noi un vero sogno che si realizza.
Il giorno dopo tocca alla seconda montagna, il Jisk’a Pata (5508 m). Solita sveglia violenta, solita partenza in piena notte. Salendo, però, notiamo una linea di discesa ripida che parte direttamente dalla cima, si infila in un canale per poi traversare sotto ad un seracco e ritornare sulla via normale. Ci sembra logica, estetica, diretta. Arrivati in cima ci rilassiamo un momento, ci godiamo la vista. Arriva poi il momento di scendere. Una neve molto bella, liscia e grippante nel primo pezzo di parete, un po’ più tecnica nel canale che raddrizza anche le pendenze arrivando a toccare i 50° per brevi tratti. Sotto di noi una barra di roccia: meglio non sbagliare. Superate le difficoltà ci godiamo curve larghe a tutta velocità, su neve trasformata in un ambiente meraviglioso.
Scopriremo la sera, da padre Topio (confermato poi anche da altre guide locali), che da quella parete non era mai sceso nessuno con gli sci. Brindiamo quindi ad una prima discesa e alle prime tracce! La proposta di gradazione secondo noi può essere di 4.2/E3.
Dopo un giorno di meritato riposo, partiamo alla volta del nostro obiettivo più ambizioso: la famosa via francese del Huayna Potosì (6.087 m). Si tratta della parete Sud-Est che conduce alla cima omonima e che arriva a sfiorare i 6000 m classificata III/AD+ con pendenze intorno ai 50-55 gradi nelle sue parti più ripide.
Il primo giorno raggiungiamo uno dei bivacchi posti al campo alto e, dopo una notte a 5135 m pressoché insonne a causa del vento, dell’agitazione e della quota, partiamo intorno alle 2.30.
La salita inizialmente ci sembra lenta anche se, controllando poi le tempistiche, procediamo di buon passo. Alla terminale cambiamo assetto e io mi trovo a lottare contro una bella bollita (termine gergale che indica un’alterazione cutanea legata all’afflusso del sangue agli arti periferici, dovuta al contatto con il freddo che provoca dolore acuto). Ben presto, poi, la parete ci richiede l’uso di due picche e molta concentrazione.
Mai come in questa salita è stato di fondamentale importanza l’affiatamento della cordata: sostenersi, incitarsi, aiutarsi ed accompagnarsi sono gli ingredienti che hanno permesso la riuscita dell’ascesa. In cima nessuno, solo un forte vento proveniente da nord. Il paesaggio è mozzafiato. Si vede la cima principale preceduta dalla lunga cresta. Non c’è tempo per arrivare fin là, la parete ci aspetta, non può scaldare troppo. Paolo arriva fino alla cima sud, poco più in alto; io mi fermo a riprendere le forze, esaurite nella salita.
L’emozione della discesa mi permette di recuperare velocemente e così, poco dopo, mi trovo con un abisso di parete sotto ai piedi e un sorriso che fatico a contenere. Guardo Paolo, vedo lo stesso sorriso e gli stessi occhi concentrati. È tempo di entrare in piena sincronia con la neve, i propri sci e la verticalità.
Se la salita è un gioco di squadra, la discesa diventa uno sport individuale. La quota ci richiede pause per respirare e recuperare. Massima concentrazione. Ne approfittiamo per fare delle foto e dei video. Assaporiamo ogni curva. In un attimo siamo di nuovo alla terminale, con il cuore colmo di gioia e gratitudine. Il ghiacciaio ci abbraccia mentre disegniamo ampie curve sul firn, regalatoci dal sole del mattino. Alle 9.15 siamo di nuovo al bivacco. Felicissimi.
Tutte le guide ed i loro clienti guardano stupiti i nostri sci, osservano le tracce sulla parete e tra complimenti, meraviglia e commenti sul nostro essere “gente loca”, ci salutano sorridendo. Noi festeggiamo al sole, mangiando salteñas come ci eravamo ripromessi di fare e guardando le nostre tracce che spiccano al sole.
Le ripetizioni con gli sci di questa parete non sono molte; scherzo con Paolo sui vantaggi di essere donna: essendo in minoranza a praticare questo tipo di spedizioni scialpinistiche, credo di poter vantare forse la seconda discesa femminile italiana dopo un grandissimo nome dello sci; non abbiamo, infatti, trovato altri riferimenti dopo la discesa di Giulia Monego e compagni del 2011.
Poco importa, però, se siamo i primi o meno. La possibilità di scendere su una parete di questo tipo ci fa rendere conto di quanta fortuna abbiamo nel poter esplorare montagne diverse, lontani da casa e dalle comodità del conosciuto.
È tempo di scendere e di tornare sull’altopiano dove ci aspettano lama, alpaca, fenicotteri ed altri animali selvatici; è tempo anche di fare i turisti esplorando le altre bellezze che la Bolivia ha da offrire.
Prima di rientrare, infine, programmiamo di salire un’ultima montagna, ovvero il Paco K’iuta (5600 m) con l’intenzione di salire e scendere la parete SO, relazionata 4.1/E2. Paolo riesce a raggiungere l’obiettivo salendo senza difficoltà e godendosi una spettacolare ultima discesa in solitaria con vista sul lago Titicaca e sull’altopiano sottostante. Per quanto mi riguarda, invece, riesco a trascinarmi fino alla selletta inferiore per poi dover soccombere ai crampi che mi accompagnano già da qualche giorno. Siamo entrambi molto contenti in ogni caso: siamo riusciti a sciare un’ultima volta sui ghiacciai della Bolivia e a salutare questa magnifica regione che ci ha regalato tanto!
Una piccola grande avventura oltre oceano che, oltre ad accrescere la nostra amicizia, ci ha regalato ricordi indelebili e una storia in più da aggiungere alle esperienze di vita.
Per chiunque fosse interessato a maggiori informazioni sulle montagne citate o sulle possibilità in zona: www.lacordilleraexperience.org, FB La Cordillera Experience Peñas, IG La Cordillera Experience Peñas.
di Irene Cardonatti