Stefano Ragazzo e la straordinaria prima solitaria di Eternal Flame. L'intervista dopo l'exploit sulla Nameless Tower ai Torri di Trango

Intervista all'alpinista padovano Stefano Ragazzo dopo la sua salita in solitaria della via 'Eternal Flame' sulla Nameless Tower (6251m) nella catena del Trango Tower in Pakistan. La più famosa big wall in quota era stata aperta nel 1989 da Kurt Albert, Wolfgang Güllich, Christof Stiegler e Milan Sykora.
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Stefano Ragazzo durante la prima solitaria di Eternal Flame, Trango Tower, Torri del Trango, luglio 2024
Stefano Ragazzo

Durante un periodo di nove giorni a metà luglio Stefano Ragazzo si è aggiudicato l'eccezionale prima solitaria di Eternal Flame sulla Nameless Tower (6251m) nella catena del Trango Tower in Pakistan. Considerata la più bella e più difficile big wall in alta quota al mondo, la via di 650 metri era stata aperta nell'estate del 1989 dai tedeschi Kurt Albert, Wolfgang Güllich, Christof Stiegler e Milan Sykora. Dopo aver attirato l'attenzione dei migliori al mondo, nel 2009 i fratelli Thomas e Alexander Huber erano riusciti nella prima libera avendo superato difficoltà fino al 7c+. Nel 2022 è arrivata la seconda salita in libera per mano del catalano Edu Marín insieme a suo fratello e loro padre, mentre pochi giorni più tardi la terza libera e contemporaneamente straordinaria prima a-vista è stata effettuata dalla cordata Jacopo Larcher - Barbara Zangerl, con la Zangerl che si è anche aggiudicata la prima femminile. Adesso è arrivata questa pietra miliare grazie al 35enne alpinista padovano che, dopo essersi recato li insieme ai fotografi Juan Cirio e Tommaso Longo, è salito in totale autonomia dal 17 al 26 luglio in stile "french free", ovvero il più possibile in libera poi il resto in in artif, come è consuetudine sulle big wall. Dettaglio assolutamente da non sottovalutare: è salito one-push, senza soluzione di continuità, e senza corde fisse. Questa monumentale salita arriva sulla scia di diverse solitarie - ad esempio l'invernale della via Moulin Rouge al Catinaccio e The Nose su El Capitan nello Yosemite - ma come abbiamo scritto nel nostro report iniziale, niente avrebbe presagire questa favolosa solitaria.


Stefano intanto complimenti! Per noi, come sai, questa tua salita in solitaria ci ha colto completamente di sorpresa. Quando hai iniziato a pensare a ripetere questa via? E quando il grande passo, verso una ripetizione non in cordata ma in solitaria?

Eternal Flame è un riferimento per chiunque sia appassionato di arrampicata su grandi pareti, ripeterla in cordata sarebbe stata sicuramente una bella esperienza ma stavo cercando qualcosa di più. Sapevo che potevo fare di più, così pian piano nel corso dell’inverno l’idea di una possibile solitaria su Eternal Flame ha iniziato a prendere sempre più forma, pian piano tutto si concretizzava nella mia mente, tanto da crederla possibile ed iniziare ad organizzarla. Alla sera, prima di dormire, mi confidavo con mia ragazza Silvia Loreggian su questa idea, continuavo a chiederle se secondo lei aveva senso. Mi ha aiutato molto valutare la salita con occhi di una terza parte, anche se credo che questa volta nemmeno lei fosse molto convinta!

Allora come ti sei preparato? Quanto sono state importanti le altre solitarie? Sul Catinaccio e El Capitan ad esempio?
Moulin Rouge è stata la mia prima vera solitaria su una via impegnativa, mi ha aperto gli occhi sulle mie capacità ma soprattutto su come la mia testa si comporta in quelle situazioni. La salita di The Nose è stata fondamentale, quando sono partito per gli USA a maggio il mio viaggio per le Trango era già confermato, volevo essere sicuro che ogni minimo dettaglio fosse al suo posto. Sono andato in Yosemite a prepararmi allo stesso modo in cui una persona va nella falesia dietro casa a provare le manovre di corda, mi sembrava un’assurdità ed uno spreco di denaro andare così lontano, ma sapevo che sarebbe stata la miglior preparazione possibile. Penso sempre a quanto mi hanno dato i viaggi in Yosemite per quanto riguarda la progressione su bigwall, non sarò mai al livello di alcuni “monkeys” della valle ma ogni volta che ci torno sento di ampliare il mio bagaglio tecnico.

C'è stato un momento in cui pensavi di essere pronto?
Salite come questa, oltre ad una preparazione fisica adeguata, necessitano soprattutto di una testa che funzioni nella maniera giusta e che non crolli al primo momento di difficoltà. Ricordo quando a novembre 2023 ero a scalare in Yosemite con Marco Sappa. Marco oltre ad essere un crack master è anche uno psicologo e, senza volerlo, chiacchierando tra un tiro e l’altro, gli ho rubato qualche seduta gratuita. Lui prendendomi in giro mi diceva che ero uno psicopatico, che avevo una testa da alpinista top class e che dovevo svegliarmi ed usare questa dote, io lo scansavo sempre, ridendo, ma poi alla sera quando ci salutavamo e mi distendevo in amaca a Camp 4 a guardare le stelle ragionavo sulle sue parole ed acquistavo sempre più fiducia in me stesso. Probabilmente durante quelle notti a Camp 4 a dondolarmi tra le sequoie giganti qualcosa è scattato dentro di me.

Eternal Flame è un’icona. Cosa sapevi di questa via?
Prima di partire ho chiamato il mio amico Leo Gheza che ha ripetuto la via qualche anno e fa e gli ho chiesto: “Oh Leo, ma come la vedi Eternal Flame in solitaria?” Ricordo un attimo di silenzio, quel suo tentennamento che mi ha fatto subito pensare: “Ecco, lo sapevo, non è fattibile”. Ma subito dopo ha iniziato a spiegarmi alcuni punti salienti, a dirmi che poteva essere possibile, così ho cercato di estrarre più informazioni possibili.

C'era qualcosa che ti preoccupava?
Una cosa su cui Leo era sicuro era che è una via dove bisogna scalare, il grado obbligatorio c’è, non sempre riesci a proteggerti come vorresti o a passare oltre in A0. Sicuramente l’idea di essere in autosicura a 6000 metri su un grado obbligato vicino al 7a ti fa pensare ed un po’ di dubbi ti vengono, ma come detto prima, sentivo che potevo farlo.

Ci racconti un po' il rullo di marcia? Dal arrivo al campo base, come ti sei mosso?
L’ultimo giorno di trekking sono arrivato al campo base trascinandomi per colpa di un problema intestinale, probabilmente legato all’acqua che avevo bevuto il giorno precedente. La sera mi è salita la febbre a 38 e dentro di me ho proprio pensato: “iniziamo bene”.

Il meteo era bello quindi dopo una giornata passata al bc cercando di recuperare, il secondo giorno sono partito verso l’ABC per iniziare a portare il materiale necessario. Dopo 3 o 4 giorni di bel tempo il meteo è cambiato e siamo entrati nella coda del monsone che ogni giorno portava vento e precipitazioni, con cambi repentini da sole a pioggia e previsioni difficili da decifrare.

Sono salito 4 o 5 volte all’ABC a 5000 metri e poi al colle a 5300 per acclimatarmi e depositare il materiale. Il canale di ghiaia che porta alla base della Nameless Tower è infernale, è il classico canale dove fai un passo avanti e due indietro; con il saccone pesante diventa impegnativo e ti passa in fretta la voglia di continuare a ripeterlo, ma volevo riuscire a depositare tutto e farmi trovare pronto per quando sarebbe arrivata la finestra giusta per scalare. Per le due settimane successive il meteo è sempre rimasto indecifrabile, con flussi monsonici persistenti da sudovest e precipitazioni convettive in tutta la zona delle Trango.

Che stile ti eri prefissato, e che stile hai poi adottato in parete?
Una delle poche regole che mi ero prefissato era quella di una salita ground-up. Senza corde fisse fissate qua e là con la possibilità di salire e scendere a piacimento. Avevo solo 60 metri di singola ed il cordino da recupero del saccone, quindi il massimo che mi sono potuto permettere è stato un tiro di corda fissato ogni sera per il giorno successivo. Ho arrampicato french free, il classico stile che gran parte delle persone usa per scalare vie tipo The Nose, cioè il più possibile in libera ed utilizzando l’artificiale quando necessario.

Una singola ed un cordino da recupero soltanto… Pazzesco. Ma quanto materiale hai usato? C'era poco margine d'errore...
Si, sono salito solo con una corda singola da 9.1mm ed una tag line da 6mm, la singola l’ho completamente distrutta. Portarmi dietro anche delle corde statiche avrebbe aumentato di molto il peso del saccone, essendo da solo ho dovuto cercare di essere il più leggero possibile per evitare di stancarmi più del necessario. Ho utilizzato friend Totem Cam nero-blu-giallo x 2, viola-verde-rosso-giallo x 3, un #3 BD, due Alien blu, un Alien nero, uno Z4 #0, un Nutball blu, 3 chiodi, 4 rinvii con clip anti back loop, 7 moschettoni sciolti, due viti da ghiaccio, ramponi G22 e due piccozze North Machine della Grivel. Avevo anche qualche altro micro friend, una mazzetto di half nut ed un camhook ma non li ho mai utilizzati.

Durante la tua salita il tempo non era ideale. Volevi farla in 4-5 giorni, alla fine sei stato in parete 9. Raccontaci intanto la partenza
Dopo due settimane dall'arrivo al campo base avevo concluso le varie rotazioni a 5300 metri, luogo in cui si trova l’attacco della via e dove avevo portato tutto il materiale necessario. Avevo una giornata di tempo stabile a disposizione, quindi ho pensato di salire la prima parte della via fino alla Sun Terrace per depositare lì il materiale e poi scendere, così da poter scalare leggero fino a quel punto quando sarebbe arrivata la finestra giusta. Invece, una volta arrivato alla terrazza ho deciso di provare a continuare. Nello zaino mi mancavano alcune cose che non ritenevo fondamentali per un giorno solo di scalata ma che avrei voluto portare per l’intera via, in quel momento ho deciso che avrei potuto farne a meno. Il meteo era preannunciato instabile ma con qualche finestra di bel tempo tra una perturbazione e l’altra, avevo paura che il mio tempo a disposizione scadesse senza avere una vera finestra per provarci, così mi sono fermato per la notte con l’idea di continuare l’indomani.

Non hai pensato di tornare indietro?
Diverse volte ho pensato all’idea di scendere, ne sono successe veramente di tutti i colori, sì, ho pensato di tornare al campo base per aspettare che arrivasse una vera finestra di meteo buono. Scalare in quelle condizioni, con due piumini ed i guanti, provando ad incastrare lungo fessure di 7a a volte intasate di ghiaccio e neve a 5500 metri era veramente estremo. Allo stesso tempo però ripensavo a quanto avevo sofferto per arrivare fino a dove mi trovavo e non avevo nessuna intenzione di rifarlo, almeno non nell’immediato.

Avevi sufficientemente cibo a disposizione?
Avevo 6 colazioni e 5 cene liofilizzate, più varie barrette, gel, frutta secca e due bombole di gas. Al terzo giorno mi sono reso conto che se volevo continuare dovevo cominciare a razionare le dosi, così ad ogni cena e colazione aprivo la busta, ne mettevo metà in quella vuota del giorno precedente e mangiavo la restante.

Hai accennato che te ne sono successe di tutti i colori
Sempre il terzo giorno ho bucato il portaledge, non ho idea di come sia successo, fatto sta che mi sono svegliato nel cuore della notte chiuso dentro al portaledge come un hotdog. Non ci volevo credere, con qualche mossa di contorsionismo sono riuscito a rigonfiarlo, fortunatamente il foro era piccolo quindi mi bastava soffiarci dentro un po’ di volte ogni 2-3 ore per rimetterlo dritto, potevo resistere. Ma la vita in portaledge, già difficile, da quel giorno lo è diventata ancora di più. Poi il quinto giorno…

Cosa?
Il quinto giorno sono arrivato alla snow ledge con il buio e mentre chiudevo le corde, stanco morto, mi sono seduto sopra ad un sasso. Sedendomi devo aver schiacciato il moschettone del Pinch, l’assicuratore che stavo utilizzando per l’autosicura, che si è prontamente staccato dal porta materiali dell’imbrago ed è rotolato giù nell’oblio. Tra le varie cose che non avevo portato, visto che non pensavo di continuare, c’era anche il grigri di riserva che era rimasto in tenda al campo avanzato insieme ad altre cose più o meno importanti come una microtraxion di riserva, lo spazzolino, carta igienica ecc..

Non è possibile…
Non avevo nemmeno la forza di disperarmi, ho pensato che mi sarei arrangiato con il secchiello e che ci avrei pensato il giorno successivo, volevo solo mangiare ed andare a dormire. La mattina successiva il meteo era ancora instabile, nel pomeriggio appena è migliorato ho messo a punto un sistema di autosicura con il secchiello attaccato ventralmente con una pettorina improvvisata con un cordino in kevlar (grazie Fabio Elli!). Ho scalato il primo tiro dopo le snow ledge con questo sistema un po’ rudimentale, funzionava, ma ovviamente la corda bagnata non scorreva come nel Pinch, così sono sceso ed ho provato a giocarmi il jolly.

Ovvero?
Ho chiamato in radio Juan e Tommaso che erano al campo base avanzato per filmare la salita e gli ho chiesto se fosse possibile attaccare al drone il Grigri che avevo lasciato in tenda così da mandarmelo sù. Ho trascorso qualche minuto di suspense mentre vedevo il drone arrivare con il Grigri che gli penzolava sotto, ma sono riuscito a recuperarlo, ed il drone è tornato al campo intatto! Ovviamente anche il Grigri messo ventrale con un kevlar non lavorava bene come il Pinch attaccato direttamente all’anello di servizio, era mezzo storto, ma almeno con un colpo di mano riuscivo a sbloccarlo al volo quando si bloccava involontariamente. E a scendere per ripulire il tiro non avevo bisogno di farmi l’autobloccante come con il secchiello. In alcuni punti mi ha rallentato parecchio, soprattutto perché scalare con un piumino, la giacca in Gore-Tex ed il parka con un cordino in kevlar intorno alle spalle che ti blocca il movimento non è stato così piacevole.

Mamma mia che storia
Ho anche avuto un po’ di problemi con l’acqua, il settimo giorno per colpa di una forte nevicata sono rimasto bloccato in piena parete, distante da cenge e neve da poter sciogliere, dentro la borraccia avevo poco meno di 300ml che dovevo utilizzare per cucinare e bere. Ho diminuito ancora di più la razione di cibo in modo da usare meno acqua possibile per idratarla ed ho utilizzato la restante per bere. La mattina successiva quando mi sono svegliato il meteo non era buono, ho cominciato a dubitare di non riuscire a resistere senza acqua, ma poi, qualche ora dopo, un raggio di sole ha colpito il portaledge, ho guardato fuori e si intravedeva qualche squarcio di azzurro. Sono balzato in piedi, mi sono infilato in bocca una barretta ed un gel come colazione e sono partito lasciando portaledge montato e saccone in sosta, davanti a me avevo un 7a di 35 metri e poi un tiro facile di IV+, speravo di riuscire a trovare un po’ di neve appena la parete si fosse appoggiata. Arrivato in sosta, su una piccola placca appoggiata c’era un rettangolo di neve, probabilmente un 30x20x10 cm, mi sono calato a prendere il sacco porta corda in sosta, sono risalito, l’ho riempito il più possibile e mi sono di nuovo calato al portaledge. Tempo di togliermi i ferri dall’imbrago e mentre entravo in portaledge è esplosa la bufera di nuovo, importava poco, per un altro giorno ero salvo.

Ad un certo punto è arrivata la cima
Aspetta. Il giorno della cima l’ultima disavventura l’ho avuta quando, durante un traverso su difficoltà contenute di misto ho lasciato le piccozze appoggiate su uno spuntone per scalare con le mani libere. Finito il traverso ho tirato il leash della piccozza per tirarmela a me, ma tirandola il gancio che tiene il leash attaccato al manico si è sfilato, facendo precipitare la North Machine nel vuoto.

Seriamente?
Non ci ho nemmeno voluto pensare, ero talmente focalizzato e motivato nello riuscire a sbucare in cima quel giorno che, come non fosse successo nulla, ho continuato a scalare e ho affrontato tutti i tiri finali fino all'M 5 scalando con una sola piccozza ed una mano, non è stato facile. Per la prima volta ho pensato che tutti quei giorni spesi a prendere freddo a fare drytooling in grotte umide negli ultimi anni sono almeno serviti ad imparare a fare i cambi mano sulla picca!

Com'è scalare a quelle quote?
Devi ricordati di respirare (ride). C’erano dei momenti in cui cercavo di scalare in libera, sentivo bene gli incastri, ma dopo poco mi ritrovavo in iper ventilazione e sentivo il bisogno di fermarmi per qualche secondo per poi ripartire. Oltre a scalare c’era anche la questione di recuperare il saccone, ovviamente dopo essere appena risalito con le jumar il tiro appena scalato e ripulito, non avevo un momento di pausa, mi stancava molto, spesso rallentavo il ritmo, a volte quasi a fermarmi, ma cercavo di continuare senza fermarmi del tutto. Devo dire che per tutto l’inverno e la primavera mi sono affiancato a Silvia durante i suoi allenamenti per il K2, e non ho mai allenato così tanto la parte cardio come negli ultimi 7 mesi. Sapevo che era una delle mie debolezze ed ho voluto lavorarci sopra per migliorare. Credo mi abbia aiutato molto a non soffrire mai la quota, a recuperare più in fretta nonostante la notte dormissi poco e ad essere pronto la mattina seguente per ricominciare a macinare più metri verticali possibili.

Allora raccontaci la cima
Eh in cima.. Negli ultimi metri mi è salito un nodo in gola e ho iniziato a respirare come stessi soffocando. Tommi e Juan hanno iniziato a parlarmi in radio, volevano coordinarsi per le riprese con il drone, io ero in trance, sentivo delle voci uscire dalla tasca della giacca ma non ci davo ascolto, poco dopo ho preso la radio e gli ho detto qualcosa del tipo: “ragazzi, sono in cima, mi prendo due minuti..”. Ho spento la radio, mi sono seduto ed ho iniziato a piangere. Vedevo il K2 in lontananza, pensavo a Silvia, avrei voluto averla lì, mi mancava. Provavo a contare per quanti giorni ero stato in parete, 7, 8, 9.. non riuscivo ad avere riferimenti, avevo perso il conto, in realtà già dal terzo giorno avevo smesso di contarli. Dopo tanti giorni il cielo era azzurro e splendeva il sole, continuavo a guardare in cielo, non so cosa cercassi, ma so che era bello.

Poi la discesa
Ho iniziato la discesa verso le 12.30, avevo un po’ di paura, ho sperato ad ogni calata che non si incastrasse mai nulla. È stato faticoso, avevo lo zaino in spalla ed il saccone attaccato all’anello dell’imbrago. Ho fatto le doppie con il Grigri sulla singola recuperandola con la tag line, il nodo faceva un sacco di attrito e la tag line mi scivolava dalle mani, scendere quasi 1000 metri di parete in questa maniera mi ha provato molto.

Sono arrivato alla Sun Terrace verso le 17, avevo ancora due ore abbondanti di luce quindi ho deciso di provare a scendere fino all’ABC visto che fino a lì era andato tutto liscio e mancavano solo 6 calate. Ovviamente alla terzultima e alla penultima calata mi si sono incastrate le corde ed ho fatto buio! Per fortuna con qualche acrobazia ne sono venuto fuori e alle 20.30 ho messo i piedi per terra dopo tanto tempo appeso.

Un sollievo enorme immagino!
Alle 21.30 circa sono arrivato all’ABC dove c’erano Tommi e Juan ad aspettarmi, mi hanno dato da mangiare e da bere e, come fosse passato tanto tempo, abbiamo iniziato a scherzare sugli avvenimenti di quei giorni appeso da solo in parete. Tra le tante mi hanno fatto la solita battuta sull’essere dimagrito, poi quando mi sono alzato da terra per andare a dormire ho notato che i cosciali dell’imbrago che normalmente mi stringono un po’ erano a penzoloni e mi arrivavano alle ginocchia, forse non era la solita battuta.

Per il resto tutto OK?
Una volta tolti gli scarponi in tenda mi sono anche reso conto che un po’ di danno alle terminazioni nervose dei piedi l’avevo fatto. Probabilmente per colpa del freddo degli ultimi due giorni passati a 6000 metri e della compressione delle scarpette avevo perso sensibilità ad alcune delle dita ed avevo i piedi invasi da formicolio e scariche elettriche. Adesso a distanza di una settimana non sembra voler migliorare e l’idea di rimettere scarponi e ramponi tra due giorni per tornare a lavorare come guida un po’ mi preoccupa, spero passi in fretta.

Speriamo, sì. La tua era una solitaria, ma quant'eri da solo lassù?
Il primo giorno è partita insieme a me su Eternal Flame anche una cordata di ragazzi baschi, ho passato i primi tre giorni e mezzo poco distante da loro e riuscivamo a scambiarci qualche battuta. Un po’ mi rassicurava avere qualcuno con cui fare due parole ogni tanto. Poi il pomeriggio del quarto giorno una forte nevicata mista a pioggia ghiacciata ci ha colto all’improvviso in piena parete, è durata circa 30 minuti, ma eravamo tutti bagnati ed infreddoliti. Loro hanno deciso di buttare le doppie e scendere constatando che era impossibile scalare in quelle condizioni, io invece ho deciso di rimanere. Mentre li vedevo scendere, per un attimo mi sono sentito come se mi stessero abbandonando. Da quel momento ero solo per davvero, nel mezzo di una parete di 1000 metri perso tra le montagne del Karakorum.

C’erano anche Juan e Tommi
Sì, all’ABC c’erano loro, i fotografi di Big Rock Media House. Avevano il compito di fare delle riprese con il drone della mia scalata, e ogni mattina ed ogni sera accendevo la radio per comunicare con loro che ero vivo e quali erano i piani per il giorno successivo. Quando ero in portaledge ero sempre stanco e solo parlare in radio mi costava fatica, ero molto sintetico nelle comunicazioni, sicuramente non gli ho reso la vita facile per quanto riguarda l’organizzazione delle riprese! Ogni tanto comunicavo via inReach con Silvia, ma anche lei era presa con la sua fase di acclimatamento sotto il maltempo e le comunicazioni sono sempre state brevi o assenti.

Prima di te su quella via sono passati dei miti assoluti dell'arrampicata. Güllich, Albert, Stiegler, Sykora, Huber, per nominare solo i primi che hanno l'hanno aperta e poi liberata. Cosa ne pensi? E adesso che l'hai fatta, che ne pensi della via?
Ho pochi miti per quanto riguarda l’arrampicata, ma Wolfgang Güllich è uno di questi. Riuscire ad unire l’arrampicata di alta difficoltà all’esplorazione di grandi pareti in luoghi lontani per me è l’essenza dell’alpinismo. Sapere di aver potuto mettere la mia firma a fianco alla sua su questa montagna è la soddisfazione più grande che potessi avere, mi sento un po’ come se avessimo scalato insieme. Gli Huber sono delle macchine, anche loro di grande ispirazione. Jacopo e Barbara, c’è poco da dire, dei fuoriclasse.

Stefano, ci conosciamo da anni, passami quindi questa domanda: ci vuole una certa "arroganza" solo a pensare a un progetto di questo genere. Una fiducia incrollabile nelle proprie capacità. Cosa ne pensi?
Un po’ arrogante lo sono, mio padre me l’ha sempre rimproverato. Forse testardo è la parola più giusta. Non sono nato alpinista e nemmeno con un talento particolare purtroppo. I miei genitori durante le vacanze estive mi portavano al mare, ho iniziato ad arrampicare dopo le scuole superiori e subito ho capito che questo sarebbe stato il mio mondo.

Nessuno credeva in me all’inizio, probabilmente nemmeno tu Nich, quando nelle pause pranzo di luglio ci trovavamo a scalare con 40 gradi dentro il capannone dell’Intellighenzia Project a Padova. Ma fino ad oggi ho sempre creduto fermamente in quello che la mia testa mi diceva, ho cercato di portare avanti un pensiero, un qualcosa che ancora oggi continua ad evolversi e portarmi in giro per le montagne più belle e selvagge del mondo. Questa salita è frutto proprio di tutto questo, di sacrifici e dedizione degli ultimi anni passati in montagna e di soddisfazione personale per avere una mia visione dell’alpinismo e continuare a perseguirla nonostante sia diversa da quello che il “mercato” dell’alpinismo richieda.

Non ho tempo per mettermi a fare video blog e recensioni dei prodotti di arrampicata come gran parte delle aziende pretendono dai propri atleti. Il mio tempo libero lo passo ad allenarmi o a lavorare come Guida per pagarmi le spedizioni, punto.

Spero non sia un punto di arrivo ma soltanto un’altro mattone da aggiungere lungo il percorso che mi sto costruendo e che spero continui a portarmi ad esplorare e vivere avventure come quella che ho appena vissuto. È stata una salita figa, e solo adesso sto cominciando a rendermi conto di quello che ho fatto.

Stefano Ragazzo ringrazia: Grivel, Scarpa, Totem

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